Affidarsi alla rimozione della CO2 è probabilmente incompatibile con il diritto internazionale
La Carbon Dioxide Removal potrebbe essere il prossimo fallimento dell’azione climatica ad essere contestato in tribunale
[20 Novembre 2023]
Lo studio “Legal limits to the use of CO2 removal to meet climate goals”, pubblicato recentemente su Science da Rupert F. Stuart-Smith, Lavanya Rajamani e Thom Wetzer dell’università di Oxford, Joeri Rogelj dell’Imperial College London. In vista della 28esima conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP28 Unfccc),avverte che «Gli stati che fanno eccessivo affidamento sulla futura rimozione del biossido di carbonio (CDR) per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi potrebbero violare il diritto internazionale».
La Carbon Dioxide Removal (CDR) catturare la CO2 dall’atmosfera e la stocca sotto terra, nell’oceano, in formazioni geologiche o in prodotti. Anche se alcuni progetti CDR hanno dimostrato progressi, le tecnologie sono ancora nelle fasi sperimentali, ma i ricercatori ricordano che «L’incapacità di molti governi di ridurre le emissioni abbastanza velocemente li lascerà fortemente dipendenti dal CDR per poter raggiungere i loro obiettivi climatici» e gli autori dello studio dimostrano come questo presenti una serie di rischi. Ecco i principali: Il CDR non verrà utilizzato ai livelli previsti in futuro: un rischio amplificato dalla mancanza di impegni giuridicamente vincolanti per portare il CDR ai livelli necessari; Nel tempo, la CO2 rimossa dal CDR ritorna nell’atmosfera; Fare eccessivo affidamento sul CDR porta al temporaneo superamento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, esponendo il mondo a maggiori impatti dei cambiamenti climatici e gravando sulle generazioni future con il recupero delle emissioni in eccesso dall’atmosfera, combattendo al contempo i crescenti impatti dei cambiamenti climatici; Problemi sociali, economici e ambientali, compresa la concorrenza con l’agricoltura per la terra.
I ricercatori sono convinti che «Questi rischi mettono a repentaglio l’obiettivo dell’Accordo di Parigi e non sono in linea con gli impegni dei Paesi di fornire contributi “giusti” e “ambiziosi” all’obiettivo zero emissioni, in linea con la migliore scienza disponibile. Per questo motivo, i paesi che fanno molto affidamento sul CDR potrebbero non essere allineati con le norme e i principi del diritto internazionale».
L’autore principale dello studio, Stuart-Smith dell’Oxford Sustainable Law Program della mith School di Oxford, spiega che «Non c’è modo di raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi senza rimuovere parte della CO2 dall’atmosfera. Tuttavia, esiste una grande differenza tra i percorsi verso il net zero che non riescono a ridurre adeguatamente le emissioni nel breve termine e non ci lasciano altra scelta se non quella di recuperare grandi quantità di emissioni dall’atmosfera nei decenni successivi, e quelli che comportano tagli drastici e immediati. delle emissioni – almeno il 50% in questo decennio – e di non lasciare un onere di risanamento così pesante alle generazioni future. I politici devono riconoscere questo punto e, se non agiscono di conseguenza, gli obiettivi climatici potrebbero essere messi in discussione in tribunale».
Lo studio fornisce esempi di precedenti casi giudiziari che secondo hanno già costituito un precedente per azioni legali, tra cui Urgenda Foundation contro Stato dei Paesi Bassi, che ha costretto il governo olandese a ridurre le emissioni del 25%.
Rogelj. professore di scienze e politiche climatiche all’Imperial College di Londra, commenta: «Un’azione inadeguata a breve termine crea una dipendenza dalle rimozioni a lungo termine. Se le emissioni che portano al net zero sono troppo elevate, le generazioni future si ritrovano a dover affrontare un’eredità costosa che le espone a rischi aggiuntivi. Senza una guida legale e limiti all’uso del CDR negli obiettivi climatici, l’eccessivo affidamento sulle rimozioni potrebbe essere il prossimo aspetto del fallimento dell’azione climatica ad essere contestato in tribunale».
La Rajamani, professoressa di diritto ambientale internazionale alla Facoltà di Giurisprudenza di Oxford, fa notare che «Gli Stati che cercano di evitare il duro lavoro di mitigazione a breve termine facendo affidamento su estese rimozioni in futuro, probabilmente violeranno le norme e i principi del diritto internazionale. Abbiamo bisogno di vedere impegni più ambiziosi nel breve termine per la riduzione delle emissioni di gas serra da parte degli Stati, seguiti da un’attuazione rigorosa e da una solida responsabilità».
Wetzer, professore associato di diritto e finanza e direttore dell’Oxford Sustainable Law Program, aggiunge: «Le politiche climatiche di molti Paesi sono incompatibili con l’Accordo di Parigi, a meno che in futuro grandi quantità di CO2 non vengano rimosse dall’atmosfera. Mentre i governi si avviano ai negoziati sul clima della COP28 a dicembre, dovrebbero concentrarsi su azioni a breve termine per ridurre le emissioni piuttosto che su promesse di future rimozioni, altrimenti rischiano di essere contestati in tribunale».
La Maxwell, avvocata per il clima e i diritti umani e co-direttrice del Climate Litigation Network, un progetto della Urgenda Foundation, conclude: «Negli ultimi dieci anni, il contenzioso climatico è diventato un potente strumento con il quale le comunità possono ritenere i propri governi responsabili. Guardando al futuro, è probabile che, se non rafforzano l’ambizione e la trasparenza dei loro obiettivi climatici, i governi si trovino ad affrontare sfide legali per la loro dipendenza dalla rimozione del carbonio».