Territorio, si torna a discutere di programmazione anche in Toscana
[2 Gennaio 2014]
Con l’inizio del nuovo anno in Toscana dovrebbero avviarsi a conclusione alcune leggi importanti per il governo del territorio. Vi è quella che fa capo all’assessore Anna Marson, quella sui parchi e le aree protette che fa capo all’assessore Annarita Bramerini, a cui fa capo pure quella sul piano energetico.
Si tratta nel complesso di provvedimenti con i quali si dovrebbero in più d’un caso chiudere annose vicende come il PIT e le sue grottesche schede sul paesaggio ma anche la legge sui parchi che vide l’assessore Artusa passare la palla a Betti che la passò a sua volta alla Bramerini, che questa volta non può lasciarla in eredità a chi la seguirà. A questi molteplici appuntamenti si arriva in più d’un caso con seri ritardi ma anche errori a cui come ha più volte affermato Enrico Rossi si vuole ora rimediare perché la Toscana ritrovi anche nel contesto nazionale quel ruolo appannatosi negli ultimi anni e che giustamente si vorrebbe rilanciare per concorrere a quella svolta nazionale ormai non più rimandabile. E che ha un nome preciso sebbene dimenticato: programmazione. E non è certo un caso che proprio di programmazione si stia tornando a parlare, ad esempio, da parte del ministro della Coesione territoriale Carlo Trigilia per i fondi comunitari che solo con Barca avevamo ricominciato ad utilizzare sulla base di progetti seri e cantierabili. Quello che urge per i fondi comunitari, specie al sud, urge non meno per le politiche del territorio, della tutela del suolo, del paesaggio, della biodiversità contro la cementificazione selvaggia e i ripetuti disastri a cui mirano le nuove normative toscane attualmente in discussione sulle quali occorre fare la massima chiarezza, soprattutto dopo i non pochi equivoci e scivoloni del passato.
Prendiamo il piano energetico, recentemente varato dalla giunta regionale, al quale secondo una legge semiclandestina di qualche tempo fa avrebbero dovuto ispirarsi nientemeno che i piani dei parchi! Piani a cui peraltro il nuovo codice dei beni culturali aveva sottratto il paesaggio, cui la Regione Toscana fece seguire con sospetta e inspiegabile rapidità la decisione di togliere ai suoi tre parchi il nulla osta paesaggistico gestito (e bene) da anni per passarlo ai comuni, che non erano in grado come vedemmo subito.
Da quanto è emerso fin dalle prime battute negli ultimi mesi le questioni da risolvere non sono poche e niente affatto scontate, a partire dall’intesa istituzionale con i comuni. Circa la vicenda degli oneri di urbanizzazione, che per molti versi ha messo sul banco degli imputati i comuni, non depone a loro favore la rivendicazione di maggiore autonomia nei confronti della Regione, di cui si è fatta carico l’ANCI toscana. Ma neppure la Regione a partire dal PIT e ancor prima con la legge del 2005 aveva dato il meglio di sé, in particolare su talune questioni ambientali.
Il punto critico era e rimane quello di una collaborazione istituzionale in grado di definire e gestire una politica appunto di programmazione di cui si sono perse, e non soltanto sul piano nazionale le tracce.
Anzi su questo fronte le cose se possibile si sono aggravate e complicate dopo l’abrogazione delle comunità montane e ora delle province che sembrano ricondurre il tutto a due soli soggetti istituzionali elettivi mentre quelli non elettivi come i parchi e le autorità di bacino a partire dal PIT erano stati di fatto emarginati.
Quel che sta accadendo sul piano nazionale non può non ripercuotersi pesantemente sulle realtà regionali e locali, perché più che una riforma dei ruoli istituzionali e costituzionali si è sempre più passati alle sembianze di una burocratica potatura ragionieristica che ignora peraltro il chi dovrà provvedere all’esercizio delle funzioni degli enti abrogati e come dovranno essere pagate.
Un primo passaggio delicato sarà perciò anche in Toscana quello di riuscire a raccordare provvedimenti che se resteranno separati finiranno, come è già accaduto, per mancare l’obiettivo ossia quello della programmazione capace al momento opportuno di decidere senza continui rinvii e pasticci.
C’è qui infatti un aspetto cruciale rimasto finora in ombra anche sul piano nazionale e cioè cosa vuol dire oggi governance in concreto. Questa indeterminatezza, come taluno l’ha definita, quasi si trattasse semplicemente di consultare più soggetti con i quali si deve poi però negoziare per gli indispensabili compromessi per decidere.
Per qualcuno come sappiamo questo alla fin dei conti deve riportare il più possibile le sedi decisorie al centro nazionale e regionale più che a livelli decentrati. D’altronde a cosa dovrebbe servire il Senato delle autonomie di cui si è tornati a parlare se non a questo maggiore equilibrio tra centro e periferia, specialmente dopo il fallimento del titolo V.
Insomma, più soggetti da coinvolgere che hanno ruoli e compiti tra di loro assai differenziati nelle istituzioni e nella società civile ma finalmente capaci di mettere in atto quella ‘leale collaborazione’ costituzionale non più eludibile. Ci attende una agenda piuttosto impegnativa, visto anche il diffuso clima di sfiducia nei confronti di tutte le istituzioni nessuna esclusa.
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