Fermare la porta girevole: gli influencer dei combustibili fossili e la politica climatica dell’Ue
Come le compagnie petrolifere utilizzano politici e funzionari pubblici per influenzare la Commissione europea
[26 Ottobre 2021]
Mentre il mondo si avvicina, ancora una volta in ritardo e impreparato alla 26esima Conferenza delle parti sul Clima dell’Onu (COP26 Unfccc) e il premier britannico che la ospiterà avverte già che potrebbe essere un fallimento, mentre gli impatti dell’emergenza climatica, con tempeste, inondazioni, siccità e incendi record sono una realtà, mentre tutti ormai sappiamo che i due terzi delle emissioni di gas serra di origine antropica provengono dall’industria dei combustibili fossili e che il rapporto incestuoso tra questa industria e la politica è un grosso ostacolo per affrontare la crisi più grande che ha di fronte l’umanità… Una nuova ricerca di membri Corporate Europe Observatory (CEO), Friends of the Earth Europe e Food & Water Action Europe – tre ONG che fanno parte di di Fossil Free Politics – analizza 71 casi di quelle che chiama porte girevoli che coinvolgono il settore pubblico (governi e agenzie nazionali, Ue e istituzioni internazionali) e 6 imprese della Big Energy e 5 dei loro gruppi di pressione tra il 2015 e il 2021.
Il rapporto che ne è venuto fuori spiega che «Evidenziamo alcuni dei tanti casi di dipendenti pubblici e rappresentanti eletti che sono passati attraverso la porta girevole a lavori aziendali con le imprese dei combustibili fossili o loro rappresentanti, e funzionari che sono passati alla sfera pubblica da ruoli in queste imprese».
Le ONG ricordano che «Per decenni, le imprese dei combustibili fossili hanno fatto pressioni contro un’efficace azione climatica a livello nazionale, Ue e internazionale, bloccando le politiche per ridurre le emissioni e lasciare i combustibili fossili nel terreno. Il loro bagaglio di trucchi per il lobbismo include accesso privilegiato, enormi spese di lobby e le porte girevoli». Il risultato è che, secondo Fossil Free Politics, le compagnie dell’’industria dei combustibili fossili si sono impadronite del processo decisionale dell’Ue che gli interessi e le priorità dei combustibili fossili sono diventate la normalità in tutte le istituzioni politiche.
Il rapporto evidenzia che «Tra il 2015 e il 2021, sei giganti dei combustibili fossili (Shell, BP, Total, Equinor, ENI e Galp) e cinque dei loro gruppi di pressione (Hydrogen Europe, Eurogas, FuelsEurope, IOGP e CEFIC) sono stati coinvolti in quanto segue: 71 casi di porte girevoli; 568 incontri con funzionari di alto livello della Commissione Europea (una media di 1,5 incontri a settimana per un periodo di sette anni); Lobbying in Europa per oltre 170 milioni di euro».
Per le tre ONG è questo legame opaco che, mentre sta per iniziare la COP26 a Glasgow, ha condizionato l’avvio di un’azione reale climatica reale, nonostante gli impegni dell’Accordo di Parigi. Le associazioni fanno notare che «Per raggiungere l’obiettivo di Parigi di mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5° C, quasi il 60% delle riserve di petrolio e gas e il 90% del carbone devono rimanere nel sottosuolo. Eppure le grandi major del petrolio e del gas hanno semplicemente promesso piani climatici “net zero”, un comodo mantello per soluzioni false e normali. Le loro proposte riguardano una varietà di tecnologie rischiose e schemi fortemente imperfetti: carbon markets, carbon capture and storage (CCS) e idrogeno, per esempio. Al centro di questi impegni ci sono le proiezioni che in realtà aumenterebbero la loro produzione di gas. Questa cortina fumogena consente emissioni continue e, se implementata su larga scala, avrà un impatto sociale e ambientale negativo significativo. Sono anche una distrazione dalla rapida attuazione di un calo del consumo di combustibili fossili di cui abbiamo urgente bisogno e dalla loro sostituzione con alternative reali. Tuttavia, la maggior parte delle istituzioni politiche abbraccia le false soluzioni progettate dall’industria dei combustibili fossili».
