Sulla riforma del Titolo V e il futuro dei parchi
[15 Giugno 2016]
Le politiche ambientali degli ultimi tempi presentano e non solo nel nostro Paese fin troppe novità. Una su tutte: esse dipendono sempre più da vicende e fenomeni non comprimibili nei confini locali ma neppure nazionali. Gli accordi di Parigi al pari dell’Expo e dell’Enciclica papale ne sono la testimonianza più significativa e recente. L’altra novità è che – si tratti del clima, della biodiversità, dell’inquinamento, del suolo, del paesaggio, del cibo, della sicurezza – la frammentazione normativa e gestionale è destinata al fallimento, come possiamo già vedere nel nostro Paese.
Tra i non pochi problemi del prossimo referendum costituzionale vi è come sappiamo il nuovo Titolo V. Io qui vorrei soffermarmi un momento su quello del 2001, di cui si è già detto fin troppo. Lo ricordo bene per avervi partecipato attivamente e proprio in riferimento al governo del territorio e delle politiche ambientali. Il nodo allora irrisolto che stava azzoppando situazioni e realtà pur regolate e gestite da leggi innovative come i parchi, i bacini idrografici, il paesaggio, l’inquinamento, era l’incapacità di garantire su un piano di pari dignità quella ‘leale collaborazione’ istituzionale tra Stato, regioni ed enti locali senza la quale il governo del territorio avrebbe fatto acqua come stava già avvenendo.
A 10 anni dalla legge 394 si era ben lontani da quel sistema nazionale di aree protette a cui avrebbe dovuto provvedere quel Comitato nazionale per la programmazione, sparito presto dalla legge. I piani delle coste previste dalla legge sul Mare, salvo qualche rarissima eccezione, erano rimasti sulla carta. E anche il passaggio delle competenze sulle aree protette marine dal ministero della Marina mercantile (abrogato) a quello dell’Ambiente e non più alla Consulta del mare non segnò quella integrazione tra terra e mare pur prevista dalla 394, allora come oggi mai voluta dal ministero che in aperta violazione della legge la considerò, con un’interpretazione di comodo, riservata esclusivamente allo Sato e ai Parchi nazionali. Tanto è vero che il primo testo di ‘riforma’ (?) della 394 presentato nel 2011, ancora in discussione al Senato, prevedeva la cancellazione dalla legge quadro di qualsiasi competenza regionale. Non migliore la situazione della legge 183 e i piani di Bacino che riguardavano anche le aree protette fluviali. Che fine abbia fatto la gestione di quella ottima legge dobbiamo chiederlo a Bertolaso a Bisignani.
Il Titolo V del 2001 come la legge Bassanini mirava infatti a realizzare quei livelli di adeguatezza ed efficacia di governo del territorio fino a quel momento inattuati. Le cose sono andate come sappiamo, ma è innegabile che il nuovo Titolo V ha solo pensato a ridimensionare il ruolo delle regioni e premiare il ri-accentramento, che di danni ne ha già fatti fin troppi. Il tutto ulteriormente complicato dalla abrogazione delle province, che dovrebbero essere sostituite da aree vaste che nessuno ancora sa cosa dovrebbero essere e fare.
Sotto questo profilo la situazione sempre più caotica e confusa dei parchi conferma più di tante chiacchiere i rischi che stiamo correndo, anche sul piano comunitario, a seguito di quella che possiamo definire appropriatamente latitanza del governo e di forze politiche, che pure hanno avuto un ruolo fondamentale anche nell’approvazione e gestione della legge faticosamente approdata al voto parlamentare nel 1991. Siccome mi considero a tutti gli effetti impegnato oggi come allora a sostegno dei parchi e non dei pasticci a cui specie chi rappresenta i parchi dovrebbe opporsi con forza e non fare il furbetto con scuse e pretesti, intendo ribadire quello che penso.
Una solfa che risuona ormai in tutte le salse e per tutti i problemi è quella della burocrazia che legherebbe le mani ai parchi. Se non presenti il piano del parco è colpa della burocrazia? Se non puoi occuparti più del paesaggio è colpa della burocrazia? Certo se non ti arrivano risorse indispensabili non puoi fare quello che dovresti ma anche qui c’entra la burocrazia? Se il parco è commissariato per anni di chi è colpa? Se a Portofino l’area marina non l’affidi in gestione al Parco perché è regionale e fai un consorzio dipenderà o no dal ministro. Se al Senato da 5 anni si sguazza senza venirne a capo in una legge che prevede cose scandalose specie per le aree protette marine senza che il ministro dica o faccia qualcosa ma anche Federparchi non abbia fatto finora niente che non siano chiacchiere di circostanza su quanto sono importanti i parchi, di chi è colpa? Certo ad assumersi le proprie responsabilità o come si dice oggi metterci la faccia si può incorrere anche in qualche spiacevole inconveniente.
Quando scrissi che il ministro dell’Ambiente – molti anni fa – stava facendo delle solenni bischerate lui invitò il presidente di Federparchi a prendere nei miei confronti addirittura provvedimenti disciplinari. E c’è qualcuno che può motivare senza pretesti e scuse perché ci si è rifiutati e si continua a rifiutare la convocazione di una Conferenza nazionali dei parchi e sui parchi dove si possa capire cosa significa ‘quell’aggiornamento complessivo della legge’ di cui ha parlato anche Maria Carmela Giarratano, direttore generale del ministero? Insomma visto che come ha detto il ministro Galletti ‘nell’iter di riforma in Parlamento, è necessario adottare un percorso il più possibile condiviso’ per le nostre aree protette, cosa significa questo in concreto? Non era proprio di questo che avremmo dovuto discutere della terza Conferenza nazionale dei parchi anziché trastullarci 5 anni (!) in commissione al Senato?
Il dibattito in corso innescato dal Wwf che ha coinvolto già molte associazioni e personalità sul testo del Senato c’è da augurarsi che riesca a fare emergere i limiti della legge, ma anche quali sono gli aspetti cruciali a cui rispondere. Su un punto in particolare ritengo che occorra la massima chiarezza: il ruolo delle istituzioni. Gli episodi a cui anch’io ho fatto riferimento in più d’un caso riguardano le istituzioni e la politica; nomine dei presidenti etc. Ma l’idea presente anche nel movimento ambientalista che il ruolo delle istituzioni locali va ridimensionato per far posto a rappresentanze di categorie, le più varie oltre agli agricoltori, ‘snatura’ i parchi non meno della separazione terra-mare. Il governo del territorio e specie dei beni comuni riguarda in primis le istituzioni, anche locali. Chi ha fatto l’amministratore di un parco lo sa bene; se devi decidere di chiudere una cava o regolare la pesca come la caccia, chi deve farlo se non le istituzioni in collaborazione tra di loro?
Le rappresentanze sociali dovranno farsi valere naturalmente con critiche e proposte a cui le istituzioni – gli piaccia o no -dovranno rispondere assumendosene la responsabilità.
Concludendo, visto che per rendere digeribile un testo che non lo è si stanno ‘inventando’ demagogicamente passaggi di parchi regionali nella categoria di quelli nazionali – che possono solo innescare altre sortite del genere, come sta peraltro già accadendo con effetti destinati ad incasinare ulteriormente le cose – perché il ministro non fissa un incontro nazionale dove ognuno dovrà dire senza trucchi e inganni che parchi vuole?
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