Riceviamo e pubblichiamo
Bombe d’acqua a Palermo e non solo, tutta colpa del “maltempo” e della crisi climatica?
Le città devono essere ri-progettate come delle “sponge city” in grado di assorbire l’acqua piovana e ridurre i rischi di allagamento determinati dall’eccessiva impermeabilizzazione
[20 Luglio 2020]
L’Italia è un paese ad elevato rischio idrogeologico: 7.145 sono i comuni che hanno almeno un’area classificata ad elevato rischio.
I dati relativi agli eventi alluvionali occorsi nei centri urbani forniscono ulteriori dettagli relativi ai punti maggiormente critici dell’assetto idraulico. Uno dei punti più pericolosi dell’assetto idrogeologico urbano è rappresentato dai sottopassi (ad es. ponti ferroviari e rilevati stradali) in quanto causano deficit di funzionamento dal punto di vista della capacità di smaltimento delle acque nelle piene improvvise.
L’assetto idrogeologico urbano è, inoltre, influenzato dal pessimo stato di manutenzione delle opere idrauliche, dagli alvei impermeabilizzati e/o con flusso ristretto. Le reti idriche di molte città, infatti, sono vetuste e caratterizzate da un’elevata dispersione di acqua. La maggior parte delle città non riceve una regolare e sufficiente fornitura di acqua potabile, mentre altre non dispongono di adeguati sistemi di fognatura e depurazione e, infine, pochissime effettuano la raccolta separata, il trattamento ed il recupero delle acque meteoriche.
Le città, inoltre, sono interessate da fenomeni di esondazione determinati da una non adeguata ampiezza delle sezioni di deflusso di alcuni corsi d’acqua che la attraversano.
La realizzazione di edifici, strade e parcheggi impedisce alla pioggia di ricaricare le falde acquifere.
Possibili soluzioni
I danni arrecati dalle recenti alluvioni e le possibili vittime sono il risultato dell’incuria, della negligenza da parte dell’amministrazione e della cattiva gestione del territorio.
Le cause di tali disastri, infatti, sono da ricercarsi nella canalizzazione dei fiumi (in un alveo ridotto tra le sponde artificiali la velocità diviene elevata e il picco di esondazione viene raggiunto velocemente), nei sottopassi che producono un deficit di funzionamento dal punto di vista della capacità di smaltimento delle acque nelle piene improvvise, nell’assenza di una legge sul consumo di suolo e nel sistema corruttivo teso ad agevolare il rilascio delle autorizzazioni nel campo edilizio.
Non è continuando ad intubare o deviare il corso dei fiumi, ad alzare argini o ad impermeabilizzare altre aree urbane che possiamo dare risposta ad equilibri climatici ed ecologici complessi che hanno bisogno di analisi nuove e moderni programmi a lungo termine di adattamento.
È necessario porre come obiettivo centrale dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) la programmazione di misure di mitigazione dello stato di pericolo geologico-idraulico; purtroppo negli ultimi decenni si è assistito, invece, ad una pianificazione territoriale ed urbanistica insufficiente e non adeguata all’obiettivo primario.
Pertanto, non si può prescindere dal rendere tempestivamente operative le seguenti attività: monitorare costantemente il territorio e tutelare le zone già sottoposte a vincolo idrogeologico e paesaggistico per evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio in aree allagabili, rispettare il principio di invarianza idraulica, introdurre la chiave dell’adattamento climatico nella pianificazione di bacino e negli interventi di messa in sicurezza dei fiumi nelle aree urbane, approvare piani di monitoraggio e tutela degli ecosistemi più sensibili ai cambiamenti climatici sul territorio e subordinare al vincolo di inedificabilità le aree ancora libere dalla edificazione come quelle agricole, incolte e naturali.
Infine per ridurre l’impatto di siccità e inondazioni occorre ristabilire nelle città i flussi naturali dell’acqua in quanto l’acqua è una risorsa da proteggere e il suo utilizzo include sistemi di raccolta, trattamento e riciclaggio.
Occorre, infatti, restituire alle aree urbanizzate la capacità di laminare ed infiltrare l’acqua di pioggia attraverso i sistemi urbani di drenaggio sostenibili (SUDS) come, ad esempio, i dispositivi filtranti, le vasche d’acqua, i giardini verdi, i tetti verdi, i canali vegetati, i box alberati filtranti, gli stagni, le aree di ritenzione vegetata e le pavimentazioni permeabili come i sampietrini ed i masselli di calcestruzzo con il riempimento delle fughe costituito da sabbia.
