L'Italia maggiore importatore Ue: +1,4 milioni di tonnellate
Aumenta il consumo di carne, e anche quello delle emissioni “nascoste” di gas serra
Le emissioni sono addebitate al paese produttore e non all'importatore
[18 Novembre 2014]
Quante sono le emissioni di gas serra “nascoste” in un piatto di carne? Nello studio “CH4 and N2O emissions embodied in international trade of meat”, un team internazionale di ricercatori dell’università di Siena (Dario Caro e Simone Bastianoni), dell’università di California Irvine (Anna Lo Presti e Steven J Davis) e del Carnegie Institution for Science di Stanford (Ken Caldeira) ha calcolato l’ammontare di metano e di protossido di azoto che i diversi Paesi rilasciano nell’atmosfera durante la produzione di carne, assegnando poi questa quota di emissione alle nazioni nelle quali quella carne viene effettivamente consumata».
Lo studio pubblicato in sintesi su IopScience – Environmental Research Letters calcola così che le emissioni “nascoste”, perché vengono assegnate al Paese produttore e non al Paese importatore «sono cresciute del 19% negli ultimi 20 anni».
La ricerca sottolinea «l’importanza di aggiornare il computo delle emissioni dei paesi in base al consumo dei prodotti, e non in base alla produzione». Il principale autore dello studio, Dario Caro, che oltre che per l’università di Siena lavora anche con il Department of Global Ecology della Carnegie Institution for Science, evidenzia che «al momento, tutte le politiche ambientali trascurano le emissioni incorporate nel commercio. I paesi non tengono conto delle emissioni di gas serra che stanno provocando altrove. In pratica, i paesi importatori scaricano le proprie responsabilità in termini di emissioni ad altre nazioni».
Il team di ricercatori italo-americano afferma così che è la Russia il maggiore importatore al mondo di emissioni “incorporate” nella carne, ma hanno anche rilevato «un grande flusso di emissioni che “scorre” tra i paesi europei» e, per quanto riguarda l’Unione Europea, «l’Italia, che importa grandi quantità dei carne dalla Francia, causa 1.4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno, ed è il più grande importatore di emissioni “nascoste”. Al secondo posto la Grecia, che, sempre dalla Francia, importa una quantità di carne che equivale all’emissione di 1.2 milioni di tonnellate di gas serra».
La ricerca spiega che «un Paese in via di sviluppo ad esempio, per mancanza di infrastrutture specifiche tende a produrre una grande quantità di emissioni negli allevamenti, e queste aumentano quando cresce la domanda di carne da parte di altre nazioni importatrici. Situazione che si sta verificando per esempio in Brasile, che è un grande esportatore». Secondo Caro, «Così i Paesi sviluppati stanno in qualche modo sfruttando le risorse dei paesi come il Brasile per soddisfare i loro consumi, senza essere minimamente responsabilizzati da un punto di vista ambientale. E non dobbiamo pensare solo alla produzione diretta di carne ma anche alle coltivazioni per la produzione di mangimi».
Lo studio ha esaminato tutti i 237 Paesi del Mondo, rilevando che «Nel 2010, 36,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalente sono state relative alla carne prodotta in un Paese ma consumata in un altro. La gran parte delle emissioni deriva dal consumo di bovini (26,7 Mt di CO2eq), mentre in misura molto minore dal consumo di suini (7,3 Mt) e pollame (2,1 Mt)».
Studi precedenti avevano quantificato le emissioni internazionali di CO2 “nascoste” nei prodotti commerciati, ma non avevano rilevato dati su potentissimi gas serra come il metano e il protossido di azoto, che rappresentano circa il 27.7% dei gas serra mondiali e gli allevamenti di bestiame producono un terzo di questo tipo di emissioni.
«Ora vogliamo proseguire la ricerca includendo tutte le emissioni che si producono non solo negli allevamenti ma anche nella produzione industriale di carne e nel trasporto, oltre che nel consumo di terra, acqua ed energia necessario alla commercializzazione di questi prodotti a livello internazionale. Inoltre – conclude Caro – con la collaborazione dell’università della California-Davis, stiamo lavorando sulla valutazione di alcuni importanti additivi da aggiungere ai cibi degli animali, allo scopo di mantenere la loro produttività attraverso un contemporaneo aumento delle loro prestazioni ambientali».