Alla COP27 le sfide e le soluzioni dell'agricoltura di fronte al cambiamento climatico
Adattarsi o morire di fame (VIDEO)
Fao «La prima cosa che il mondo dovrebbe fare è affrontare lo spreco alimentare, che è responsabile dell'8% delle emissioni globali di gas serra»
[14 Novembre 2022]
I piccoli contadini dei Paesi in via di sviluppo producono un terzo del cibo mondiale ma, anche se sono costretti a far fronte a siccità, inondazioni, cicloni e altri disastri ricevono solo l’1,7% dei finanziamenti per il clima. E’ questa consapevolezza che il 12 novembre ha fatto da sfondo alle iniziative tenutesi alla COP27 Unfccc di Sharm el-Sheikh sull’adattamento dell’agricoltura e dei sistemi alimentari nel contesto del cambiamento climatico.
Sabrina Dhowre Elba, goodwill ambassador dell’International Fund for Agricultural Development (IFAD), ha sottolineato che «Dobbiamo aiutare le popolazioni rurali a costruire la loro resilienza agli eventi meteorologici estremi e ad adattarsi ai cambiamenti climatici. In caso contrario, passeremo solo da una crisi all’altra. Gli agricoltori su piccola scala lavorano duramente per coltivare cibo per noi in condizioni difficili»
La Dhowre Elba è somala e ha detto che «Questo per me è un problema personale: all’inizio della COP27, il mio Paese ha vissuto 4 stagioni consecutive delle piogge fallite, un evento climatico che non si vedeva da 40 anni. Non posso restare a guardare mentre madri, famiglie e agricoltori stanno soffrendo in tutto il Corno d’Africa mentre sta vivendo la più grave siccità della storia recente. Esorto i Paesi sviluppati a mobilitare volontà politica e investimenti. Per affrontare la pandemia di Covid-19 e le sue conseguenze economiche, sono stati messi a disposizione trilioni di dollari. Lo stesso è necessario per il cambiamento climatico. Lo stesso è necessario per il sostegno all’agricoltura sostenibile. E’ fondamentale per il benessere e la sicurezza alimentare di tutti noi».
Dina Saleh, direttrice regionale dell’IFAD, ha spiegato che «Il mancato aiuto delle popolazioni rurali ad adattarsi potrebbe avere conseguenze pericolose, portando a povertà, migrazioni e conflitti più lunghi. Questo è il motivo per cui oggi chiediamo ai leader mondiali delle nazioni sviluppate di onorare la loro promessa di fornire 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima alle nazioni in via di sviluppo e di incanalare la metà di tale importo per l’adattamento climatico». Un impegno, preso 13 anni fa alla COP15 Unfccc di Copenaghen dai Paesi sviluppati e che non è stato mai mantenuto. La Saleh ha avvertito che «Esiste una finestra stretta per aiutare i poveri delle zone rurali a sopravvivere e proteggere le loro comunità. I raccolti potrebbero ridursi fino al 50% entro la fine del secolo. La scelta è tra adattarsi o morire di fame. Chiedo alla OP27 di parlare di azione, credibilità e giustizia per l’invisibile e il silenzioso».
Proprio per affrontare questi temi, l’11 novembre la presidenza egiziana della COP27 ha lanciato la nuova iniziativa Food and Agriculture for Sustainable Transformation (FAST), per migliorare la quantità e la qualità dei contributi finanziari per il clima per trasformare l’agricoltura e i sistemi alimentari entro il 2030 e assicura che «Il programma di cooperazione avrà risultati concreti per aiutare i Paesi ad accedere ai finanziamenti e agli investimenti per il clima, aumentare le conoscenze e fornire supporto politico e dialogo». La Fao, insieme ad altre agenzie Onu, sarà il facilitatore di questa iniziativa che, secondo Zitouni Ould-Dada, vicedirettore della divisione clima e ambiente della Fao, «Pone l’agricoltura al centro degli sforzi per affrontare il cambiamento climatico. Il messaggio è davvero quello di riconoscere che l’agricoltura deve essere parte integrante della soluzione alla crisi climatica».