Nel dettaglio, i box alberati filtranti possono essere realizzati con differenti materiali (ad es. plastica, calcestruzzo e acciaio). Tali strutture sono in grado di supportare i carichi statici e dinamici a cui possa essere soggetto il box, prevenendo il compattamento del materiale di riempimento.
L’individuazione delle alberature idonea è strettamente connessa componenti tecniche (i.e. adattabilità a condizioni di asciutto/bagnato), estetiche o paesaggistiche. La scelta deve essere effettuata da un architetto paesaggista o da un agronomo. In generale, le caratteristiche delle alberature idonee per la realizzazione di tali sistemi sono: la chioma ben sviluppata, la lunga aspettativa di vita, la crescita rapida, la tolleranza a periodi di siccità e a brevi periodi di allagamento, La resistenza agli inquinanti presenti nelle acque e nell’aria in ambiente urbano, lo sviluppo radicale esteso, la corteccia ruvida, il fogliame opaco, lo sviluppo verticale dei rami e la tolleranza a acque saline.
I dispositivi filtranti possono essere pluviali, centrifughi e autopulenti. I primi dispositivi sono installati direttamente lungo la condotta del pluviale e hanno la stessa sezione della tubazione. All’interno è presente un elemento di intercettazione costituito, generalmente, da una griglia metallica che garantisce un’azione di filtraggio dei materiali più grossolani presenti nelle acque piovane di raccolta come, ad esempio sassolino, foglie, residui di tegole e detriti, in condizioni di precipitazioni normali.
La porzione d’acqua che penetra attraverso il filtro viene deviata esternamente al pluviale e inviata al serbatoio di stoccaggio, mentre i residui intercettati e dilavati dalla rimanente acqua vengono convogliati verso il sistema di smaltimento.
Il filtro centrifugo è interrato e costituito da una camera filtrante accessibile mediante un’apertura superiore dotata di coperchio. L’acqua meteorica arriva tangenzialmente tramite pluviale, viene immessa nella camera filtrante dove, sfruttando il principio della velocità d’ingresso, viene filtrata da una griglia, che intercetta e separa gli eventuali corpi sospesi, e fatta defluire successivamente, convogliandola verso il serbatoio.
I detriti separati vengono convogliati al centro in una tubazione raccordata e inviati al sistema di smaltimento.
Il dispositivo filtrante autopulente può essere sia interrato che installato in superficie. L’acqua si immette nel sistema a caduta, passa sul filtro e percola in gran parte nella zona sottostante depositando le impurità sulle maglie del setaccio. La quota restante d’acqua, che non può essere filtrata a causa della presenza dei residui intercettati, produce un effetto di dilavamento su questi ultimi trascinandoli verso lo scarico di evacuazione collegato al sistema fognario. L’efficienza del sistema dipende in gran parte dalla pulizia periodica del filtro a cui si può accedere attraverso il coperchio del chiusini.
Le infrastrutture, quindi, dovranno essere realizzate in modo da consentire all’acqua di percolare nel terreno per alimentare la falda freatica. È necessario, altresì, un adeguamento gestionale e tecnico delle infrastrutture idrauliche al mutare delle condizioni climatiche e demografiche al fine di ridurre la dispersione nelle reti di distribuzione.
In conclusione nelle città lo sviluppo edilizio e le infrastrutture devono essere complementari e foggiate sull’ecologia, per far sì che la natura si rigeneri e sia in grado di sostenere le popolazioni urbane in rapida crescita. Le reti strutturali presenti nelle città devono essere rappresentate dalle infrastrutture verdi, blu e del riciclo in grado, rispettivamente, di migliorare le condizioni microclimatiche urbane e la qualità dell’aria; di permettere la ritenzione e il riciclo della risorsa idrica, la mitigazione e l’adattamento al rischio idrogeologico; e, infine, di creare delle reti di scarto come le aree dismesse e le matrici inquinate da bonificare e ri-naturare per usi collettivi.
Le città, quindi, devono essere ri-progettate come delle “sponge city” in quanto devono essere in grado di assorbire l’acqua piovana come delle ”spugne” e di ridurre i rischi di allagamento in ambiente urbano determinati dall’eccessiva impermeabilizzazione.
di Ilaria Falconi*
*Tecnico ISMEA presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Consigliere Nazionale SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale), Consigliere SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) Sez. Lazio