Finiti (male) i colloqui di Bonn sul clima: scontro sulla compensazione tra Paesi ricchi e poveri

Sotto accusa l’Europa: vuole fare la leader climatica ma poi affossa i negoziati su compensazione e danni

[17 Giugno 2022]

Le due settimane di colloqui della Bonn Climate Change Conference che avrebbero dovuto portare ad accordi e soluzioni si sono concluse con nuovi scontri e incomprensioni tra Paesi ricchi e poveri sui finanziamenti per i danni climatici. I Paesi in via di sviluppo ricordano che sono loro a subire gli impatti peggiori di un cambiamento climatico causato da centinaia di anni di  emissioni dei Paesi più ricchi  e speravano di inserire in agenda climatica della 27esima Conferenza delle parti dell’Unfccc, che si terrà in Egitto a novembre, un risarcimento per i danni che stanno subendo. Ma Unione europea e Stati Uniti d’America la pensano diversamente e hanno respinto le loro richieste.

A nulla è servito nemmeno il drammatico appello di Conrod Hunte, capo negoziatore dell’Alliance of Small Island States (AOSIS), che ha ricordato: «L’emergenza climatica sta rapidamente diventando una catastrofe. Eppure all’interno di queste mura il processo non sembra al passo con la realtà, il ritmo sembra troppo lento».

Prima Hunte aveva annunciato che «Alla COP27, AOSIS chiederà ai Paesi sviluppati di mantenere il loro impegno a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento entro l’obiettivo di 100 miliardi di dollari entro il 2025 e garantire che gli Small Island Developing States (SIDS) abbiano la priorità in questo aumento. Ma bisogna anche riconoscere che questo obiettivo è stato fissato a Copenaghen nel 2009. Non ci si può aspettare che 13 anni dopo, ciò sia adeguato per affrontare i costi effettivi che stiamo affrontando. Le deliberazioni su un nuovo obiettivo quantificato collettivo sui finanziamenti per il clima dovrebbero essere basate sulla scienza e informate sulle esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Sarei negligente se non sfruttassi questa opportunità per ribadire la fondamentale necessità di un finanziamento dedicato per le perdite e i danni. Alla COP27, dobbiamo far passare il ” “Glasgow Dialogue on Funding Arrangements for Loss and Damage” dalla conversazione alla negoziazione formale. Il rapporto dell’IPCC WG II è molto chiaro che ci sono già impatti dei cambiamenti climatici ai quali i Paesi vulnerabili come i nostri  non possono adattarsi. Non possiamo ignorare questo problema, quindi non lo può fare nemmeno l’ordine del giorno di questi colloqui. Onorevoli colleghi, per le nostre piccole isole eccezionalmente vulnerabili, finanziamenti adeguati e accessibili, sotto forma di sovvenzioni e misure innovative, per adattarsi agli effetti schiaccianti dei cambiamenti climatici e costruire la resilienza, sono l’unica via da seguire. Alla COP27 dobbiamo impegnarci a finanziare l’adattamento che salvaguarderà il futuro dei SIDS».

E’ la linea di tutti i Paesi in via di sviluppo, che dicono di aver bisogno di denaro per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, perché ne subiscono gli effetti più dei Paesi ricchi e hanno una minore capacità finanziaria per farvi fronte, mentre il cambiamento climatico che li sta colpendo è stato causato dal carbonio emesso dai Paesi più ricchi mentre sviluppavano le loro economie. Per questo l’Ue e gli Usa devono assumersi le loro responsabilità e risarcirli, Ma europei e statunitensi non sono d’accordo e ribattono che se dovessero pagare per le loro emissioni storiche questo costerebbe loro centinaia di miliardi di dollari ed euro e le loro economie ne patirebbero per decenni o addirittura secoli a venire.

Così la “perdita e danno” è diventata la nuova frontiera dello scontro tra ricchi e poveri, ma gli Stati insulari e i Paesi in via di sviluppo ricordano ai Paesi sviluppati che alla COP26 di Glasgow avevano accettato di dare la priorità ai tagli alle emissioni di carbonio sulla scorta della promessa che quest’anno le nazioni più ricche avrebbero finalmente istituito un processo di compensazione. Un compromesso che non ha dato i frutti sperati e che i Paesi ricchi non hanno rispettato, opponendosi a Bonn a inserire una struttura di finanziamento all’ordine del giorno della conferenza COP27 di Sharm El-Sheikh.

Alex Scott del think tank E3G, ha spiegato a BBC News che «Il compromesso si basava sulla comprensione che i Paesi sarebbero stati disposti a iniziare a parlare e a prendere decisioni su come far fluire quei finanziamenti per perdite e danni. E qui non l’abbiamo visto realizzarsi. Invece, abbiamo visto un seminario organizzato per parlare di come possiamo risolvere alcuni dei problemi».

Ad essere criticata è soprattutto l’unione europea, che a parole si candida a leader climatico globale ma nei fatti è sempre più asserragliata nei propri confini e che ai Paesi in via di sviluppo sembra più interessata a finanziare la guerra in Ucraina che la lotta al cambiamento climatico. Teresa Anderson, global lead on climate justice di ActionAid International denuncia: «Con l’escalation quotidiana della crisi climatica, i Paesi del sud del mondo, che rappresentano 6 persone su 7 del pianeta, sono stati uniti nella loro richiesta di finanziamenti per aiutarli a riprendersi e ricostruire all’indomani dei disastri climatici. Ma i Paesi ricchi, in particolare l’Ue, hanno accresciuto la discussione su perdite e danni ad ogni singolo turno. Che si trattasse di creare una nuova struttura finanziaria, fornire fondi, organizzare supporto tecnico o anche solo includere la questione all’ordine del giorno per la discussione alla COP27 alla fine di quest’anno, i Paesi ricchi hanno continuato a bloccare, bloccare, bloccare. In questo momento, 20 milioni di persone nel Corno d’Africa sono sull’orlo della carestia. C’è una terribile disconnessione tra il mondo reale e alcuni negoziatori di Paesi ricchi che vivono in bolle sicure e si sentono in grado di voltare le spalle al resto dell’umanità».

