Riceviamo e pubblichiamo

Università e Parchi, la legge per il ripristino della natura vista dal Parco del Cilento

Dal Centro studi e ricerche sulla biodiversità, insieme al Campus Mediterraneo, un esempio per attuare le terza missione ai fini dello sviluppo sostenibile locale

[1 Agosto 2023]

La Rete ecologica del Cilento è la principale risorsa del territorio, e come tale evidenzia un potenziale di iniziative socio-economiche di rilevante innovazione nello scenario dei cambiamenti climatici e del post-pandemia, come servizi ecosistemici e culturali verso la più vasta area metropolitana della Provincia di Salerno se non dell’intera Regione Campania, nel contesto europeo del New green deal e Next generation Ue.

La recente approvazione della legge per il ripristino della natura del Parlamento europeo consente di affrontare tematiche attinenti la nostra stessa vita sul pianeta. Il Cilento rappresenta il più grande serbatoio di biodiversità della Campania e l’Italia, ed è il più importante e rilevate bacino di biodiversità in Europa. Questo patrimonio va difeso e ripristinato per salvare la biodiversità e contrastare il cambiamento climatico.

Per la valorizzazione della biodiversità del Parco nazionale del Cilento appare strategica ed urgente  la creazione di una “rete di servizi ecosistemici” per mantenere solida la qualità dei suoli, dell’aria e delle acque a sostegno della qualità della vita e del contrasto ai cambiamenti climatici, a partire dalla risorsa forestale, attraverso il consolidamento e la riconnessione delle biocenosi forestali di maggior pregio del Parco.

La risorsa forestale rappresenta infatti un elemento fondante del patrimonio naturalistico del Parco; la superficie coperta da foreste costituisce circa il 41% (oltre 74.000 ha) della superficie totale del Parco, e di questi due terzi sono di proprietà pubblica.

Una tale dimensione, pari a circa un quarto dell’intera superficie boscata della Campania, è particolarmente significativa alla luce della forte contrazione della superficie boscata della regione, diminuita negli ultimi censimenti di quasi il 25% a causa in gran parte di incendi, quasi interamente concentrati nelle proprietà pubbliche.

La presenza di una molteplicità di specie, alcune delle quali di qualità ecologica elevata, rende di particolare pregio le biocenosi forestali del Parco; sono infatti presenti cerrete di alto fusto, boschi misti di forra, stazioni ad Ilex aquifolium e Taxus baccata, faggete con Abies  alba, nuclei relitti di Betula pendula, lembi di boschi ripariali lungo i fiumi.

Il patrimonio forestale è stato finora gestito con una logica non sempre congruente con gli obiettivi di conservazione della biodiversità; lo sfruttamento di tipo economico e successivamente l’abbandono della gestione produttiva hanno comportato un progressivo invecchiamento delle ceppaie ed un deperimento generale dei boschi.

Altro elemento di degrado è stata la diffusa introduzione di essenze alloctone, come ad esempio l’Eucalyptus, che ha, tra l’altro, abbassato la diversità faunistica. Il maggior degrado si riscontra soprattutto nei numerosi cedui delle fasce altimetriche intermedie, mentre le fustaie d’alta quota hanno mantenuto una più alta naturalità.

I nuclei di boschi autoctoni maturi, localizzati in aree montane ed alto montane, costituiscono dunque i nodi ecologici rilevanti per la ricostituzione di una rete di boschi vetusti, ai fini del rafforzamento della biodiversità del territorio del Parco.

In tali aree sono stati avviati in maniera del tutto parziale interventi di gestione forestale di tipo naturalistico e potranno essere integrati da altre importanti funzioni quali la valorizzazione naturalistica e paesaggistica, la fruizione culturale, didattica, ricreativa e di ricerca, nonché la promozione dell’uso sostenibile delle risorse connesso alla filiera bosco-legno.

Per ogni bosco gli interventi forestali da realizzare sono riconducibili alle medesime tipologie, poiché si tratta in tutti i casi di formazioni boschive giovani da ricondurre a stati maturi della successione forestale. Anche per le attività  educative e formative è prevista un’unica tipologia di intervento, attuabile mediante la realizzazione di un sentiero natura, che illustri gli specifici interventi realizzati in ogni singola formazione forestale.

