Caldo e il freddo non hanno nessun effetto significativo sulla diffusione del Covid-19

Tempo meteorologico e temperature non favoriscono la pandemia che invece si diffonde attraverso gli sposamenti degli esseri umani

[3 Novembre 2020]

All’inizio della pandemia di coronavirus, in molti, anche in Italia, speravano che le calde temperature estive avrebbero potuto ridurre la diffusione del Covid-19. Ma abbiamo dovuto amaramente constatare che come in Africa il caldo non ha fermato la pandemia, così nei Paesi temperati l’estate non solo non ha portato sollievo ma probabilmente, soprattutto da noi e in altri Paesi turistici, è servita a incubare la seconda ondata che rischia di travolgerci. Nonostante tutto questo, il collegamento tra temperature e Covid-19 continua a essere un argomento caldo.

Gli scienziati avvertono che il  collegamento tra tempo, temperature e Covid-19 è qualcosa di molto complicato: «Il tempo influenza l’ambiente in cui il coronavirus deve sopravvivere prima di infettare un nuovo ospite. Ma influenza anche il comportamento umano, che sposta il virus da un ospite all’altro».

Lo studio “Global to USA County Scale Analysis of Weather, Urban Density, Mobility, Homestay, and Mask Use on COVID-19”, pubblicato recentemente sull’International Journal of Environmental Research and Public Health da  Sajad Jamshidi (Purdue University), Maryam Baniasad (Ohio State University) e Dev Niyogi (Università del Texas – Austin) fa un po’ di chiarezza sul ruolo del tempo atmosferico nell’infezione da Covid-19, rivelando che «La temperatura e l’umidità non giocano un ruolo significativo nella diffusione del coronavirus. Questo significa che, se fuori fa caldo o freddo, la trasmissione di Covid-19 da una persona all’altra dipende quasi interamente dal comportamento umano».

Niyogi, che insegna alla Jackson School of Geosciences e alla Cockrell School of Engineering dell’università del Texas, sottolinea che «L’effetto del tempo meteorologico è basso e altre caratteristiche come la mobilità hanno un impatto maggiore del tempo. In termini di importanza relativa, il tempo è uno degli ultimi parametri».

Lo studio definisce il tempo meteorologico come la «temperatura dell’aria equivalente«, che mette insieme in un unico valore la temperatura e l’umidità. Gli scienziati hanno poi analizzato come questo valore tracciando come il coronavirus si è diffuso in diverse aree da marzo a luglio 2020, con la loro scala che va dagli stati e dalle contee degli Stati Uniti, ai Paesi, alle regioni e al mondo in generale.

A livello di contea e Stato Usa, i ricercatori hanno anche studiato la relazione tra infezione da coronavirus e comportamento umano, utilizzando i dati dei cellulari per studiare le abitudini di spostamento.

All’università del Texas – Austin sottolineano che «Lo studio ha esaminato il comportamento umano in senso generale e non ha tentato di collegarlo a come il tempo meteorologico potrebbe averlo influenzato». Ad ogni scala territoriale, i ricercatori hanno adattato le loro analisi in modo che le differenze di popolazione non distorcessero i risultati. E hanno scoperto che, su tutte le scale, il tempo meteorologico non aveva quasi alcuna influenza. «Quando è stato confrontato con altri fattori utilizzando una metrica statistica che scompone il contributo relativo di ciascun fattore verso un particolare risultato -dicono i ricercatori – l’importanza relativa del tempo a livello di contea era inferiore al 3%, senza alcuna indicazione su che un tipo specifico di condizioni meteorologiche promuove la diffusione rispetto a un altro».

Al contrario, i dati hanno mostrato la chiara influenza del comportamento umano e la fortissima influenza dei comportamenti individuali. »Fare viaggi e trascorrere del tempo lontano da casa sono stati i due principali fattori che hanno contribuito alla crescita del  Covid-19 – ribadiscono all’università del Texas – con un’importanza relativa rispettivamente di circa il 34% e il 26%. I successivi due fattori più importanti erano la popolazione e la densità urbana, con un’importanza relativa rispettivamente di circa il 23% e il 13%».

Jamshidi ha aggiunto che «Non dovremmo pensare al problema come a qualcosa determinato dal tempo e dal clima. Dobbiamo prendere precauzioni personali, essere consapevoli dei fattori dell’esposizione urbana».

La Baniasad, che è una biochimica e farmacista, ha ricordato che «Le ipotesi su come il coronavirus risponderebbe alle condizioni meteorologiche sono in gran parte informate da studi condotti in ambienti di laboratorio sui virus correlati. Questo studio illustra l’importanza degli studi che analizzano come il coronavirus si diffonde nelle comunità umane. Quando studi qualcosa in laboratorio, è un ambiente supervisionato. E’ difficile arrivare alla società. Questa è stata la nostra prima motivazione per fare uno studio più ampio».

Marshall Shepherd, che insegna scienze atmosferiche all’università della Georgia e che non ha partecipato allo studio, è convinto che che la ricerca offra importanti spunti sul tempo e sul coronavirus a tutti i livelli: «Questo importante lavoro fa chiarezza su alcune delle insinuazioni sui collegamenti meteo – Covid-19 e sottolinea la necessità di affrontare le sfide scientifiche alle scale appropriate».

Secondo Niyogi , «Una delle lezioni chiave della pandemia di coronavirus è l’importanza di analizzare i fenomeni a “scala umana”, la scala in cui gli esseri umani vivono la loro vita quotidiana. Questa ricerca è un esempio di questo tipo di prospettiva. Il Covid, si afferma, potrebbe cambiare tutto. Abbiamo esaminato le previsioni meteorologiche e climatiche come un sistema che abbiamo ridimensionato, ridotto, ancora ridotto e poi abbiamo visto come potrebbe influenzare gli esseri umani. Ora, abbiamo capovolto la cosa e aumentato la scala, iniziando dalla scala di esposizione umana e poi andando verso l’esterno. Questo è un nuovo paradigma di cui avremo bisogno per studiare l’esposizione ai virus e i sistemi di modellazione ambientale umana che implicano nuove tecniche di rilevamento come l’Intelligenza artificiale».