Crescono lo spazio dedicato al negazionismo e le pubblicità fossili

Crisi climatica, i media italiani ne parlano di più ma senza nominare i responsabili

Sturloni (Greenpeace): «A causa dell’influenza economica di Eni e delle altre aziende inquinanti, in Italia non c’è libertà di stampa sul clima»

[23 Aprile 2024]

Nell’ultimo anno sono cresciute in numero le notizie pubblicati dai principali media italiani sulla crisi climatica, ma è al contempo diminuita l’analisi della cause. E in parallelo, sono in risalita le narrazioni contro la transizione ecologica.

È quanto emerge dal secondo rapporto annuale sull’informazione dei cambiamenti climatici nel nostro Paese, realizzato per Greenpeace dall’Osservatorio di Pavia, che tra gennaio e dicembre 2023 ha acceso un faro su come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram.

«Il monitoraggio effettuato sui principali media italiani nell’anno più caldo di sempre conferma che, a causa dell’influenza economica di Eni e delle altre aziende inquinanti, in Italia non c’è libertà di stampa sul clima, nonostante gli impatti sempre più gravi ed evidenti del riscaldamento del pianeta», spiega Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.

In particolare, i quotidiani hanno pubblicato in media 2,7 articoli al giorno (contro i 2 del 2022) contenenti almeno un accenno alla crisi climatica, sebbene quelli effettivamente dedicati al clima siano appena un terzo. In compenso, nello stesso periodo gli stessi quotidiani hanno ospitato 1.299 inserzioni pubblicitarie – contro le 795 del 2022 – dedicate all’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta.

Secondo l’analisi, questo è uno degli elementi che spiegano perché si parla sempre meno delle cause del riscaldamento globale (in calo dal 22% al 15% rispetto al 2022) e di combustibili fossili (indicati come causa solo nel 5,5% degli articoli), mentre le compagnie del gas e del petrolio sono indicate come responsabili in appena 14 articoli durante l’intero anno.

In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha inoltre stilato la classifica per l’anno 2023 dei principali quotidiani italiani: raggiunge la sufficienza soltanto Avvenire (con 6 punti su 10), segue La Stampa (4,2 punti) mentre risultano gravemente insufficienti Repubblica (3,8 punti), Corriere (3,2 punti) e Il Sole 24 Ore (3 punti).

Non va meglio passando dall’analisi dei quotidiani a quella dei tg, che hanno parlato esplicitamente di crisi climatica nel 2,3% delle notizie trasmesse (contro l’1,9% del 2022) e solo 1 volta hanno indicato le compagnie petrolifere come responsabili. Il Tg5 è il telegiornale che in percentuale ha dedicato più spazio al clima (con il 2,7% delle notizie trasmesse), mentre fanalino di coda si conferma il Tg La7 di Enrico Mentana (1,6%). Il Tg1 e il Tg2 scivolano rispettivamente al terzultimo e al penultimo posto, sintomo del «condizionamento del Governo Meloni sulla Rai», come sottolineano da Greenpeace.

Coerentemente, le narrative contrarie alla transizione energetica trovano sempre più spazio. Nel 2023 sono state veicolate dal 16% degli articoli dei quotidiani e dal 14% delle notizie dei telegiornali che parlano di clima, e si assiste inoltre a un ritorno del negazionismo climatico di vecchio stampo.

Per quanto riguarda infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, le notizie sulla crisi climatica si attestano al 3,2% sul totale dei post pubblicati. A differenza dei media tradizionali, hanno trovato più spazio gli aspetti ambientali (32%) e sociali (25%) rispetto a quelli politici (21%) ed economici (9%). Hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica will_ita (9,6% sul totale dei post pubblicati), torcha (8,1%) e domanieditoriale (7,8%), mentre chiudono la classifica corriere (1,3%), ilfoglio (0,9) e avvenire.it (0,7%).

«La resistenza alla transizione che troviamo in articoli, servizi di telegiornale e dichiarazioni dei politici altro non è – commenta Federico Spadini, campaigner clima di Greenpeace Italia – che il riflesso di un complesso patto di potere in cui gli interessi dei media, della politica e del mondo industriale sono indissolubilmente legati, e in cui i soggetti che hanno più potere di condizionare il discorso pubblico sul clima sono proprio i colossi del petrolio e del gas come Eni, maggiormente responsabili della crisi climatica. Rompere questo legame, liberando i media dalla dipendenza dai finanziamenti dell’industria fossile e ridimensionando il potere del settore petrolifero di influenzare la politica italiana, è un’azione necessaria».

Un contesto complessivamente drammatico, in cui però resiste un nucleo di giornali – riuniti da Greenpeace nella Stampa libera per il clima, con anche greenreport – che promuove un’informazione indipendente e scientificamente fondata sulla crisi climatica.