«Qualunque siano le condizioni alle quali siamo abituati diventeranno una cosa del passato»
Clima, il nuovo rapporto Ipcc è “sbagliato”: sarà peggio
Conseguenze catastrofiche per biodiversità e Paesi poveri. Dal 2047-2069 ai tropici (e non solo) circostanze climatiche radicalmente diverse
[11 Ottobre 2013]
Un team dell’università delle Hawaii di Mānoa pubblica su Nature Study in nature reveals urgent new time frame for climate change, che apre nuovi (e terribili) scenari rispetto al quinto rapporto Ipcc sul clima, che pure gli ecoscettici hanno nuovamente accusato di catastrofismo.
Camilo Mora, dell’Hawaii Institute of Marine Biology, il suo team hawaiano e dell’università giapponese di Ryukyus, scrivono che «Gli sconvolgimenti ecologici e sociali dei moderni cambiamenti climatici sono criticamente determinati dal tempo in cui i climi si spostano oltre gli analoghi dati storici» e nella ricerca presentano un nuovo index of the year nel quale il clima in un determinato luogo si sposterà verso uno stato continuamente al di fuori dei limiti di variabilità storica, nell’ambito di scenari di emissioni di gas alternativi. I ricercatori utilizzano gli anni che vanno dal 1860 al 2005 come periodo storico; seguendo l’indice che ne viene fuori, il periodo in cui le attuali temperature estreme diventeranno la norma o saranno addirittura considerate miti – in uno scenario di stabilizzazione delle emissioni – nella media globale sarà l’anno 2069 (± 18 anni sd) per la temperatura dell’aria in prossimità della superficie e nell’anno 2047 (± 14 anni sd) con uno scenario “’business-as-usual”. La conclusione fa impallidire quelle dell’Ipcc: «Climi senza precedenti si verificheranno intorno ai tropici e nei Paesi a basso reddito, mettendo in evidenza la vulnerabilità della biodiversità globale e la limitata capacità di governo per rispondere ai cambiamenti climatici. I nostri risultati mettono in luce l’urgenza di limitare le emissioni di gas serra se si vuole prevenire climi potenzialmente dannosi per la biodiversità e la società».
Insomma, secondo questa nuova e massiccia analisi di tutti i modelli climatici, nel giro di 35 anni, le temperature medie estive saranno molto più calde (anche da noi in Italia): saranno molto più calde dei picchi di calore che abbiamo sperimentato negli ultimi 150 anni ed i tropici saranno i primi a superare i limiti storici estremi, e a sperimentare un ondata di caldo che non accennerà a diminuire, minacciando ulteriormente la biodiversità e Paesi molto popolati e con meno risorse economiche per adattarsi.
Il nuovo index of the year dell’università delle Hawaii dà un risultato sorprendente: «Le aree dei tropici sono proiettate a sperimentare per prime climi senza precedenti, entro il prossimo decennio. In uno scenario business-as-usual, l’indice mostra che la parte mediana della Terra sperimenterà dal 2047 un clima radicalmente diverso. In uno scenario alternativo con la stabilizzazione delle emissioni di gas serra, la “climate departure” media globale sarà nel 2069». Camilo Mora ha detto: «I risultati ci hanno sconvolti. Indipendentemente dal contesto, i cambiamenti arriveranno presto. All’interno della mia generazione, qualunque sia il clima al quale eravamo abituati sarà una cosa del passato».
Gli scienziati hanno calcolato l’indice di variabili aggiuntive, tra le quali l’evaporazione, le precipitazioni e la temperatura superficiale ed il e l’acidità dell’’oceano e spiegano: «Se si guarda al pH della superficie del mare, l’indice indica che abbiamo superato i limiti estremi storici nel 2008: Questo è coerente con altri studi recenti e si spiega con il fatto che il pH dell’oceano ha una ristretta gamma di variabilità storica e perché l’oceano ha assorbito una frazione considerevole delle emissioni di CO2 causate dall’uomo».
Secondo lo studio, l’effetto globale del cambiamento climatico sulla biodiversità avviene non solo a causa dei maggiori cambiamenti assoluti ai poli, ma anche, e forse in maniera più forte, a causa di piccoli ma rapidi cambiamenti nei tropici: «Le specie tropicali non sono abituate alla variabilità del clima e sono quindi più vulnerabili ai cambiamenti relativamente piccoli». Il problema è che i tropici ospitano la più grande diversità al mondo di specie marine e terrestri e sperimenteranno climi senza precedenti circa 10 anni prima che in qualsiasi altro luogo sulla Terra. Studi precedenti hanno già dimostrato che i coralli e altre specie tropicali hanno già praticamente raggiunto i loro limiti fisiologici. Lo studio suggerisce che «La pianificazione della conservazione potrebbe essere compromessa da aree protette che dovranno affrontare, proprio per prime, climi senza precedenti e perché la maggior parte dei centri ad alta diversità di specie si trovano in Paesi in via di sviluppo».
