Cambiamento climatico, 10 multinazionali del cibo chiedono ai leader mondiali di agire subito
«La sfida rappresentata dal cambiamento climatico richiede a tutti noi di fare di più con meno»
[2 Ottobre 2015]
Mentre si avvicina la data della Conferenza delle parti Unfccc di Parigi, i chief executive officers di 10 multinazionali del cibo – Mars, Incorporated, General Mills, Unilever, Kellogg Company, Nestlé Usa, New Belgium Brewing, Ben & Jerry, Clif Bar, Stonyfield Farm e Dannon (Danone) Usa – si sono incontrati e poi hanno scritto tutti insieme una lettera ai leader statunitensi e mondiali, impegnandosi ad accelerare l’azione di business sul cambiamento climatico e sollecitando i governi a fare lo stesso per arrivare ad approvare un “robusto” accordo internazionale sul clima a dicembre.
Le Global Food Companies, coordinate dall’ONg Ceres, hanno presentato la loro lettera ad una conferenza bicamerale bipartisan sui cambiamenti climatici a Washington, un briefing che è stato sponsorizzato dal senatore democratico Sheldon Whitehouse e dal deputato repubblicano Chris Gibson.
Nella lettera, pubblicata a pagamento sul Washington Post e il Financial Times, si legge che «Il cambiamento climatico è un male per gli agricoltori e l’agricoltura. Siccità, inondazioni, e condizioni di crescita più calde minacciano l’approvvigionamento alimentare del mondo e contribuiscono all’insicurezza alimentare. Quando i leader mondiali si riuniranno a Parigi, avranno la possibilità di agire sul cambiamento climatico in modo da poter cambiare in modo significativo il nostro mondo in meglio».
Secondo ha detto Mindy Lubber, presidente di Ceres, «E’ straordinario vedere queste notissime food companies, molte delle quali sono concorrenti di lunga data, unirsi in questo momento cruciale per sollecitare i nostri leader politici ad agire rapidamente e con decisione sul riscaldamento globale, che rappresenta una minaccia diretta per scorte globali di cibo».
Le multinazionali firmatarie si sono impegnate ad incrementare la sostenibilità delle loro compagnie, a sostenere obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 applicabili su base scientifica ed a condividere le loro migliori pratiche per incoraggiare altre imprese ad unirsi a i loro sforzi.
«La sfida rappresentata dal cambiamento climatico richiede a tutti noi – governi, società civile e business – di fare di più con meno – scrivono i dirigenti delle multinazionali del cibo – . Per companies come le nostre, questo significa produrre più cibo con meno terra utilizzando meno risorse naturali. Se non si interviene ora, n mettiamo a rischio non solo le condizioni di vita di oggi, ma quelle delle generazioni future».
Per questo le food companies chiedono ai leader mondiali e statunitensi di cogliere l’opportunità che si presenta a Parigi e di approvare «un buon accordo, adeguatamente finanziato, che possa influenzare un reale cambiamento».
La lettera arriva in un momento in cui da parte delle grandi imprese fioccano gli impegni per la sostenibilità: la settimana scorsa Nike, Walmart, Goldman Sachs, Johnson & Johnson, Procter & Gamble, Salesforce, Starbucks, Steelcase, e Voya Financial si sono impegnate ad utilizzare il 100% di energia rinnovabile. Ma nella riunione al Congresso Usa molte delle grandi compagnie che hanno sottoscritto la lettera hanno esortato l’industria ad andare oltre gli impegni di sostenibilità aziendali.
Tom Langan, direttore affari esterni di Unilever, ha sottolineato: «La realtà è che Unilever può centrare tutti i suoi obiettivi e, da sola, non farà la differenza. Dobbiamo lavorare insieme. Abbiamo bisogno che i governi siano coinvolti».
Whitehouse ha detto che si è trattato di un evento “storico”, facendo notare che era la prima volta da molto tempo che un parlamentare democratico e uno repubblicano erano seduti fianco a fianco e parlavano pubblicamente delle sfide poste dal cambiamento climatico. Secondo Whitehouse , «La disponibilità delle food companies a spingere per azione climatica al di fuori delle loro attività segna un cambiamento nel modo in cui il businesses sta reagendo ai cambiamenti climatici. Per molto tempo la corporate community ha guardato al suo ruolo per ridurre la sua impronta di carbonio, ma con calma: non parlarne, qualunque cosa tu faccia, non fare pressioni per questo. Vedo che è cambiato. Spero che i negoziati di dicembre di Parigi si tradurranno nella firma di un accordo internazionale tra grandi corporations».
Kim Nelson, che lavora alle relazioni esterne di General Mills ha confermato che entro il 2030 la sua compagnia ridurrà del 28% le emissioni di gas serra in tutta la sua catena di rifornimento. Ma non si tratta di interventi ambientalisti disinteressati: altri dirigenti delle multinazionali del cibo hanno evidenziato che i cambiamenti climatici hanno già avuto un impatto sulle loro attività e che di fronte ai problemi che sorgono occorre inventare un modello di business sostenibile più resiliente. Secondo Lagan, i danni provocati dai cambiamenti climatici potrebbero costare a Unilever ben 335 milioni di dollari all’anno. Paul Bakus, presidente per i corporate affairs di Nestle di affari societari a Nestlé, ha parlato della diminuzione dei raccolti di zucca e ha detto di credere fermamente che siano stati causati dal cambiamento climatico.
Tutti hanno chiesto una forte azione di governo di fronte ai cambiamenti climatici, il contrario di quello che vogliono i Repubblicani Usa, che pure ricevono generosi finanziamenti dalle . food companies
Barry Parkin, chief sustainability officer di Mars, ha concluso: «Ogni passo avanti del governo è pro-pianeta, pro-business, e pro-gente. Su questo non c’è alcun conflitto qui».
Dopo Papa Francesco, ora ci si mettono anche le multinazionali del cibo e gli eco-scettici repubblicani sono avvisati: di qui alla COP 21 di Parigi rischiano di trovarsi soli con l’ala più reazionaria delle Big Oil.