Ma intanto l’agricoltura e l’industria alimentare sono duramente colpite cambiamenti climatici mentre contribuiscono per circa un terzo alle emissioni globali di gas serra, dalla produzione al consumo e Ould-Dada sottolinea che «Deve esserci una trasformazione del sistemi agroalimentari. Non possiamo continuare con il modello attuale di produrre cibo e poi degradare il suolo, diminuire la biodiversità, incidere sull’ambiente. No. Deve essere sostenibile. Se vengono fatte le scelte giuste, l’agricoltura può essere una parte importante della soluzione per combattere la crisi climatica sequestrando il carbonio nel suolo e nelle piante e promuovendo adattamento e resilienza. Con il modello attuale, con la minaccia del cambiamento climatico, non possiamo produrre il cibo per sfamare e nutrire una popolazione in crescita. Non possiamo. La prima cosa che il mondo dovrebbe fare è affrontare lo spreco alimentare, che è responsabile dell’8% delle emissioni globali di gas serra. Abbiamo circa 828 milioni di persone che soffrono la fame ogni giorno. Eppure, buttiamo via un terzo del cibo che produciamo per il consumo umano. Dobbiamo cambiare la nostra mentalità, il nostro modello di produzione, in modo da non perdere e sprecare cibo. In termini di soluzioni, sfruttare il potere dell’innovazione è fondamentale per ridurre le emissioni, aiutare ad adattare l’agricoltura ai cambiamenti climatici e renderla più resiliente alle avversità, non solo causate dai cambiamenti climatici, ma anche da pandemie o guerre, come l’attuale situazione in Ucraina. Innovazione in senso lato, come l’agricoltura di precisione nella quale l’irrigazione a goccia è combinata con l’energia rinnovabile in modo da avere efficienza. Ma anche l’innovazione che sfrutta la conoscenza tradizionale dei piccoli agricoltori è importante, perché avviane continuamente».
Mentre nelle sale climatizzate di Sharm el-Sheikh si discuteva di clima e agricoltura. una massiccia protesta guidata da una coalizione di organizzazioni ambientaliste, femminili, indigene, giovanili e sindacali ha preso il controllo delle strade e dei percorsi tra i padiglioni della COP27. Hindou Oumarou Ibrahim, ambientalista ciadiano e sostenitore degli Obittivi di sviluppo sostenibile (SDG) ha sottolineato che «Il diritto alla terra, i diritti alle risorse, i diritti umani, i diritti delle popolazioni indigene, le perdite e i danni devono essere presenti in tutti i testi negoziali…. Gli 1.5° C non sono un obiettivo negoziabile, questo è ciò che rappresentiamo qui. La mia gente sta morendo a causa delle inondazioni, della siccità, mentre alcune comunità indigene nel Pacifico stanno perdendo le loro terre ancestrali. Vogliamo avere giustizia. Giustizia per il nostro popolo, per le nostre economie per le perdite e i danni. Stiamo perdendo la nostra cultura, la nostra identità, la nostra vita e questi non sono pagabili, ma i finanziamenti per il clima devono essere consegnati».
Poi, mentre i manifestanti scandivano lo slogan “no fossil fuel colonialism”, il famoso ambientalista nigeriano Nnimmo Basse ha denunciato che «La COP27 ha perso ed è danneggiata per aver consentito la partecipazione di grandi inquinatori. In questo momento, l’Africa viene aggredita. Le compagnie minerarie e petrolifere e del gas affondano le loro macchine sporche in tutto il continente distruggendo, uccidendo, rubando. Se i Paesi possono spendere 2 trilioni di dollari all’anno in guerra, distruzione e uccisione, possono spenderli per pagare la resilienza. Non chiediamo 100 miliardi di dollari. Non chiediamo 200 miliardi di dollari. Chiediamo un debito che è dovuto e deve essere pagato. Pagate il debito climatico».
Il 12 novembre, John Kerry, inviato speciale degli Stati Uniti per l’azione per il clima, ha cercato di mettere una pezza ai silenzi di Joe Biden su queste richieste dei Paesi in via di sviluppo e delle ONG e in una conferenza stampa ha detto che il suo Paese «E’ totalmente favorevole alla spinta ad affrontare perdite e danni, la questione più spinosa finora nei negoziati della COP27. Ci siamo impegnati con i nostri amici per elaborare le proposte. Anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sostiene l’iniziativa».
Ma il problema è che i Paesi ricchi dovevano arrivare alla COP27 con le proposte già fatte e i soldi in mano, mentre la questione dei danni e delle perdite è stata inserita all’ordine del giorno della COP27 solo grazie alle pressioni gruppo negoziale dei 77 e Cina, che comprende sostanzialmente tutti i Paesi in via di sviluppo e che punta a creare una struttura finanziaria per perdite e danni che possa fornire un risarcimento monetario alle nazioni più colpite dai cambiamenti climatici, ma con meno responsabilità per le emissioni di gas serra.