Alimenti ultra-processati e riscaldamento globale: un legame sempre più evidente
L'aumento del consumo di cibi ultra-processati, come bibite gassate, succhi di frutta, merendine, zuppe pronte, cibi precotti, ha un impatto sull'ambiente
[17 Novembre 2021]
Il nuovo studio “Greenhouse gas emissions, water footprint, and ecological footprint of food purchases according to their degree of processing in Brazilian metropolitan areas: a time-series study from 1987 to 2018”, pubblicato su The Lancet Planetary Health da un team di ricercatori di Universidade de São Paulo, City University of London, università di Manchester, Brunel University e università di Sheffield si occupa dell’evoluzione della dieta brasiliana che negli ultimi 30 anni , ma rivela che «L’aumento del consumo di alimenti ultra-processati ha un impatto significativo sull’ambiente» a livello globale. Gli alimenti ultra-lavorati includono prodotti ricostituiti, come salsicce, piatti pronti industriali, margarine, dolci, bibite e altri alimenti contenenti additivi artificiali come dolcificanti e aromi.
Alla City University of London fanno notare che «Lo studio è il primo del suo genere a utilizzare dati rappresentativi a livello nazionale su un periodo di tempo così lungo per dimostrare come i cambiamenti nella dieta di una nazione possano influenzare il suo contributo al cambiamento climatico».
Il Brasile pè stato preso come caso di studio perché tra il 1987 e il 2018 ha vissuto una transizione nutrizionale verso una dieta ricca di alimenti ultra-processati che, secondo lo studio, «Di tutti i tipi di cibo consumati, essi contribuiscono maggiormente all’aumento delle emissioni di gas serra, all’impronta idrica del paese e all’impronta ecologica, come la deforestazione».
I ricercatori evidenziano che «Mentre gli effetti negativi sulla salute di un elevato consumo di alimenti ultra-processati sono stati evidenziati per più di un decennio – compresi i collegamenti all’obesità, malattie coronariche, diabete e cancro – gli effetti sul pianeta erano precedentemente in gran parte sconosciuti».
Lo studio ha calcolato l’impatto ambientale degli acquisti alimentari, per 1.000 calorie (kcal) consumate, per 4 gruppi di alimenti elencati dalla classificazione NOVA, che non prende in considerazione i valori nutrizionali degli alimenti ma pone l’attenzione sulla lavorazione e sulla trasformazione del cibo: 1. alimenti non trasformati o minimamente lavorati (cibi freschi come frutta e verdura, carne, pesce, uova, latte, ecc.); 2. ingredienti culinari lavorati (tipici prodotti da dispensa come zucchero, sale, miele, oli vegetali, burro, etc.); 3. cibi processati (che hanno subito cottura e conservazione come verdure e legumi in scatola, carni lavorate, pane, birra, vino); 4. alimenti ultra-processati (cibi industriali con aggiunta di additivi come stabilizzanti e conservanti, ad es. bibite gassate, succhi di frutta, merendine, zuppe pronte, cibi precotti).
Lo studio ha scoperto che «Mentre la proporzione di alimenti dei primi due gruppi nella dieta della famiglia brasiliana tipo era diminuita, il consumo di alimenti dei gruppi 3 e 4 era aumentato. Il crescente impatto ambientale degli alimenti del quarto gruppo è dovuto all’aumento del consumo di carne ultra-lavorata, che ha almeno raddoppiato il suo contributo all’impatto ambientale giornaliero per persona, raggiungendo circa il 20% dell’impronta totale legata alla dieta in un periodo di 30 anni».
Ne è venuto fuori che «Per ogni 1.000 calorie consumate, questi cambiamenti alimentari sono stati associati a un aumento del 21% del contributo alle emissioni di gas serra, un aumento del 22% del contributo all’impronta idrica della nazione e un aumento del 17% del contributo alla sua impronta ecologica».
La principale autrice dello studio, la nutrizionista Jacqueline Tereza da Silva del dipartimento di medicina preventiva dell’Universidade de São Paulo, ha sottolineato che «La relazione tra i sistemi alimentari e il cambiamento climatico è complessa e sfida la sicurezza alimentare stessa. I sistemi alimentari sono responsabili di un terzo delle emissioni globali di gas serra, eppure, allo stesso tempo, soffrono degli impatti climatici che essi stessi contribuiscono a causare».
Un altro autore dello studio Christian Reynolds, del Centre for Food Policy della City University of London, aggiunge: «Per la nostra salute e sostenibilità, gli alimenti ultra-processati sono già un problema enorme e crescente. I nostri risultati suggeriscono che le malattie legate alla dieta e il cambiamento climatico condividono le stesse cause e devono quindi essere affrontati contemporaneamente. Dovrebbero essere prese in considerazione azioni e politiche rivolte a diverse aree. Per esempio, interventi fiscali come tasse o sussidi, regolamentazione della pubblicità e migliore etichettatura di cibo e menu con impatto ambientale»
Gli esperti dicono che i Paesi occidentali hanno subito una transizione nutrizionale simile negli ultimi cent’anni e avvertono che «Con lo sviluppo delle economie di più Paesi, la tendenza verso il consumo di cibo ultra-processato sta aumentando, il che potrebbe minare la loro capacità di soddisfare gli obiettivi del cambiamento climatico».