
Cambiamento climatico, i Paesi poveri ai ricchi: «Niente più scuse alla COP26»

Quasi 100 Paesi in via di sviluppo si sono riuniti per definire cosa sarebbe un vero successo per la 26esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP26 Unfccc), alzando la posta in gioco per i paesi donatori perché rafforzino i loro impegni finanziari
Con il position paper “COP26 Delivering the Pais Agreement - A five-point plan for solidarity, fairnass and prosperity”, i Paesi in via di sviluppo hanno invitato le nazioni ricche a fornire almeno i 100 miliardi di dollari l'anno che avevano promesso per aiutarli ad affrontare il cambiamento climatico e a farlo prima della COP26. Si tratta di un piano in 5 punti per il successo della COP26 di Glasgow a novembre che invita anche i Paesi più ricchi ad accelerare i tagli alle emissioni e ad aumentare i finanziamenti per le nazioni vulnerabili.
Dopo che i Paesi in via di sviluppo si sono ripetutamente lamentati per i lenti o nulli progressi compiuti dai Paesi donatori per rispettare i loro impegni finanziar, il documento delinea come dovrebbe essere un pacchetto di solidarietà efficace: «Alla Cop26 non ci può essere un esito positivo che fornisca finanziamenti ai più vulnerabili».
Il gruppo dei Least developed countries (LDC), l’Alliance of small Island States e l’African group of negotiators hanno sostenuto il piano che definisce la loro posizione su questioni chiave di negoziazione, compreso come dovrebbe essere l'obiettivo finanziario dal 2025. I sostenitori del piano rappresentano più della metà dei Paesi del mondo e avvertono che «Senza progressi su questi punti, dicono che la COP26 sarà inutile e finirà con un fallimento».
Le 5 questioni chiave che i Paesi poveri ritengono fondamentali per un successo dei negoziati sono:
Riduzione delle emissioni: nonostante alcuni progressi, la somma totale delle politiche climatiche in atto non manterrà il riscaldamento globale entro i limiti concordati dai governi a Parigi nel 2015. È urgentemente necessaria un'accelerazione degli obiettivi net zero, guidati da coloro che hanno le maggiori responsabilità e capacità.
Finanza: alla COP di Copenaghen nel 2009, i Paesi più ricchi hanno promesso 100 miliardi di dollari l'anno in finanziamenti per il clima entro il 2020, con un aumento delle somme annuali dal 2025. Questo obiettivo non è stato raggiunto e deve essere fissato in modo da potersi fidare sul fatto che i Paesi più ricchi si attengano a quel che negoziano. Questo fondo ha lo scopo di aiutare quei Paesi a basso reddito ad adattarsi e combattere il cambiamento climatico.
Adattamento: i paesi in via di sviluppo chiedono che almeno il 50% dei finanziamenti per il clima sia utilizzato per aiutare i più vulnerabili ad adattarsi agli effetti del riscaldamento globale.
Perdite e danni: l'incapacità storica dei Paesi più ricchi di ridurre adeguatamente le proprie emissioni significa che i più vulnerabili stanno già subendo perdite e danni permanenti. Le responsabilità devono essere riconosciute e le misure promesse devono essere realizzate. Attuazione: da Parigi in poi, ricchi e poveri hanno mercanteggiato su questioni come il commercio del carbonio e la trasparenza. I Paesi in via di sviluppo vogliono vedere finalmente risolte queste questioni e vogliono che tutti i Paesi concordino scadenze comuni quinquennali per i loro piani climatici nazionali.
Alla COP26 i Paesi del mondo dovrebbero discutere del nuovo obiettivo per sostituire e andare oltre l'impegno assunto dai Paesi ricchi nel 2009 di stanziare, entro il 2020, 100 miliardi all'anno da fonti pubbliche e private per aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni di gas serra e far fronte agli impatti climatici. Ma secondo gli ultimi dati disponibili dell'Ocse, mancherebbero almeno 20 miliardi di dollari perché i Paesi ricchi rispettino l'obiettivo,.
I paesi in via di sviluppo hanno ripetutamente avvertito che il successo di Cop26 dipende dal raggiungimento dell'obiettivo dei 100 miliardi e hanno invitato i Paesi donatori ad aumentare i finanziamenti per il clima fino al 2025 e a pubblicare un piano su come intendono farlo. E aggiungono che «I colloqui alla COP26 dovranno andare oltre l'impegno del 2009, con un accordo sul prossimo obiettivo finanziario previsto per il 2024».
I Paesi in via di sviluppo dicono che, rispetto ai circa 62 miliardi di dollari del 2018, i Paesi ricchi dovrebbero impegnarsi a fornire almeno 100 miliardi di dollari all'anno dalle sole finanze pubbliche a partire dal 2025. Questo dovrebbe essere integrato da un obiettivo aggiuntivo di finanziamenti mobilitati dal settore privato.