In questo svolgono un forte ruolo lobbistico politici, funzionari pubblici e rappresentanti della grandi compagnie petrolifere cambiando casacca e ruolo mentre attraversano quelle che le ONG chiamano “porte girevoli”, per le quali le attuali regole «sono inadeguate e le autorità di regolamentazione chiudono un occhio sui possibili conflitti di interesse per cui Big Energy beneficia del know-how e delle agende di contatto degli addetti ai lavori. Questo non è semplicemente un caso di singolo illecito, ma un problema sistemico tra le istituzioni».
Il rapporto denuncia che «La questione dell’influenza delle compagnie petrolifere e del gas nella vita politica non potrebbe essere più significativa. Sia che si oppongano o ritardino l’azione ambientale, sia che spingano per difendere gli investimenti nell’energia sporca a scapito dei diritti umani, sia che garantiscano accordi diplomatici con Paesi terz, sia che fomentino conflitti o che svolgano forti ruoli nei ministeri dell’economia e dell’energia, abbiamo bisogno di un firewall funzionante tra i funzionari pubblici e le compagnie maggiormente responsabili di alimentare e perpetuare il cambiamento climatico».
Secondo il rapporto, dal 2015, anno della COP21 Unfccc di Parigi; Eni è collegata con: 10 casi di porte girevoli e 48 incontri con l’élite della Commissione Europea con costi di lobbying dell’Ue di quasi 7 milioni di euro, TotalEnergies è collegata a: 15 casi di porte girevoli; 31 incontri con l’élite della Commissione Europea e quasi 13 milioni di ero per lobbynng dell’Ue; 10 casi di porte girevoli, Shell a 10 casi di porte girevoli; 85 incontri con l’élite della Commissione Ue e lobbying per quasi 28 milioni di euro; BP a 5 casi di porte girevoli; 47 incontri con l’élite della Commissione Ue e lobbying per quasi 18 milioni di euro; Equinor a 6 casi di porte girevoli; 49 incontri con l’élite della Commissione Ue e lobbying per quasi 12 milioni di euro.
Per CEO, Friends of the Earth Europe e Food & Water Action Europe «Il gran numero di casi di porte girevoli illustra quanto sia serio il problema del conflitto di interessi nella definizione delle politiche climatiche. Le norme sulle porte girevoli dell’Ue rimangono inadeguate e mal attuate. Nel frattempo, i negoziati sul clima delle Nazioni Unite spesso consentono la sponsorizzazione dei combustibili fossili e i membri dell’industria dei combustibili fossili fanno parte delle delegazioni ufficiali. I tentativi di regolamentare i conflitti di interesse all’Unfccc – sostenuti da governi che rappresentano il 70% della popolazione mondiale – sono stati bloccati dall’Ue e da altri. Il modello di business dell’industria dei combustibili fossili è minacciato dall’attuazione di politiche sul cambiamento climatico che limiterebbero il riscaldamento globale a 1,5° C. I loro interessi acquisiti nel rifiutare o diluire qualsiasi legislazione che danneggi i loro profitti dovrebbero escluderli dal processo decisionale sulle questioni climatiche».
La rimozione degli interessi inconciliabili dell’industria dei combustibili fossili dall’arena della politica climatica è al centro della piattaforma Fossil Free Politics che chiede: «Nessun conflitto di interessi, nessuna porta girevole (un periodo di riflessione di 5 anni per i politici e lo staff regolari; 10 anni per le posizioni di alto livello). Nessun tirocinio, distacco, tirocinio o anno sabbatico da parte del personale delle compagnie dei combustibili fossili nei governi o viceversa. L’implementazione di un firewall per porre fine all’accesso dell’industria dei combustibili fossili al processo decisionale. Niente più incontri con l’industria dei combustibili fossili o i suoi rappresentanti. L’Ue dovrebbe sostenere lo sviluppo di una politica sul conflitto di interessi in seno all’Unfccc».