Wwf: le Aree marine protette sono le banche del mare

Il 30% tutelato è un investimento sicuro, ma attenzione alle rapine e ai finti investimenti

[10 Aprile 2024]

Alla vigilia dell’11 aprile, Giornata Nazionale del Mare, il Wwf dice che «Se investissimo nella protezione del mare, potrebbe trarne enorme vantaggio non solo la biodiversità, ma anche la specie umana con le sue comunità: alcune simulazioni condotte per il Mediterraneo occidentale dimostrano che proteggendo il 30% del Mare nostrum con una rete ecologicamente connessa di aree marine protette istituite in  aree chiave per la biodiversità si innesca un aumento della biomassa dei predatori (come mammiferi marini, squali e grandi pesci pelagici) del 10-45% e del 10-23% delle specie ittiche di interesse commerciale, rispetto a uno scenario in cui le misure di protezione non si discostano dallo  status quo. Un Mediterraneo ricco di “banche del mare” porterebbe a una serie di benefici significativi per l’ecosistema marino e per le comunità che ne dipendono, favorendo la ripresa e la conservazione delle risorse marine, promuovendo la resilienza degli ecosistemi marini e contribuendo al benessere delle popolazioni costiere e all’economia mediterranea».

Con l’11 marzo si aprono anche ad una serie importante di appuntamenti  globali che si terranno proprio nel Mediterraneo: la Conferenza Onu sul decennio degli oceani a Barcellona dal 10 al 12 aprile e la Our Ocean Conference ad Atene dal 15 al 17 aprile, con un  intermezzo italiano con il Blue Forum a Gaeta, che sottolineeranno l’importanza e l’urgenza della protezione del Capitale Blu del Mediterraneo per il nostro futuro.

Il Wwf si augura che «Il governo italiano ascolti il messaggio e non venga meno agli impegni sottoscritti,  ma metta in campo tutte le azioni necessarie per garantire una protezione veramente efficace del 30 % dei mari italiani, identificando le aree da proteggere e le relative misure gestionali sulla base di una adeguata consultazione con gli stakeholder e le autorità competenti, affinché non rimangano impegni solo  “sulla carta”. La Strategia Europea sulla Biodiversità 2030, in linea con il quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal, impone agli stati membri di proteggere entro il 2030 il 30% dello spazio marittimo, di cui il 10% deve essere protetto in modo rigoroso, attraverso una rete di aree marine protette (AMP) e altre misure di protezione spaziale (OECM, Other Effective Area-Based Conservation Measures), coerente ed ecologicamente connessa«.

Nel suo ultimo report “Banche del Mare” il  Wwf ha lanciato un appello indicando 7 passi fondamentali soprattutto per l’Italia per garantire che gli impegni presi siano rispettati:

Rivedere la governance del sistema delle aree marine protette nazionali e dei siti Natura2000 assicurando che vengano definiti chiari obiettivi e implementate misure di conservazione, con una revisione del modello di finanziamento delle AMP che permetta agli enti gestori l’assunzione di personale competente e l’implementazione delle attività di conservazione e monitoraggio, nonché il rafforzamento della sorveglianza e revisione del sistema sanzionatorio.

Estendere a mare le competenze di Enti parco già esistenti ed operanti sulla fascia costiera sino a comprendere aree Natura 2000 ragionevolmente prossime alla costa o altre aree amare con rilevanza di biodiversità, fornendo nel contempo al Parco le competenze necessarie per la gestione della parte marina.

Identificare attraverso la consultazione tra ministeri e portatori di interesse, e proteggere quanto prima, attraverso gli strumenti normativi più adeguati, le aree chiave per la biodiversità (come il Canale di Sicilia, l’Adriatico meridionale e i numerosi canyon e monti sottomarini)fino a raggiungere il 30% dello spazio marittimo italiano incluso il mare aperto. Rafforzare le misure di gestione spaziali esistenti, come le e FRA e ZTB della pesca, affinché garantiscano la protezione della biodiversità a lungo e termine e soddisfino i criteri della CBD per le OECM.

