Le Ong: «I Paesi ricchi mettono il pianeta in corsa per un cambiamento climatico irreversibile»
Cambiamento climatico: i Paesi sviluppati non fanno la loro “giusta parte”
Usa e Ue dovrebbero fare 5 volte di più, il Giappone 10 volte. Il contributo della Russia è zero
[21 Ottobre 2015]
Diciotto grandi Organizzazioni non governative hanno presentato il rapporto “Fair Shares: A Civil Society Equity Review of INDCs”, un’analisi dei contributi nazionali (Intended Nationally Determined Contributions – INDCs) che tiene conto dei due temi essenziali: la scienza e l’equità in vista della Conferenza delle parti dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (COP21 Unfccc).
All’inizio di ottobre, 146 Paesi, che rappresentano circa l’87% delle emissioni mondiali di d gas serra, hanno sottoposto all’Onu i loro piani di azione climatica, questi INDCs costituiranno la pietra angolare del nuovo accordo mondiale sul clima che dobvrebbe essere firmato alla COP21, ma il nuovo rapporto presentato da ActionAid International, Asian Peoples Movement on Debt and Development, Climate Action Network South Asia, CARE International, Center for International Environmental Law, Christian Aid, CIDSE, Climate Action Network Latin America, EcoEquity, Friends of the Earth International, International Trade Union Confederation, LDC Watch International, Oxfam, Pan African Climate Justice Alliance, SUSWATCH Latin America, Third World Network, What Next Forum e WWF International, dimostra che c’è ancora uno scarto tra le misure che bisognerebbe prendere per evitare un cambiamento climatico catastrofico e quello che fi no ad ora propongono i governi.
Il rapporto stima quale sia la parte equa che spetterebbe ad ogni Paese nella lotta al cambiamento climatico, in funzione del suo livello di responsabilità storica e della sua capacità di lottare contro il riscaldamento globale. Le 18 organizzazioni sottolineano: «Anche se l’equità è un principio fondamentale del processo dell’Onu per trovare un nuovo accordo mondiale sul clima, i Paesi hanno però fino ad oggi la possibilità di determinare e di fissare loro propri obiettivi su una base puramente nazionale, senza tener di conto quel che deve essere fatto nel quadro dello sforzo mondiale necessario o di quel che è giusto». Inoltre il rapporto ricorda che «Abbiamo davanti a noi da 10 a 15 anni per ridurre drasticamente le nostre emissioni, se vogliamo evitare un cambiamento climatico incontrollabile».
Secondo il rapporto, «I più grandi Paesi emettitori devono fare di più per colmare lo scarto attuale, il che deve essere fatto in maniera equa. I Paesi emettitori ricchi devono ridurre le loro emission in maniera significativa ed impegnarsi ad aiutare i Paesi poveri a fare di più in materia di adattamento e di attenuazione, fornendo loro dei finanziamenti aggiuntivi ed accesso alla tecnologia».
Il rapporto fa delle raccomandazioni perché l’Accordo di Parigi presenti un quadro all’interno del quale i governi fissino degli obiettivi basati sull’equità e sulla scienza: «Al fine di evitare un mondo a 3° C, i governi devono accettare degli obiettivi di riduzione delle emissioni nel 2025, 2030, 2040 e 2050, con l’obiettivo di raggiungere quasi le emissioni zero entro la metà del secolo; L’Accordo di Parigi deve includere un meccanismo che permetta di rilevare l’ambizione degli attuali obiettivi prima che entrino in vigore nel 2020 e, in seguito, ogni 5 anni; Deve includere un cambiamento radicale nei finanziamenti climatici internazionali; Deve creare un piano di azione chiaro e giusto che permetta di colmare l’attuale scarto attraverso una cooperazione rafforzata ed un sostegno accresciuto dei Paesi sviluppati più responsabili».
