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Stiamo mutilando l’albero della vita. È in atto un annientamento biologico

Uno studio rivela che l’estinzione di massa provocata dall’uomo sta eliminando interi rami dell’albero della vita
 |  Natura e biodiversità

Lo studio “Mutilation of the tree of life via mass extinction of animal genera”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences da  Gerardo Ceballos dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) e da Paul Ehrlich della Stanford University ha analizzato l’estinzione di massa a livello di genere e rileva «Una mutilazione dell’albero della vita con enormi danni potenziali per la società umana».

La colomba migratrice, la tigre della Tasmania, il delfino del fiume Yangtze Baiji sono le vittime più note della sesta estinzione di massa e lo studio conferma che «Le azioni umane stanno spazzando via le specie animali vertebrate centinaia di volte più velocemente di quanto altrimenti scomparirebbero». Ma il nuovo studio dimostra che la crisi potrebbe essere ancora più profonda: «Ognuna delle tre specie sopra menzionate era anche l'ultimo membro del suo genere, la categoria più alta in cui i tassonomi classificano le specie. E non sono le sole».

Finora l’interesse dell’opinione pubblica e scientifico si è concentrato sull’estinzione delle  specie, ma nel loro nuovo studio Ceballos ed Ehrlich, hanno scoperto che «Interi  generi  stanno scomparendo», in quella che chiamano «Una mutilazione dell’albero della vita».

Ceballos  sottolinea che «A lungo termine, stiamo mettendo un grosso freno all'evoluzione della vita sul pianeta. Ma anche, in questo secolo, ciò che stiamo facendo all’albero della vita causerà molta sofferenza all’umanità». Per Ehrlich, «Ciò che stiamo perdendo sono i nostri compagni viventi unici conosciuti nell'intero universo».

Infatti, se è vero che negli ultimi anni le informazioni sullo stato di conservazione delle specie provenienti dall'International Union for the Conservation of Nature, da Birdlife International e da altri database sono migliorate negli ultimi anni, questo ha consentito a Ceballos ed Ehrlich di valutare l'estinzione a livello di genere, facendo scoperte davvero preoccupanti

Attingendo a queste fonti, i due scienziati hanno esaminato 5.400 generi di animali vertebrati che vivono sulla terraferma, che comprendono 34.600 specie, scoprendo che «73 generi di vertebrati terrestri si sono estinti dal 1500 d.C. Gli uccelli hanno subito le perdite più pesanti con l’estinzione di 44 generi, seguiti nell’ordine da mammiferi, anfibi e rettili».

Sulla base del tasso storico di estinzione del genere tra i mammiferi – stimato per gli autori da Anthony Barnosky, professore emerito di biologia integrativa alla UC Berkeley – «L’attuale tasso di estinzione del genere dei vertebrati supera di 35 volte quello dell’ultimo milione di anni. Questo significa che, senza l’influenza umana, la Terra avrebbe probabilmente perso solo due generi durante quel periodo. In 5 secoli, le azioni umane hanno innescato un’ondata di estinzioni di generi che altrimenti avrebbero impiegato 18.000 anni per accumularsi», quel che lo studio definisce «Un annientamento biologico».

Ceballos evidenzia che «Come scienziati, dobbiamo stare attenti a non essere allarmisti ma, in questo caso, la gravità dei risultati richiedeva un linguaggio più forte del solito. Dato che noi e altri scienziati siamo

Le estinzioni dei generi colpiscono più duramente delle estinzioni delle specie a molti livelli: «Quando una specie si estingue – spiega ancora Ceballos - altre specie del suo genere possono spesso ricoprire almeno in parte il suo ruolo nell’ecosistema. E poiché quelle specie portano gran parte del materiale genetico dei loro cugini estinti, ne conservano anche gran parte del potenziale evolutivo. Immaginato in termini di albero della vita, se un singolo “ramoscello” (una specie) cade, i ramoscelli vicini possono ramificarsi in tempi relativamente brevi, riempiendo il vuoto proprio come avrebbe fatto il ramoscello originale. In questo caso, la diversità delle specie sul pianeta rimane più o meno stabile. Ma quando interi “rami” (generi) cadono, lasciano un enorme buco nella chioma: una perdita di biodiversità che può impiegare decine di milioni di anni per “ricrescere” attraverso il processo evolutivo di speciazione. Dato che la stabilità della nostra civiltà dipende dai servizi forniti dalla biodiversità della Terra, l’umanità non può aspettare così a lungo affinché i suoi sistemi di supporto vitale si riprendano».

I ricercatori fanno l’esempio della crescente diffusione della malattia di Lyme: i topi dai piedi bianchi, i principali portatori della malattia, erano soliti competere con le colombe migratrici per il cibo, come le ghiande. Con la scomparsa delle colombe e la diminuzione dei predatori come lupi e puma, le popolazioni di topi sono aumentate e, con loro, i casi umani di malattia di Lyme. «Questo esempio comporta la scomparsa di un solo genere – fanno notare gli scienziati - Un’estinzione di massa di generi potrebbe significare un’esplosione proporzionale di disastri per l’umanità».

Significa anche una perdita di conoscenza. Ceballos ed Ehrlich fanno un altro esempio, quello della rana covatrice gastrica o rane ornitorinco, anch'essa l'ultimo membro di un genere estinto. Le femmine ingoiavano le proprie uova fecondate e allevavano girini nello stomaco “spengendo” l'acidità< «Queste rane avrebbero potuto fornire un modello per studiare malattie umane come il reflusso acido, che può aumentare il rischio di cancro esofageo, ma ora non ci sono più».

La perdita di generi potrebbe anche esacerbare la crisi climatica. Ehrlich  sottolinea che «Il cambiamento climatico sta accelerando l’estinzione e l’estinzione sta interagendo con il clima, perché la natura delle piante, degli animali e dei microbi sul pianeta è uno dei grandi determinanti del tipo di clima che abbiamo»

Per prevenire ulteriori estinzioni e le conseguenti crisi sociali, Ceballos ed Ehrlich chiedono «Un’azione politica, economica e sociale immediata su scala senza precedenti. Maggiori sforzi di conservazione dovrebbero dare priorità ai tropici, poiché le regioni tropicali hanno la più alta concentrazione di estinzioni di generi e di generi con una sola specie rimanente. E’ necessaria anche una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica sulla crisi dell’estinzione, soprattutto considerando quanto profondamente si interseca con la più pubblicizzata crisi climatica».

Ehrlich conclude: «Le dimensioni e la crescita della popolazione umana, il livello crescente dei suoi consumi e il fatto che i consumi sono molto ingiusti sono tutti aspetti importanti del problema. L’idea che si possano portare avanti queste cose e salvare la biodiversità è folle. E’ come sedersi su un ramo e segarlo allo stesso tempo».

Redazione Greenreport

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