Formalizzare a livello nazionale i sistemi locali di cogestione al fine di condividere la responsabilità dell’identificazione e gestione delle aree protette e delle risorse naturali tra i diversi portatori di interesse, in particolar modo i pescatori artigianali, dando piena implementazione al Piano d’Azione Regionale per Pesca Artigianale in Mediterraneo della Fao.

Implementare senza ulteriori ritardi la direttiva per la pianificazione dello spazio marittimo assicurando che i piani di gestione dello spazio marittimo integrino le aree identificate per la protezione al 2030 e che le attività economiche in mare vengano condotte nel rispetto dell’ecosistema marino.

Implementare la Strategia Italiana per la biodiversità al 2030 attraverso un piano d’azione dotato di obiettivi specifici, misurabili  e temporabilizzabili, dove le responsabilità per ogni linea di azione siano chiaramente identificate e assegnate.

Il Wwf sottolinea che  per raggiungere l’ obiettivo del 30% di mare italiano protetto «E’ possibile considerare anche altre misure di gestione spaziale del mare, come le zone di restrizione della pesca, ma solo se adeguatamente rafforzate e gestite: se infatti le OECM sono un’opportunità importante per favorire la gestione integrata degli oceani,  in quanto per la loro identificazione e designazione si  richiede una maggiore cooperazione tra i diversi settori (pesca, energia, navigazione, conservazione e molti altri settori economici), dall’altro bisogna fare attenzione alle semplificazioni: uno dei criteri chiave per il riconoscimento di un’area come OECM stabilito dalla CBD (Convention on biological diversity) è infatti la dimostrazione che la gestione esistente nell’area garantisca risultati positivi e duraturi per la conservazione della biodiversità. No, quindi, a scorciatoie utili solo a raggiungere il 30% solo sulla carta».

Il Panda fa presente che siamo molto lontani dal 30%: «Ad oggi solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e la superficie cumulativa dell’area a protezione integrale (no-go, no-take o no-fishing) rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo, una cifra esigua schiacciata dalle minacce che incombono sul resto del Mediterraneo: oltre a perdita di habitat marini, pesca eccessiva e/o illegale, traffico marittimo e inquinamento acustico e chimico, su tutte preme il cambiamento climatico, che nel nostro mare provoca un aumento della temperatura dell’acqua del 20% più veloce della media globale con alterazioni degli habitat e della distribuzione e sopravvivenza delle specie autoctone.  Tutte queste pressioni antropiche hanno provocato una drammatica diminuzione delle popolazioni marine e costiere, con più di 78 specie marine e 158 specie costiere attualmente a rischio di estinzione, mentre tutti gli habitat marini sono in stato di conservazione sfavorevole».

E anche il Wwf dopo BLOOM ieri, denuncia che «Le aree marine protette ad oggi esistenti, inclusa la Rete Natura 2000, non sono messe nelle condizioni di compiere il proprio lavoro di “banche del mare”:  più del 95% di ciò che dovrebbe essere protetto nel Mediterraneo non è soggetto a regolamenti sufficientemente severi da conferire alcun beneficio ecologico (basti pensare che solo 10% delle aree marine protette esistenti implementa adeguatamente i propri piani di gestione).In Italia in particolare, la maggior parte delle AMP esistenti lamenta una carenza di personale competente, di sorveglianza efficace e una difficoltà a reperire i finanziamenti per assicurare l’implementazione di azioni di conservazione e un monitoraggio , mentre la maggior parte dei siti Natura 2000 marini sono ancora privi di misure di conservazione, tanto che la Commission Europea ha avviato nel 2024 un’altra procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata attuazione delle misure previste dalla Direttiva Habitat sui Siti Natura 2000».