Sonam Wangdi, del Bhutan e presidente del gruppo LDC. Ha sottolineato che «Noi Paesi vulnerabili non chiediamo molto: solo che i paesi più ricchi, che hanno causato questo problema, si assumono la loro responsabilità tagliando le loro emissioni e mantenendo la loro promessa di aiutare coloro che le loro emissioni hanno danneggiato. Nonostante il Covid abbia comprensibilmente occupato i titoli dei giornali, il cambiamento climatico è peggiorato nell'ultimo anno perchè le emissioni continuano ad aumentare e le vite e i mezzi di sussistenza di chi è in prima linea ne soffrono. La COP26 deve essere un vertice nel quale si vedano azioni e non parole. Abbiamo abbastanza piani: quello di cui abbiamo bisogno è che le principali economie inizino a mantenere le loro promesse. Le nostre economie stanno soffrendo di fronte all'aumento degli impatti climatici e alle difficoltà di bilancio: o noi investiamo per uscire da questo pasticcio o affronteremo un decennio brutale di perdite e danni».
Il position paper evidenzia che «Nel complesso, il nuovo obiettivo dovrebbe basarsi su valutazioni scientifiche dei costi degli impatti climatici e della decarbonizzazione nei Paesi in via di sviluppo».
Mattias Söderberg, co-presidente di Act Alliance, ha detto a Climate Home News che quella fatta dai Paesi poveri «E’ stata una buona mossa tattica per mettere una cifra sul tavolo prima della COP26 e prima delle nazioni sviluppate. La necessità di sostegno aumenterà e dovrebbe essere possibile ampliare il nuovo obiettivo».
Secondo l’United Nations environment programme (Unep), attualmente i Paesi in via di sviluppo necessitino di 70 miliardi di dollari all'anno per adattarsi ai cambiamenti climatici, una cifra che entro il 2030 dovrebbe salire a 140 - 300 miliardi di dollari all'anno. La sola Africa ha bisogno di circa 3 trilioni di dollari per attuare i suoi piani di adattamento entro il 2030.
In un'analisi pubblicata ieri, l’International institute for environment and development (Iied), stima che, per finanziare i loro piani di adattamento i Paesi LDC avrebbero bisogno di 200 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2025 e poi ancora dal 2025 al 2030, ma tra il 2014 e il 2018 hanno ricevuto meno del 3% dei fondi di cui avevano bisogno.
Mohamed Adow, direttore Power Shift Africa, che ha consigliato i Paesi in via di sviluppo nella stesura del piano, ha detto a Climate Home News che «L'obiettivo finanziario a lungo termine dovrebbe essere basato sui bisogni valutati delle nazioni vulnerabili piuttosto che su un impegno politico arbitrario da parte dei Paesi ricchi. L'obiettivo dovrebbe essere il minimo indispensabile fornito dai Paesi donatori ed essere costituito principalmente da sovvenzioni, con almeno il 50% destinato all'adattamento.
La quota dei prestiti della finanza pubblica è aumentata notevolmente negli ultimi anni, raggiungendo il 74% nel 2018. Al contrario, la quota di sovvenzioni è diminuita dal 27% al 20% tra il 2013 e il 2018 e solo un quinto circa dei finanziamenti per il clima è destinato all'adattamento .
Per aiutare le nazioni ad aumentare i fondi per far fronte agli impatti climatici, i Paesi in via di sviluppo chiedono che il 5% dei proventi del commercio globale di crediti di carbonio tra le nazioni sia convogliato al Fondo di adattamento. Le regole per il nuovo mercato del carbonio dovrebbero essere definite alla COP26.
Sven Harmeling, responsabile politiche sui cambiamenti climatici e la resilienza di Care International, ha dichiarato a Climate Home News che «Includere un obiettivo di finanza pubblica nel nuovo obiettivo finanziario aiuterebbe a responsabilizzare i Paesi donatori, indirizzando al contempo gli sforzi per mobilitare più finanziamenti dal settore privato».
Mahdi M Gulaid, vice primo ministro della Somalia, conferma che «Paesi altamente vulnerabili come la Somalia stanno già soffrendo in modo sproporzionato per gli impatti dei cambiamenti climatici. La COP 26 deve essere un momento chiave di decisione e non ci possono essere più scuse per le promesse non mantenute, in particolare la finanza climatica».
Nel rapporto, i Paesi in via di sviluppo delineano quella che viene definita una "contabilità equa", che assegna i tagli alle emissioni in base alla responsabilità storica e alla capacità di agire. In questo scenario, gli Stati Uniti dovrebbero ridurre le emissioni del 195% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Questo potrebbe essere realizzato con un taglio del 70% delle emissioni nazionali più 80 miliardi di dollari l'anno a sostegno dei Paesi in via di sviluppo. Per il Regno Unito, un approccio simile vedrebbe una riduzione delle emissioni del 70% entro il 2030 più 46 miliardi di dollari l'anno in finanziamenti per il clima.
Ma le discussioni future non saranno facili, visto che il governo del Regno Unito, che ospiterò la COP26 co-organizzata con l’Italia, ha tagliato il suo budget per gli aiuti e che i Paesi donatori che già non riescono a soddisfare i loro obblighi di finanziamento climatico.
Söderberg prevede che alla COP26 di Glasgow «I negoziati sulla necessità di finanziamenti a lungo termine diventeranno una battaglia».
