Cosa sta succedendo nei parchi regionali, dal Piemonte alla Sicilia
[7 Luglio 2014]
Che i parchi nazionali non se la passino bene, e non da poco, è noto. Meno noto che finora non si sia fatto molto per rimetterli in carreggiata. Brilla ancora la scarsissima presenza e iniziativa ministeriale, se non per ribadire – come ha fatto recentemente il direttore Grimaldi – che per rilanciare i parchi serve ‘un’economia sostenibile’. Un po’ poco visto, che parchi nazionali faticano ancora a insediare i loro comitati direttivi, figuriamoci a fare il proprio Piano – che infatti pochissimi finora hanno fatto.
Ma c’è una novità: tornano sulla scena in molte realtà i parchi regionali. Diciamo subito che si tratta di un ritorno che in qualche caso suscita un non infondato allarme. E’ senz’altro una buona notizia che in Sardegna, come in qualche altra regione dove si è votato recentemente, si torni a parlare di parchi e se ne stiano istituendo anche alcuni (regionali) nuovi. Come lo è che in Toscana sia imminente l’approvazione di una nuova legge regionale attesa da tempo.
Di rilievo nazionale, inoltre, è il confronto avviato in Sicilia su una nuova legge regionale che aggiorni quella del 1988 – cioè prima della legge quadro del 1991 – con la quale nell’isola furono istituiti importanti parchi regionali, dall’Etna ai Nebrodi alle Madonie e alle moltissime riserve, a partire da quella dello Zingaro. Tanto importanti che vari ministri considerarono l’assenza di parchi nazionali quasi un affronto, a cui si cercò di rimediare in più d’un caso con tentativi strambi e perciò regolarmente falliti.
Se in Sardegna a livello regionale le aree protette non hanno mai trovato un momento unificante, tanto che ci sono parchi fantasma come il Gennargentu, in Sicilia una dimensione regionale ha segnato un’esperienza per molti versi unica. Naturalmente proprio perché si è trattato di una presenza diffusa di parchi, riserve regionali terrestri e marine – ma anche sempre più anche di Rete Natura 2000 – si impone oggi un’esigenza sistemica a cui può provvedere solo la regione, d’intesa con gli enti locali. Il che pone anche un problema non nuovo, che è quello della figura del presidente dei parchi, che non può essere un funzionario della regione né persona con curriculum di tipo ‘professionale’ come i direttori.
Ultima ad entrare in partita è stata la regione Piemonte, la cui giunta si è appena insediata. Purtroppo tra i primi atti (e a sorpresa) ve n’è uno che riguarda i parchi regionali, che blocca una serie di interventi già previsti per puntare su accorpamenti degli enti parco per accentrarne la gestione in Regione, tagliando fuori così le comunità locali in palese contrasto con la legge quadro 394 che prescrive la ‘leale collaborazione’ già snobbata dal ministero. Soluzione peraltro a cui hanno dovuto rinunciare regioni che già ci avevano pensato, motivandola solo con esigenze di riduzione di spesa e non di miglioramento di funzionalità. Oltretutto il provvedimento blocca le nomine negli enti parco regionali, come è già avvenuto con effetti paralizzanti con i parchi nazionali.
Si tratta di un sorpresa perché il Piemonte ha alle spalle una tradizione storica, istituzionale e culturale di prim’ordine, tant’è vero che al Parco della Mandria nel 1989 istituimmo il Coordinamento nazionale dei parchi regionali, poi diventato Federparchi.
Questo dibattito in corso in varie regioni c’è da augurarsi che serva ovviamente e innanzitutto a rilanciarne il ruolo, ma anche a concorrere a ridefinire finalmente una politica nazionale che sarà tale solo se saprà coinvolgere anche le regioni e gli enti locali.
Le opinioni espresse dall’autore non rappresentano necessariamente la posizione della redazione