Un costoso buco nell’acqua le trivellazioni esplorative nel Mar dei Chukchi in Alaska
Clamoroso flop di Shell nell’Artico: poco petrolio e gas, la multinazionale smobilita
Greenpeace: «Un’enorme vittoria per milioni di persone. Ora un santuario per difendere il Polo Nord»
[28 Settembre 2015]
Verrebbe da dire tanto rumore (e miliardi di dollari) per nulla: la Royal Dutch Shell ha annunciato che sta cessando le trivellazioni offshore nel mare dei Chukchi, in Alaska, perché il pozzo esplorativo trivellato a 2.100 metri di profondità ha trovato gas e petrolio insufficienti per permetterne uno sfruttamento economicamente vantaggioso. Secondo il presidente di Shell Usa, Marvin Odum, si tratta di un risultato deludente per quanto riguarda l’area del Mar dei Chukchi: ci sono petrolio e gas nel pozzo Burger J, «ma questi non sono sufficienti a giustificare ulteriori esplorazioni nel Burger prospect. Il pozzo sarà sigillato e abbandonato in conformità con le normative Usa».
Dopo aver ricevuto un contestatissimo via libera dal presidente Usa Barak Obama, la Shell aveva avviato le trivellazioni esplorative nel pozzo The Burger J, a circa 150 miglia da Barrow, Alaska, in un’area dove il mare è profondo solo 45 metri ma il petrolio e il gas sono custoditi ben sotto la crosta terrestre. Era il primo pozzo esplorativo autorizzato nel Mar dei Chukchi negli ultimi 24 anni e le associazioni ambientaliste e le popolazioni indigene si erano fortemente opposte, sia perché estrarre idrocarburi significa incrementare i gas serra, sia per il possibile impatto devastante su orsi polari, trichechi, foche e cetacei che potrebbe avere uno sversamento petrolifero in un ambiente così estremo e delicato.
Odum deve aver masticato amaro quando è stato costretto ad annunciare che «il team Shell Alaska ha operato in modo sicuro ed eccezionalmente bene sotto ogni aspetto del programma di esplorazione di quest’anno. Shell continua a vedere un importante potenziale esplorativo nel bacino e, in ultima analisi, la zona è probabile che sia di importanza strategica per l’Alaska e gli Usa. Tuttavia, questo è chiaramente un risultato esplorativo deludente per questa parte del bacino».
Ma l’annuncio più clamoroso è che «Shell ora cesserà ogni ulteriore attività di esplorazione offshore in Alaska per il prossimo futuro. Questa decisione riflette sia il risultato del giacmento Burger J, che gli alti costi associati al progetto e il contesto normativo federale imprevedibile nell’offshore dell’Alaska».
Shell prevede di subire perdite finanziarie per questa scelta, visto che le attività in Alaska erano già state valutate in bilancio a circa 3 miliardi di dollari, con circa altri 1,1 miliardi di dollari persi per impegni contrattuali futuri.
Shell detiene ha il 100% delle concessioni in 275 blocchi nell’Outer Continental Shelf nel Mar dei Chukchi e assicura che «le operazioni di smobilitazione delle persone e delle attrezzature dal Mar dei Chukchi continueranno in modo sicuro». Economicamente, però, il tonfo per la multinazionale è pesante: in tutto, la Shell ha investito circa 7 miliardi di dollari nella sua avventura artica, disseminata di incidenti, alla ricerca di quelle che venivano valutate come riserve enormi e che invece si sono dimostrate scarse, difficili da estrarre e messe fuori mercato dal prezzo del petrolio che continua a calare.
«Oggi è un gran giorno per l’Artico», commenta Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, ong che si è battuta con forza per impedire la trivellazione dell’Artico, e che chiede l’istituzione di un santuario nelle acque internazionali attorno al Polo Nord: «Dopo le notizie di oggi speriamo che questo nostro obiettivo sia più vicino Questa è un’enorme vittoria per milioni di persone che si sono opposte ai piani di Shell, e nello stesso momento è un disastro per le altre compagnie petrolifere che hanno interessi in quella regione. Shell ha scommesso pesantemente sulle trivellazioni nell’Artico e oggi ha rimediato una sonora sconfitta, sia in termini di costi che di reputazione pubblica. Quello del colosso petrolifero anglo-olandese era diventato il progetto petrolifero più controverso al mondo: ora Shell torna a casa a mani vuote».