Cop26, la prima bozza Unfccc dell’accordo è un testo debolissimo

L’Arabia Saudita (e Australia e Brasile) al lavoro per bloccare le trattative. Greenpeace: fermateli

[9 Novembre 2021]

Secondo Greenpeace International,  la  prima bozza del testo sulle decisioni finali che verranno assunte alla 26esima conferenza della parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP26 Unfccc) in corso a Glasgow  è «Un documento che allo stato attuale giudichiamo inaccettabile: non menziona affatto i combustibili fossili, nonostante tutti sappiano che è ora di chiuderla con carbone, petrolio e gas se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi e limitare il riscaldamento globale entro 1.5°C. Non possiamo negare di essere molto preoccupati per la mancanza di ambizione di questo testo: di solito la prima bozza di un accordo internazionale sul clima è relativamente ambiziosa, per poi indebolirsi durante la seconda settimana di negoziati. Cosa possiamo quindi aspettarci da una prima bozza già così debole?»

Greenpeace accusa l’ostruzionismo di chi porta avanti gli interessi legati ai combustibili fossili di aver portato a una prima versione del testo ufficiale che «Non riconosce il ruolo che queste  fonti vecchie ed inquinanti hanno nel causare la crisi climatica. Non c’è inoltre alcun impegno concreto a porre fine alla dipendenza globale da carbone, petrolio e gas. Il testo è lungo solo 850 parole. E’ una situazione inaccettabile: per questo stiamo chiedendo ai negoziatori di opporsi a Paesi come l’Arabia Saudita e l’Australia, che essendo produttori di combustibili fossili oggi stanno paralizzando le ambizioni dei negoziati in corso a Glasgow».

A Destare grave preoccupazione sono soprattutto le mosse del governo saudita – quello del presunto rinascimento –  che puntano a bloccare le trattative alla COP26. Greenpeace denuncia che «Venerdì sera i negoziatori sauditi si sono mossi per bloccare le trattative sulla redazione della cosiddetta cover decision, il documento finale che esprime il messaggio principale che esce da una COP, spiegando in sostanza qual è il risultato finale dei negoziati» e il risultato sembra proprio l’esangue bozza presentata dall’Unfccc.

Inoltre, i governo saudita ha bloccato gli sforzi per fare progressi sulle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, un punto chiave dell’Accordo di Parigi. Greenpeace evidenzia che «Si tratta di aiutare milioni di persone in tutto il mondo a far fronte agli impatti dell’emergenza climatica. La mancanza di progressi su questo versante renderebbe difficile per i Paesi vulnerabili, compreso il blocco delle nazioni africane, firmare qualsiasi accordo finale, rendendo quindi meno probabile il successo della COP26».

Così l’Arabia Saudita rischia di far saltare l’obiettivo degli 1,5° C  che è diventato il mantra della presidenza britannica della COP26 (la co-presidenza italiana non è finora pervenuta). Greenpeace spiega che «I negoziatori sauditi sono in grado di minare i negoziati perché ogni decisione richiede il consenso da parte di tutti i 196 Paesi presenti, il che significa che una singola nazione può porre il veto sulle questioni in discussione. Nell’ambito dell’Unfccc le decisioni devono essere prese per consenso perché l’Arabia Saudita, sin dal Summit della Terra di Rio del 1992, ha sempre bloccato ogni ipotesi di decisione a maggioranza sui temi climatici. Molti Paesi chiedono che la COP26 mandi un messaggio chiaro sul bisogno di accelerare gli interventi per contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5° C, ma senza un accordo su questo punto – cruciale – non ci sarà una cover decision e senza una tale decisione il risultato di Glasgow sarà un sostanziale fallimento. Fra chi ha più bisogno di decisioni concrete e a protezione del clima ci sono soprattutto i Paesi che potrebbero addirittura scomparire a causa della crisi climatica in corso».

L’appello rivolto dagli ambientalisti agli altri Paesi è quello di «Isolare la delegazione saudita, se vogliono che questa COP abbia successo per tutti, e non solo per i Paesi che hanno interessi nei combustibili fossili. E’ indubbio che la ricchezza e l’economia dell’Arabia Saudita siano basate sui combustibili fossili e che la necessaria transizione energetica sarà impegnativa, ma la comunità scientifica ha dimostrato che questo è l’unico modo per garantire il futuro dell’umanità. La regione del Golfo ha un grande potenziale  di energie rinnovabili, che possono stimolare un’economia basata su equità e giustizia, con posti di lavoro migliori per un ampio segmento della società».

Di fronte alla debolissima bozza di accordo e all’aggressiva strategia saudita spalleggiata da altri Paesi produttori di combustibili fossili, Greenpeace sottolinea che «Per riuscire a trasformare questo appuntamento in un successo, durante questa seconda settimana di COP26 i negoziatori devono far sì che: dai colloqui emerga la necessità di limitare l’aumento della temperatura globale entro 1,5° C, altrimenti i leader firmeranno una condanna per molti Paesi, e non un patto sul clima; il testo dell’accordo impegni i governi a eliminare gradualmente i combustibili fossili, o non si raggiungerà l’obiettivo di 1,5°C; non si ricorra a scappatoie, greenwashing o false soluzioni; i governi isolino l’Arabia Saudita, l’Australia e il Brasile, e sostengano i Paesi più vulnerabili agli impatti della crisi climatica. Non c’è scusa che tenga, se vogliamo mantenere in vita l’obiettivo 1,5°C dovranno essere aggiunte al testo le parole: “uscire dai combustibili fossili”».