Per Chiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network (CAN) Europe, «Le persone e il pianeta non possono permettersi l’irresponsabilità e la mancanza di ambizione dell’Ue alla quale  abbiamo assistito nelle ultime settimane a Bonn. L’Uè sta perdendo completamente il senso di cosa significhi essere un leader climatico. L’Ue dovrebbe smetterla di bloccare i progressi in materia di perdite e danni e aumentare i finanziamenti per l’adattamento. I Paesi europei hanno anche urgente bisogno di aumentare massicciamente i loro obiettivi climatici ed energetici, piuttosto che sostituire il petrolio e il gas della Russia con quelli dei Paesi in via di sviluppo, bloccandoli ulteriormente nei combustibili fossili. Questo è ciò che dovrebbero fare i leader climatici».

Secondo Mark Lutes, capo delegazione del Wwf a Bonn, «I finanziamenti per il clima non erogati e l’azione dei Paesi ricchi ostacolano l’azione futura di tutti. I Paesi stanno tornando alle vecchie abitudini di tenere una questione in ostaggio di un’altra questione a loro cara. Quindi, quando alcuni Paesi bloccano i progressi nel finanziamento di perdite e danni e rispondono agli impatti crescenti dei cambiamenti climatici, altri bloccano i progressi in materia di mitigazione. Quindi, mentre non ci aspettavamo risultati concreti in questo meeting, è già chiaro che la generale mancanza di senso di urgenza, e i conflitti perenni e le linee di frattura tra le parti, minacciano i rapidi progressi di cui abbiamo bisogno quest’anno e in questo decennio. Il processo deve portare all’azione e l’urgenza deve essere al centro di tutte le azioni e i processi se vogliamo avere una COP27 di successo a Sharm el-Sheikh».

David Waskow, direttore internazionale clima del World Resources Institute, cerca di vedere i lati positivi della Bonn Climate Change Conference: «In questo meeting dell’Onu si è parlato  delle gravi perdite e dei danni che i Paesi vulnerabili devono affrontare a causa del cambiamento climatico più di qualsiasi altro negoziato, ma non è riuscito a chiarire come affrontare il problema . Sebbene i Paesi sviluppati abbiano riconosciuto la necessità di affrontare tali danni, hanno respinto le richieste delle nazioni vulnerabili di lavorare per stabilire un nuovo meccanismo di finanziamento. Forse il risultato più decisivo di questi colloqui è che i Paesi sviluppati ora si rendono conto che il coro che chiede soluzioni a perdite e danni sta solo diventando più forte e affrontare questo problema è una misura centrale del successo per il vertice Onu sul clima in Egitto.  Ora la pressione affinché i leader raccolgano la sfida e utilizzino le imminenti riunioni diplomatiche per fornire lo slancio politico necessario prima della COP27, è alta. Le opportunità chiave includono il vertice del G7 e il dialogo di Petersberg. Una maggiore attenzione agli impatti crescenti deve anche portare a un’azione climatica più forte su tutta la linea: dalla riduzione drastica delle emissioni e dalla protezione delle foreste al supporto per i Paesi vulnerabili che affrontano le conseguenze sempre più gravi di un mondo in surriscaldamento.  A Bonn, i Paesi hanno mosso la palla sulla valutazione dei progressi collettivi dei Paesi nell’affrontare la crisi climatica, nota come Global Stocktake. Se fatto bene, il Global Stocktake potrebbe culminare il prossimo anno con i Paesi che accettano nuovi impegni politici che forniscano soluzioni climatiche rivoluzionarie in tutti i settori, accesso ai finanziamenti e altro ancora.  I parametri di riferimento per il successo della COP27 stanno ora venendo a fuoco. E’ fondamentale che i principali emettitori rafforzino i loro obiettivi di riduzione delle emissioni e che i Paesi sviluppati dimostrino solidarietà con le nazioni vulnerabili radunandosi dietro il sostegno finanziario per affrontare perdite e danni, rafforzare la resilienza agli impatti climatici e accelerare una giusta transizione verso fonti di energia più pulite. Il mondo guarderà anche Sharm el-Sheikh per ritenere Paesi, imprese, città e altri, responsabili dello straordinario numero di impegni profilati alla COP26 dell’anno scorso».

Mary Friel, responsabile giustizia climatica di Christian Aid, conclude: «Ancora una volta vediamo l’enorme scollamento tra i negoziati e l’urgenza dell’azione necessaria. In questo momento sono le persone, le comunità e le persone più vulnerabili al clima che vengono colpite più duramente, che hanno fatto il minimo per causare la crisi, ma stanno sopportando i costi per perdite e danni. I Paesi più ricchi devono pagare. Stavamo facendo alcuni progressi in materia di perdite e danni, ma i Paesi ricchi hanno bloccato l’azione,  spingendo verso una COP27 senza alcuna certezza su come perdite e danni si rifletteranno nell’agenda della COP. Non è più il tempo delle buone parole, ci deve essere un’azione che fornisca un vero aiuto finanziario alle persone che vivono in prima linea nella crisi climatica».