Centrali a carbone e gas, nuove regole Usa per le emissioni di CO2: ma c’è un grosso problema
[23 Settembre 2013]
Environmental Protection Agency (Epa) Usa ha dato il via alla regolamentazione delle emissioni di CO2 dalle nuove centrali elettriche a carbone e gas. Parlando il 20 settembre al National Press Club a Washington, Gina McCarthy, l’amministratrice dell’Epa, ha detto che «Il cambiamento climatico è reale, le attività umane stanno alimentando quel cambiamento e noi dobbiamo agire per evitare le conseguenze più devastanti». I King Carbon annunciano battaglia legale contro i nuovi limiti di emissioni, meno di 1.100 libbre di CO2 per megawatt/ora, notevolmente inferiori rispetto all’attuale media di 1800 libbre CO2 per MW/h prodotte dalle centrali a carbone.
Ma c’è anche un altro problema: per stare entro questi limiti bisognerebbe fare un massiccio ricorso a nuovi impianti dotati della tecnologia carbon capture and storage (Ccs) che è ancora in fase sperimentale ed ha non pochi problemi (vedi altro articolo sul Ccs in Norvegia che pubblichiamo). Si tratta della stessa tecnologia che qualcuno in Italia vorrebbe utilizzare in Sardegna per realizzare una centrale elettrica che utilizzi l’inquinantissimo carbone del Sulcis. Il paradosso è che l’industria del gas e del carbone sponsorizza fortemente il Ccs ma utilizzerà proprio le sue difficoltà per fare causa alle nuove regole dell’Epa sulle emissioni celle centrali esistenti. L’annuncio della McCarthy segna il primo importante passo da parte dell’amministrazione Obama da quando il presidente a giugno ha presentato il suo nuovo climate action plan e mentre i suoi oppositori repubblicani continuano ad accusarlo di aver scatenato una «Guerra al carbone» ed hanno promesso di bloccare la normativa Epa, ma la Corte Suprema Usa nel 2007 ha stabilito che il Clean Air Act dà il diritto all’Environmental Protection Agency di regolamentare le emissioni di CO2.
Ma le nuove regole Epa rendono il Ccs una tecnologia “make-or-break per l’industria del carbone. In definitiva, il destino di questa tecnologia sperimentale e costosa e dell’industria del carbone è nelle mani di companies senza know-how tecnico.
«Questa tecnologia non è “rocket science”» ammette Howard Herzog, un ingegnere specializzato in tecnologie Ccs dell’ Energy Initiative del Massachusetts Institute of Technology, anche se aggiunge che «E’ stata parecchio utilizzata in giro per molto tempo, in altri campi. Funziona, è solo una questione di impostare i giusti incentivi per portarla nel mercato».
Chi sostiene i nuovi regolamenti Epa dice che serviranno proprio a realizzare questo: il imiti sulle emissioni di CO2 stimoleranno l’industria a sviluppare il carbon capture and storage e, in ultima analisi, a far ridiventare il carbone competitivo con il gas, l’eolico, il solare ed addirittura in futuro a realizzare un’economia low carbon. Ma l’industria del carbone accusa l’amministrazione Obama di soffocare l’innovazione delle tecnologie del “carbone pulito” che intende promuovere.
Robert Duncan, chief executive dell’American Coalition for Clean Coal Electricity non è per niente contento: «Per ironia della sorte, la proposta dell’Epa potrebbe davvero fare danni a lungo termine all’ambiente. Per fermare lo sviluppo di nuove centrali a carbone, l’Epa arresta lo sviluppo del carbon capture and storage. Questa politica sbagliata aggiunge il danno alla beffa per un’industria che ha utilizzato con successo le tecnologie pulite del carbone per ridurre le emissioni di molto più del 90%».
Duncan esagera un bel po’ e nasconde il fatto che lo stoccaggio geologico della CO2 è una tecnologia è costosa e ad alta intensità energetica, tanto che le compagnie elettriche lo vedono come un “parasitic load” che può erodere fino al 30% della loro produzione totale di energia. Ecco perché iniettare le emissioni di CO2 per estrarre petrolio e gas è un’opzione attraente: le companies Del carbone possono compensare in parte quello che perdono con i guadagni della vendita di CO2 per il cosiddetto “enhanced oil recovery”.
La realtà è che, nonostante tutte le promesse fatte, le centrali Usa non utilizzano il Ccs su scala commerciale, per un certo periodo la tecnologia è stata utilizzata in alcuni impianti industriali e due centrali a carbone dotate di Ccs dovrebbero entrare in linea nel 2014, ma le previsioni non sono buone: lo shale gas, grazie al fracking, è diventato abbondante ed economico e minaccia di mettere il carbone fuori mercato, con o senza le nuove normative Epa o il Ccs e senza un mercato del carbone non c’è nemmeno mercato per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica.
Herzog ammette anche un’altra cosa: «E’ e sarà sempre più conveniente immettere la CO2 in atmosfera che immagazzinarla. Purtroppo, le norme che sono state messe non creano mercati, non creano incentivi. Lasciano una scappatoia. Quella scappatoia spalancata è il gas naturale». Strano che gli epigoni dell’industria carbonifera, che più si battono contro gli incentivi alle energie pulite, chiedano incentivi per ripulire l’energia più inquinante…
Altri sono più ottimisti, non credono che il boom del fracking e del gas da scisti possa durare a prezzi così bassi e che l’innovazione tecnologica potrebbe far calare i costi astronomici del Ccs. Comunque, se entrambi questi fattori si verificassero, per far tornare il carbone a livelli competitivi bisognerebbe comunque eliminare le nuove regole ‘”scappatoia” dell’Epa.
Come sembra dimostrare la fine del grande progetto pilota norvegese, la tecnologia Ccs non funziona e questo pone problemi non solo per le centrali a carbone. Le nuove regole Usa riguardano infatti anche le centrali a gas. John Thompson, direttore di Fossil Transition Project at Clean Air Task Force è però convinto che con le nuove regole Epa «Si invia anche un segnale alla Cina, dando l’esempio che le centrali elettrica a carbone pesanti devono incorporare il Ccs. Queste regole non sono la fine del carbone; queste regole sono l’inizio del Ccs. Il Ccs è iniziato in ambienti industriali e sta migrando nelle industri energetiche. Queste regole le aiuteranno Alla fine, dovremmo avere il Ccs in entrambi i settori dell’energia e dell’industria, se vogliamo avere qualche speranza di fermare il cambiamento climatico».
Bisognerebbe che gli americani lo spiegassero (e si spiegassero) con i “pionieri” norvegesi del Ccs che non ne sono più così convinti.