Quando le “scimmie” erano, bianche, cattoliche, irlandesi e italiane
I cambiamenti climatici, il razzismo e la carestia della patata
La diseguaglianza economica e la xenofobia dilagante rendono peggiori i disastri ambientali
[8 Settembre 2017]
Dopo l’uragano Katrina, decine di migliaia dei cittadini più poveri di New Orleans migrarono a Houston, dove furono accolti con ostilità, faticarono trovare un lavoro decente e vennero accusati di comportamenti criminali. I bravi texani repubblicani sollecitarono il sindaco di Houston a espellere “gli immigrati clandestini di Katrina”, cioè statunitensi come loro. Ora che anche il capoluogo del Texas è stato devastato da un uragano, ancora una volta a subirne le maggiori conseguenze sono state le comunità povere e di colore della città.
E’ una storia raccontata da Jeremy Deaton su Nexus Media, una brutta storia che si ripete e che non sorprende per niente Deaton: «La storia dimostra che i disastri naturali non si verificano nel vuoto. Prendete la fame irlandese delle patate, una delle più grandi catastrofi ambientali dell’era moderna. I fattori ambientali da soli non spiegano il livello delle sofferenze umane. Come Harvey e Katrina, la fame è stata radicalmente peggiorata da un sistema economico ingiusto e da una diffusa xenofobia».
Nel XIX secolo, l’intera Irlanda faceva parte dell’Impero britannico e le ricche famiglie protestanti, legate l’Inghilterra, possedevano la maggior parte della terra e sfruttavano i piccoli contadini poveri cattolici. Mentre i padroni protestanti destinavano immense estensioni di terra all’allevamento di bestiame e per coltivare grano da esportare in Gran Bretagna, ai mezzadri cattolici veniva lasciati piccoli appezzamenti che bastavano appena a far sopravvivere le loro famiglie e che per questo venivano coltivati con una monocoltura ricca di calorie: la patata. Ma all’inizio del 1840 un fungo devastò i piccoli campi di patate, in Irlanda si diffuse la carestia e morirono di fame e inedia un milione di persone, mentre un altro milione di irlandesi migrò in Gran Bretagna, Australia e Nord America. Un esodo dal quale l’Irlanda non si è più ripresa e ancora oggi sull’isola vivono meno persone che prima dell’ Irish Potato Famine.
Kerby Miller, professore emerito di storia all’università del Missouri, ha detto a Deaton: «Fondamentalmente, quello che c’era era una società controllata da ciò che oggi chiameremo capitalismo neoliberista, nella quale i ricchi consideravano i poveri come totalmente superflui. I proprietari terrieri sfruttavano le risorse naturali dell’Irlanda e le persone per produrre ricchezza che poi veniva esportata in Gran Bretagna. Quando la calamità colpì, furono i più poveri a soffrire di più. Una volta che le loro forze per condividere e resistere furono esaurite, le persone si ridussero a combattere in modo omicida per il poco cibo, perché erano così disperatamente accecati dalla fame».
La risposta del colonialismo britannico a questa immane tragedia fu praticamente nulla. Come spiega un altro professore emerito di storia, Jay Dolan dell’università di Notre Dame, «Non si sono affatto rivolti agli irlandesi per aiutarli a sopravvivere alla carestia. Pensavano che fosse una punizione di Dio».
Il ruolo svolto dalla Gran Bretagna nella carestia delle patate ha portato alcuni storici e scienziati a definirla non come un disastro naturale, ma come un genocidio perpetrato contro una minoranza etnica e religiosa.
«La cosa principale con disastri ambientali è che il governo deve fare i passi necessari per rispondere e per cercare di ridurre la sofferenza umana, sia che si tratti di carestia o inondazione o qualunque cosa sia», sottolinea Dolan. Ma la Gran Bretagna non fece assolutamente nulla di tutto questo e «L’inazione è una forma di azione – ricorda Deaton – La negligenza volontaria può avere conseguenze devastanti. Anche per il cambiamento climatico. Le politiche economiche neoliberiste, la deregolamentazione ambientale, i tagli alla ricerca, gli sgravi fiscali agli inquinatori, hanno portato le nazioni ricche come gli Stati Uniti e il Regno Unito a scaricare grandi quantità di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera. La crisi climatica farà del male alle persone in tutto il mondo, ma i Paesi che hanno contribuito al minimo al problema stanno per soffrirne di più. Nei prossimi decenni, il caldo estremo, la forte siccità e le inondazioni pericolose porteranno a migrazioni umane di massa dalle nazioni vulnerabili dell’Asia meridionale, dell’Africa subsahariana e dell’America latina. Il cambiamento climatico sta già esigendo un tributo dagli agricoltori messicani. Gli scienziati dicono che le temperature crescenti potrebbero spingere milioni di immigrati messicani negli Stati Uniti. La carestia della patata dà il senso di quello a cui questo potrebbe somigliare».