Ma ci sono anche Aree Marine Protette efficacemente gestite e sorvegliate favoriscono la rigenerazione degli stock ittici non solo all’interno ma anche nelle aree di pesca circostanti, contribuendo alla sostenibilità delle attività di pesca. Uno studio citato nel report del Wwf e realizzato in 24 AMP del Mediterraneo ha dmostrato che «Le aree integralmente protette nelle AMP avevano una biomassa di specie ittiche doppia rispetto alle aree esterne, con effetti maggiori sulle specie di interesse commerciale: la cernia bruna (Epinephelus marginatus) raggiungeva una biomassa 10 volte superiore nelle AMP e la biomassa dei saraghi (Diplodus spp.) era 2.8 volte quella esterna».  Un altro studio ha mostrato che   «L’abbondanza e la biomassa dei pesci aumentano del 33% e del 54%, rispettivamente, immediatamente al di fuori di 23 AMP del Mediterraneo grazie all’effetto spill-over».

e uno dei casi di studio riportati anche nel report è quello di Torre Guaceto del cui consorzio di gestione fa parte anche il Wwf: «L’efficace protezione dell’area ha reso Torre Guaceto un’importante zona di riproduzione per diverse specie ittiche, che al suo interno possono raggiungere un numero e dimensioni tali da garantire una maggiore produzione di uova e larve, le quali, disperdendosi grazie alle correnti marine,  contribuiscono alla rigenerazione delle popolazioni ittiche fino a 100 km di distanza dall’AMP».

Il Wwf evidenzia che «Torre Guaceto è diventata negli anni una vera e propria banca del mare: nel 2015, il valore economico netto di una giornata all’interno dell’AMP era approssimativamente il doppio di quello ottenuto al di fuori di essa (in media 140 €/giorno contro 70 €/giorno). Questo aumento è attribuibile sia alla maggiore cattura per unità di sforzo (CPUE) che alla dimensione maggiore dei pesci, il che si traduce in un prezzo più elevato al chilogrammo.  Secondo un sondaggio condotto tra i pescatori di Torre Guaceto, infatti, il prezzo di mercato per kg di otto specie di pesci era tra il 39% e il 67% più alto quando il pesce era stato catturato all’interno dell’AMP rispetto all’esterno. Attenzione alle rapine in banca però: l’incremento della pesca illegale sta mettendo a repentaglio gli anni di investimento dei pescatori locali e sta depredando l’AMP dei suoi tesori. Per questo è urgente un rafforzamento delle azioni di sorveglianza, con una revisione del sistema controlli in AMP a livello nazionale».

Nonostante la difficoltà e i ritardi italiani il Wwf resta quindi più che convinto che «La preservazione di ecosistemi sani all’interno delle AMP e dei siti protetti aumenta la resilienza degli ambienti marini agli impatti dei cambiamenti climatici, contribuendo alla conservazione delle risorse marine a lungo termine. Grazie alla protezione da parte delle AMP di ecosistemi prioritari come, ad esempio, le praterie di posidonia oceanica si contrastano i cambiamenti climatici. Infatti, la posidonia, grazie agli elevati tassi di fotosintesi, assorbe grandi quantità di CO2 (fino a 426,6 g C m2) e rilascia un’elevata quantità di O2 (fino a 20 L di O2 per m2), contrastando così sia l’effetto serra che l’acidificazione del mare. Inoltre, è stato dimostrato che le AMP mantengono la capacità di supportare una maggiore biomassa ittica rispetto alle zone pescate anche attraverso diversi gradienti di temperatura. Lo strumento esiste e funziona, è ora di investire nella protezione del nostro Capitale Blu».

E poi c’è il forziere di biodiversità del Mar Mediterraneo che «Nonostante la sua modesta estensione, rappresenta un tesoro inestimabile di biodiversità marina – conclude il Wwf –  Con solo l’ 0,82% della superficie oceanica mondiale, questo mare ospita, dal 4% – 18% della biodiversità marina conosciuta a livello globale, con oltre 17.000 specie identificate. Inoltre, circa un terzo delle specie presenti nel Mediterraneo sono endemiche, il che significa che si trovano esclusivamente in quest’area, conferendo al mare nostrum un ruolo cruciale nella conservazione della diversità biologica. Questa ricchezza di biodiversità si traduce in servizi ecosistemici essenziali, come il sequestro di anidride carbonica dall’atmosfera: il Mar Mediterraneo agisce come un importante serbatoio di carbonio, con un flusso stimato di 17,8 milioni di tonnellate di CO2 assorbite annualmente, il che rappresenta lo 0,9% del flusso globale di carbonio oceanico, contribuendo così alla mitigazione del cambiamento climatico».