Cambiamento climatico e desertificazione minacciano la stabilità sociale
Se non cambia approccio, 60 milioni di poveri dal Nord Africa verso l’Europa entro 15 anni
[17 Aprile 2014]
Guglielmo Tell, nella leggenda popolare, prende posizione contro un sistema che minava la sua dignità umana: la tirannia e l’oppressione. Ha rifiutato di inchinarsi davanti al cappello del diabolico balivo Gessler male, ma è stato poi costretto a tirare con una balestra ad una mela sulla testa di suo figlio.
Questo racconto ha un messaggio universale. Quando sé spinti all’angolo, quando la tua libertà e le libertà sono sotto pressione e la tua famiglia e il tuo futuro sono minacciati, si prende posizione.
Allora perché stiamo ignorando le minacce fondamentali alla libertà ed alle libertà per oltre un miliardo di persone povere nel mondo spingendoli a prendere una posizione? Perché non riusciamo, di volta in volta, a trasformare in opportunità le sfide rappresentate dalla desertificazione, dal degrado del suolo e dalla siccità?
L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha appena rilasciato l’ultimo dei suoi tre rapporti sullo stato dei cambiamenti climatici. Il verdetto? La minaccia del cambiamento climatico è in crescita. I poveri, che hanno contribuito meno ad esso, sono i più vulnerabili ai suoi effetti e ne pagano il prezzo più alto.
Nessun singolo “balivo” può espropriare i poveri dei loro mezzi di sopravvivenza. Ma la crescente tirannia del clima che cambia e l’oppressione dell’insicurezza alimentare e della povertà stanno creando instabilità sociale in tutto il mondo.
Questa nuova tendenza è emersa più volte, dal Darfur al Nord Africa, dal Medio Oriente e parti dell’Asia meridionale. Poiché le scelte per la sopravvivenza diminuiscono, i poveri sono costretti a prendere posizione ed a lottare per la propria sopravvivenza o fuggire.
Qual è il bene più alto per essere in grado di alimentare la vostra famiglia? Per una parte significativa della popolazione mondiale, questo significa avere accesso diretto ai terreni produttivi – acqua, suolo e la sua biodiversità – perché la terra è il loro unico bene tangibile.
Circa 500 milioni di piccoli agricoltori supportano il sostentamento di oltre 2 miliardi di persone. Più di 1,5 miliardi di persone vivono su terreni in degrado; almeno un miliardo sono poveri. I trend climatici previsti minacciano il loro sostentamento.
La frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi e imprevedibili, in particolare alluvioni e siccità che sono legati al cambiamento climatico, stanno minacciando il loro sostentamento. Stiamo sconvolgendo i “coping mechanisms” ai quli fanno ricorso nei momenti difficili, rubando loro non solo la capacità di sfamare le loro famiglie, ma il bene stesso della loro dignità.
Nel 2010, secondo la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, 900 milioni di persone in tutto il mondo facevano fronte alla fame cronica,. L’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change stima che la domanda di cibo aumenterà del 14% per decennio, mentre i rendimenti potrebbero diminuire fino al 2% per decennio.
Il degrado del suolo fa parte di una miscela tossica che sta trasformando le persone che soffrono la fame in comunità vulnerabili, che sono soggette a instabilità, migrazioni e conflitti. Prende tutte le carenze sociali di fondo esistenti e le amplifica. Per i Paesi in cui le reti di sicurezza sociale o fonti alternative di reddito sono carenti, i giovani sottoccupati e diseredati sono gli evidenti obiettivi della radicalizzazione.
Cerchiamo di essere chiari, il cibo sarà meno abbondante o più costoso e la mancanza di gestione della terra a livello globale sta salendo al top dell’agenda politica internazionale. In un mondo interconnesso, una minaccia per la sicurezza alimentare è una minaccia per la sicurezza internazionale.
Mentre ci avviciniamo al sigillo dei 9 miliardi di persone nel 2050, la competizione per le risorse naturali che ci forniscono cibo, energia e acqua può aumentare e può essere molto agguerrita.
Immigrazione verso l’Europa?
L’Europa non può sfuggire alla crisi, considerando che quasi il 60% dei suoi prodotti agricoli e forestali provengono da fuori del continente. Si tratta di un enorme appetito con una land footprint di 640 milioni di ettari all’anno, un’area circa 1,5 volte la propria dimensione, e in crescita.
Possiamo ignorare la condizione dei poveri di oggi, ma come ha detto John F. Kennedy nel suo discorso inaugurale nel 1961, “Se una società libera non può aiutare i molti che sono poveri, non può salvare i pochi che sono ricchi”.
Come Guglielmo Tell prima di loro, molte società rurali povere che dipendono dalla terra hanno diritti sulla terra deboli o non tutelati. Con misure efficaci e concrete, entro il 2030 molti di loro potrebbero far parte dell’80% della popolazione mondiale che sono “consumatori”. Questo rappresenterà ulteriori 2 miliardi di persone che esigeranno prodotti e servizi esigenti. Si tratta di un’opportunità economica in attesa di essere colta.
I servizi ecosistemici dalla terra possono promuovere la qualità della vita, la crescita economica e la riduzione della povertà a livello globale. Se potremo creare un ciclo più positivo ed ottenere economie rurali attive, un aumento del 10% dei rendimenti nelle fattorie africane comporterebbe una riduzione del 7% della povertà.
L’intervento preventivo che riduce il rischio di siccità e insicurezza alimentare e impedisce il conflitto sociale è molto più economico che fare affidamento sulla repressione ed i mezzi militari per rispondere alle crisi che ne seguono. Ci vogliono solo 25 dollari per ripristinare un ettaro di terreno degradato in Niger, uno dei Paesi del Sahel che è più vulnerabile alla desertificazione, al degrado del suolo ed alla siccità.
Se non riusciamo a ridurre i rischi sottostanti, milioni di persone potrebbero essere costrette a spostarsi dalle aree colpite. Dove andranno? Le stime prevedono che ben 60 milioni di persone potrebbero passare dal Nord Africa verso l’Europa in un periodo di 15 anni.
Un approccio basato sui diritti che valorizza l’occupazione rurale e lo sviluppo economico è in grado di trasformare le popolazioni vulnerabili in comunità forti e resilienti. Gli obiettivi volti a prevenire il futuro degrado del territorio, lo “scaling up” delle buone pratiche di gestione del territorio, riabilitare terreni abbandonati ed il ripristino degli ecosistemi naturali devono trovare posto nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile, nei negoziati sui cambiamenti climatici dell’Onu a Parigi nel 2015 e nell’agenda per lo sviluppo post-2015.
Le scelte che stiamo facendo sosterranno o pregiudicheranno gli investimenti e gli utili che abbiamo fatto per ridurre la povertà globale. Determineranno se entreremo in una spirale positiva o discendente. Siamo a un bivio. Il futuro che vogliamo è la nostra opportunità per vincere o perdere.
Ma, come dicono gli anglosassoni metterlo e come potrebbe apprezzare Guglielmo Tell, non c’è una seconda possibilità. “Non riusciremo a dare un secondo morso alla mela”. Stiamo ignorando la terra e il suolo a nostro rischio e pericolo.
di Monique Barbut, segretaria esecutiva dell’United Nations Convention to Combat Desertification
Questo intervento è stato pubblicato il 16 aprile 2014 con il titolo “Climate change and desertification a threat to social stability – UN” sul sito della Thomson Reuters Foundation