Durante la grande fame, come veniva chiamata in Irlanda, centinaia di migliaia di immigrati irlandesi fuggirono negli Usa e si trovarono a fronteggiare l’ostilità dei cosiddetti “native-born Americans”.
«Gli americani anglo-protestanti vedevano gli immigrati irlandesi come politicamente radicali – spiega ancora Miller – I conservatori americani, persone come Alexander Hamilton e John Adams, volevano impedire che tutti gli irlandesi, compresi i protestanti irlandesi, venissero negli Stati Uniti».
Dolan conferma: «Le persone nate in America non erano affatto tolleranti con gli irlandesi. C’erano molti scontri. Il governatore del Massachusetts, Henry Gardner, descrisse gli irlandesi come “un’orda di barbari stranieri”. Motivati dal nativismo e dal sentimento anticattolico, gli amministratori del Massachusetts e di New York deportarono decine di migliaia di immigrati irlandesi impoveriti».
L’isteria anti-immigrati – che colpiva anche gli italiani, forse ancora più odiati e considerati più “alieni” e subumani degli Irlandesi – alimentò l’ascesa del Native American Party, un partito anti-cattolico e anti-immigrati, che nel 1855 venne ribattezzato American Party, ma che era comunemente conosciuto come Know-Nothing. Il repubblicano Abraham Lincoln si lamentò della crescente popolarità di Know-Nothing: «Come nazione, siamo nati dichiarando che” tutti gli uomini sono creati uguali” – scrisse Lincoln in una lettera ad un amico – Quando i Know-Nothings prenderanno il potere, leggeranno: “tutti gli uomini sono creati uguali, tranne i negri, gli stranieri e i cattolici”. Quando questo dovesse succedere, preferirei emigrare in un Paese dove non pretendono di essere amanti della libertà: per esempio in Russia, dove il despotismo può essere preso puro e senza la lega di base dell’ipocrisia».
Alla fine il Know-Nothing Party – che oggi definiremmo populista, xenofobo e fascistoide – è finito nel cestino della storia e gli irlandesi sono diventati una delle colonne portanti della costruzione del sogno americano. Miller fa notare che «Nonostante tutti i timori e le apprensioni che avevano i nativisti o gli anticattolici, un gran numero o una grande maggioranza di queste persone sono state in grado di trovare posti di lavoro. Erano in grado di essere produttivi. Sono stati in grado di mandare i loro figli alla scuola pubblica. Sono stati in grado di adattarsi e assimilarsi. In futuro, se i posti di lavoro saranno disponibili, mi aspetto che gli immigrati avranno successo nell’assimilazione».
Ma il cambiamento climatico minaccia di compromettere l’economia proprio mentre l’automazione spingerà verso la disoccupazione un numero crescente di lavoratori statunitensi, una tendenza già in corso . Miller aggiunge: «Un gran numero di persone in questo Paese, persone della classe lavoratrice, soffrono perché non esistono più posti di lavoro. Non ci sono posti di lavoro decenti. Naturalmente vedono tutti gli immigrati come minacce».
Scambiate “americani” con “italiani”, Know-Nothing con Lega Nord, Fratelli d’Italia o Front National, e le cose – a quasi 170 anni di distanza – non cambiano, con la differenza che ora negli Stati Uniti la paura diffusa per gli stranieri ha trovato una potente megafono nel presidente Donald Trump, che ha definito rapitori gli immigrati messicani, ha promesso milioni di espulsioni di stranieri e di costruire un muro lungo tutto il confine con il Messico.
E qui ritorna il parallelo con l’attuale situazione italiana: «Eppure, oggi c’è un’ immigrazione netta negativa dal Messico – scrive Deaton su Nexus Media – se ne stanno andando più persone di quelle che vengono. E, nonostante le accuse di Trump di essere criminali, gli immigrati sono meno propensi a violare la legge dei native-born Americans».
Ma cosa succederà alla politica statunitense quando il caldo e la siccità faranno seccare i campi coltivati in Messico e a quella europea quando la stessa cosa succederà in Medio Oriente e Nord Africa? Quando ci sarà probabilmente una migrazione di massa di rifugiati climatici? Gli americani risponderanno come fecero quando i rifugiati irlandesi e italiani fuggirono nel nuovo continente? E noi innalzeremo altre barriere e faremo accordi anti-immigrati con regimi dittatoriali sempre più feroci?
Miller non è molto fiducioso: «Certamente, penso che gli effetti del cambiamento climatico sotto il capitalismo neoliberista, sotto governi ideologici, saranno solo un incredibile disastro. Senza una rivoluzione socialista – che cambi completamente il sistema di valori della nazione in modo che la condivisione, piuttosto che la concorrenza e lo sfruttamento, diventi il valore primario – temo che non potremo avere molta speranza».
Ma Deaton conclude con l’ottimismo dell volontà, ricordando che «Il futuro non è ancora scritto. Ogni generazione ha la possibilità di affermare i suoi valori. Come ha affermato Abraham Lincoln, “la probabilità che possiamo fallire nella lotta non dovrebbe impedirci di sostenere una causa che crediamo sia giusta”».