Questo rapido cambiamento altererà il funzionamento dei sistemi biologici della Terra, costringendo le specie sia a spostarsi nel tentativo di trovare climi adatti, sia a rimanere e cercare di adattarsi al nuovo clima. O a estinguersi.
Ken Caldeira del Department of Global Ecology dellla Carnegie Institution for Science, che non ha partecipato allo studio, sottolinea che «Questo lavoro dimostra che stiamo spingendo gli ecosistemi del mondo fuori dal contesto in cui si sono evoluti, verso condizioni interamente nuove alle quali potrebbero non essere in grado di far fronte. I risultati rischiano di essere le estinzioni. Alcuni ecosistemi possono essere in grado di adattarsi, ma per gli altri, come ad esempio le barriere coralline, la perdita completa non solo di singole specie, ma di tutte loro integralmente, è probabile».
Cambiamenti così devastanti e veloci influenzeranno i nostri sistemi sociali. «Gli impatti sui tropici hanno implicazioni a livello globale, in quanto lì vive la maggior parte della popolazione del mondo – evidenziano i ricercatori – Contribuiscono in modo significativo alle forniture alimentari totali ed ospitano la gran parte della biodiversità del mondo».
Lo scenario più ottimistico prevede che, prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo, oltre 1 miliardo di persone, e 5 miliardi in uno scenario business-as-usual, vivano in aree che sperimenteranno climi estremi prima del 2050. Questo fa aumentare le preoccupazioni per i cambiamenti nella fornitura di cibo e acqua, per la salute umana, con una più ampia diffusione di malattie infettive e stress termico, per le guerre e per le sfide che dovranno affrontare economie già deboli. Un altro degli autori dello studio, Ryan Longman, ha evidenziato: «I nostri risultati suggeriscono che i Paesi colpiti per primi da climi senza precedenti sono quelli con la minor capacità di rispondere. Ironia della sorte, questi sono soprattutto i Paesi che sono meno responsabili dei cambiamenti climatici».
Per Jane Lubchenco, ex amministratrice della National Oceanic and Atmospheric Administration Usa e ora alla Oregon State University, «Questo documento è particolarmente importante. Si basa su un lavoro precedente, ma mette ancor più in evidenza le conseguenze biologiche e umane. Collega i punti tra i modelli climatici e gli impatti per la biodiversità in modo incredibilmente fresco ed ha ramificazioni che fanno riflettere sulle specie e le persone».
Lo studio descrive le medie globali, ma gli autori hanno visualizzato i loro dati su una mappa interattiva che mostra quando il clima supererà i precedenti storici nelle località di tutto il mondo. «Speriamo che con questa mappa la gente possa vedere e capire la progressione del cambiamento climatico nel tempo in cui vivono. Speriamo che questo leghi le persone più strettamente al problema, e aumenti la consapevolezza riguardo all’urgenza di agire», sottolinea l’altro coautore, Abby Frazier.
Scendendo nel particolare, l’indice utilizza le temperature minime e massime dal 1860 al 2005 per definire i limiti della variabilità del clima storico in un dato luogo. Gli scienziati hanno poi preso le proiezioni per i prossimi 100 anni per identificare l’anno in cui in futuro la temperatura in qualsiasi luogo sulla Terra si sposterà completamente al di fuori dei limiti di precedenti storici, definendo tale anno come anno di partenza del clima.
I dati provengono da 39 modelli del sistema Terra sviluppati autonomamente da 21 centri climatici in 12 Paesi diversi. I modelli si sono rivelati efficaci nel riprodurre le condizioni climatiche attuali e variano nei loro tempi di avvio previsti in non più di 5 anni.
Lo studio suggerisce che «Qualsiasi progresso per rallentare il cambiamento climatico in corso richiederà un grande impegno da parte dei paesi industrializzati per ridurre le emissioni, ma anche un più ampio finanziamento di programmi sociali e di conservazione nei Paesi in via di sviluppo per ridurre al minimo gli impatti del cambiamento climatico. Più aspettiamo, più sarà difficile rimediare».
Mora conclude: «Gli scienziati hanno più volte messo in guardia circa il cambiamento climatico ed i suoi probabili effetti sulla biodiversità e la gente. Il nostro studio dimostra che tali cambiamenti incombono già su di noi. Questi risultati non devono essere motivo per rinunciare. Piuttosto, dovrebbero incoraggiarci a ridurre le emissioni e a rallentare il tasso di cambiamento climatico. Questo può far guadagnare tempo alle specie, agli ecosistemi e a noi stessi, per adeguarci ai cambiamenti a venire».