L’individuazione specifica degli interventi puntuali da attuare in ogni formazione forestale sarà possibile solo in una fase successiva, a seguito di un’analisi a scala di progetto della struttura del bosco per classi di età, nonché di una descrizione delle esigenze microecologiche di flora e fauna tipica degli stadi maturi.

Per la definizione puntuale degli interventi è infatti prevista una azione specifica, definita nelle singole schede progetto “Monitoraggio e Assistenza”, per la quale saranno mobilitate competenze scientifiche del mondo accademico, che hanno già collaborato con l’Ente Parco nelle fasi precedenti: il Centro di eccellenza sulla biodiversità (Università di Roma e Napoli) e l’Accademia italiana di scienze forestali.

Potenziamento delle strutture per la conservazione della biodiversità, divulgazione naturalistica e il contributo della terza missione dell’Università

La legge sul ripristino della natura potrà essere l’occasione per rilanciare il territorio del Parco come laboratorio nazionale di studio sulla biodiversità, in continuità con progetti già avviati dall’Ente negli anni passati.

In quest’ottica è nato il Centro studi e ricerche sulla biodiversità, ubicato presso la Tenuta Montisani a Vallo della Lucania, finalizzato alla ricerca applicata, alla divulgazione naturalistica e alla formazione in campo ambientale che, nell’ottica della legge sul ripristino della natura, potrà estendere il suo operato a livello territoriale mobilitando competenze e capacità formatesi sul campo presso le Comunità montane presenti nel Parco e nelle sue Aree contigue, in base alla valorizzazione delle Zone economiche ambientali istituite nel 2019, in base alle norme e direttive comunitarie per lo sviluppo delle microfiliere imprenditoriali locali connesse alla rete ecologica.

Il Centro consentirà all’Ente Parco di possedere una moderna struttura da adibire per le attività tecniche ed operative; in particolare, la struttura ospiterà gli uffici di conservazione della natura, l’Osservatorio epidemiologico e la sede centrale del Presidio ambientale permanente da rilanciare presso le Comunità montane con uomini e mezzi, in collaborazione con le Autorità di bacino competenti per territorio, la Protezione civile e l’Ingv, per affrontare le emergenze ambientali sempre più devastanti, la cui principale attività sarà rivolta alla difesa e alla ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici del territorio.

Il progetto del Centro studi e ricerche era nato in collaborazione con l’Università della Sapienza di Roma e con l’Università Federico II di Napoli, e potrà essere la sede di corsi universitari e post universitari in cooperazione con l’Università degli Studi di Salerno e della recente istituzione del corsi di studio in Agraria L-25 “Gestione e valorizzazione delle risorse agrarie e delle aree protette”, che ha già visto i suoi primi laureati e che svolge una intensa attività di internazionalizzazione, grazie alla quale gli studenti dei corsi di laurea triennale (L-25 “Gestione e valorizzazione delle risorse agrarie e delle aree protette” e LM 69 “Innovazioni per le produzioni agrarie mediterranee”) possono svolgere periodi di studio la propria tesi o tirocinio all’estero.

Le attività di internazionalizzazione sono svolte dalla Commissione internazionalizzazione e riguardano la mobilità studentesca (in ingresso e in uscita), del personale docente, la promozione della ricerca attraverso collaborazioni e stipula di accordi bilaterali con altre università e enti di ricerca stranieri.

Di fatto i rapporti con l’Università di Salerno sono sanciti in un accordo con la Regione Campania e alcuni Comuni del Parco, per la costituzione di un Polo territoriale per la conoscenza, produzione e servizi di qualità denominato “Campus Mediterraneo” (di cui lo scrivente è coordinatore locale), nel quale le istituzioni universitarie si impegnano ad effettuare ricerche sperimentali ed applicate, specifici percorsi di alta formazione (anche dottorati di ricerca e master), divulgazione scientifica, convegni, sviluppo di tecnologie informatiche per la realizzazione di cartografie tematiche e digitalizzazione delle azioni di monitoraggio, in attuazione della terza missione che potrebbe trovare proprio nella legge europea per la natura un suo rilancio ed attuazione.