Ungulati, Coldiretti: rivedere i confini delle aree non vocate

L’area vocata al cinghiale già eliminata all’Isola d’Elba, ma le misure di contenimento stentano a decollare

[21 Febbraio 2024]

Secondo Coldiretti Toscana, bisogna «Salvaguardare le aree produttive inserendole tra le zone non vocate. Dove sono presenti tutte le produzioni agricole, cinghiali, caprioli, daini e corvidi non possono insistere perché rappresentano una minaccia per la sopravvivenza delle imprese agricole, la produzione di cibo, la tutela della biodiversità, l’assetto idrogeologico delle nostre campagne e delle nostre montagne».

Le aree non vocate sono quelle dove gli ungulati, a partire dai cinghiali, non dovrebbero stare e per la presidente di Coldiretti Toscana, Letizia Cesani, «E’ il momento giusto per cambiare le regole del piano faunistico venatorio in corso di discussione riconoscendo senza se e senza ma il ruolo degli agricoltori. Dove ci sono le coltivazioni, che sono facilmente individuabili attraverso la banca dati di Artea, gli ungulati non devono stare. E’ necessario un segnale forte da parte delle istituzioni individuando come zone non vocate alla presenza degli ungulati tutte le aree coltivate».

E’ un po’ quello che – con diverse situazione e motivazioni – è successo all’Isola d’Elba, dove i cinghiali sob no stati introdotti dai cacciatori negli anni ’60 e ’70 e che incredibilmente era stata dichiarata dalla Regione area vocata. Decisione che la Regione si è rimangiata dopo una forte campagna di protesta guidata da Legambiente, Coldiretti e un comitato elbano ripristinando l’are non vocata. Va detto però che dopo quella marcia indietro non si è fatto molto da parte regu ionale per diminuire la popolazione di cinghiali e ormai si spera solo nel progetto di eradicazione che sta definendo il Parco Nazionale Arcipelago Toscano e che, comunque, se fosse rimasta l’are vocata sarebbe stato impossibile attuare.

Coldiretti Toscana  sottolinea che «La fauna selvatica ha causato ufficialmente, negli ultimi dieci anni, oltre 20 milioni di euro di danni alle coltivazioni ma sarebbero molti di più considerando quelli che le imprese agricole, scoraggiate da iter burocratici complicati e tempi di risarcimento troppo lenti, non hanno denunciato. La principale calamità è rappresentata dai cinghiali con l’80% dei danni complessivi seguita da caprioli e daini senza sottovalutare la ormai impossibilità di seminare in alcune aree girasole e altri tipi di cereali a causa dei piccioni. Sono complessivamente 400 mila gli ungulati nelle campagne: 200 cinghiali, 160 mila caprioli, 7.000 daini e 6.000 cervi (dati Regione Toscana). Ai primi posti tra le coltivazioni preferite e quindi più danneggiate c’è l’uva, poi i campi di mais e cereali, sia nella fase di semina che maturazione, il favino e le erbe mediche utilizzate per l’allevamento del bestiame. Ma vanno pazzi anche per lenticchie e legumi, farro ed orzo, castagne ed ortaggi a pieno campo per finire con le piante del bosco e le coltivazioni di girasole. Produzioni che devono essere tutelate perché parte di una catena alimentare sia umana che zootecnica che non possiamo più permetterci di perdere».