Il rapporto, presentato alla Climate change conference in corso a Bonn, l’ultimo round negoziale prima della COP21, invece sottolinea che «Le ambizioni di tutti i Paesi sviluppati sono molto inferiori alla loro giusta quota, non solo in termini di azione interna, ma anche di finanziamenti internazionali» e che gli INDCs presentati non sono sufficienti a limitare il riscaldamento globale a 2 gradi centigradi sopra i livelli pre-industriali. Gli INDCs degli USA e dell’Unione europea rappresentano solo un quinto della loro “parte giusta”, mentre il Giappone dovrebbe incrementare di ben 10 volte le sue misure climatiche rispetto a quel che prevedono i suoi impegni nazionali. Il contributo della Russia alla lotta climatica è a zero.
Azeb Girmai, direttore climatico di LDC Watch International, sottolinea che «Gli anni di inazione dei Paesi sviluppati minacciano già la stessa sopravvivenza dei Paesi poveri e delle popolazioni più vulnerabili al cambiamento climatico. Questa presentazione degli INDCs dimostra di nuovo che i Paesi sviluppati non rispettano i loro impegni di ridurre sostanzialmente le loro emissioni, conformemente alle esigenze scientifiche e giuste». Invece ti lo studio afferma che i piani nazionali della maggioranza dei Paesi in via di sviluppo «superano o rispettano globalmente la loro giusta parte». Tra i Paesi virtuosi ci sarebbe anche la Cina, che fa più di quanto sarebbe la sua parte, impegnandosi a ridurre le sue emissioni di carbonio entro il 2030 e a ridurre nello stesso periodo le sue emissioni per unità di PIL dal 60 al 65% rispetto al 2005. Inoltre Pechino ha annunciato che stanzierà 20 miliardi de yuan (circa 3,15 miliardi di dollari) per creare un fondo Sud-Sud per il clima ed aiutare così gli altri Paesi in via di sviluppo a combattere i cambiamenti climatici, mentre gli Usa hanno promesso 3 miliardi di dollari per il Green Climate Fund.
Asad Rehman, direttore clima di Friends of the Earth International ha detto che «Da Washington a Bruxelles, I decisori dovrebbero essere morti di vergogna vedendo che I Paesi poveri sono pronti a fare più di loro. I paesi ricchi, i maggiori responsabili del cambiamento climatico, ci stanno mettendo in corsa per un cambiamento climatico irreversibile e più devastante invece di intraprendere l’urgente azione radicale di cui c’è bisogno di ridurre le loro emissioni di anidride carbonica, Friends of the Earth ha messo in guardia».
Per Susann Scherbarth, responsabile giustizia climatica e energia di Friends of the Earth Europe, «Gli impegni per tagliare le emissioni assunti finora dai Paesi ricchi sono meno della metà di quello che ci serve per evitare cambiamenti climatici fuori controllo. Il progetto di Accordo di Parigi in corso di negoziazione questa settimana dimostra che molti sembrano pronti ad accettare conseguenze irreversibili e devastanti per le persone e il pianeta. Questo progetto smonterebbe anche alcuni principi fondamentali della Convenzione ONU sul clima, come l’equità. Questo è semplicemente inaccettabile. I Paesi più ricchi devono fare la loro parte. Il nuovo trattato deve proteggere i Paesi più poveri e le persone, non lasciare che i Paesi più ricchi si tirino fuori dai guai».
Dipti Bhatnagar, coordinatrice per la giustizia climatica di Friends of the Earth International, rincara la dose: «I politici sono sulla buona strada per far fallire l’occasione del vertice di Parigi. Molti politici, sotto pressione da parte delle multinazionali inquinatrici che traggono profitto dai combustibili fossili e dall’energia sporca, stanno promuovendo il carbone, il fracking e l’energia nucleare all’Onu e a livello nazionale. Invece, dovrebbero impegnarsi a drastici tagli delle emissioni e ad una trasformazione del nostro sistema energetico. I nostri governi devono smetterla con l’energia sporca e seguire con urgenza i veri leader: le persone, non gli inquinatori. Sempre più persone stanno sostenendo le soluzioni reali, resistendo all’estrazione di combustibili fossili e ci conducono verso le società della scurezza climatica».