Fuga di documenti alla Cop26: i Paesi dei fossili e della carne vogliono annacquare il rapporto Ipcc sul clima
Brasile, Argentina, Australia, Giappone, Arabia Saudita, OPEC e le lobbies dei combustibili fossili, dell’agroindustria e del nucleare contro l’azione climatica
[21 Ottobre 2021]
La BBC è entrata in possesso di documenti che dimostra come i Paesi stiano cercando di cambiare il rapporto scientifico dell’IPCC su come affrontare il cambiamento climatico e dice che «La fuga di notizie rivela che Arabia Saudita, Giappone e Australia sono tra i Paesi che chiedono alle Nazioni Unite di minimizzare la necessità di allontanarsi rapidamente dai combustibili fossili. Dimostra anche che alcune nazioni ricche mettono in dubbio di pagare di più agli stati più poveri per passare a tecnologie più verdi».
BBC News oggi evidenzia che «Questa “lobby” solleva interrogativi per il vertice sul clima COP26 di novembre. La fuga di notizie rivela quali sono i Paesi che respingono le raccomandazioni delle Nazioni Unite per l’azione e arriva pochi giorni prima che al vertice venga chiesto loro di assumere impegni significativi per rallentare il cambiamento climatico e mantenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi».
I documenti trapelati consistono in oltre 32.000 osservazioni presentate da governi, imprese e altre parti interessate al team di scienziati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo dell’Onu incaricato di valutare la scienza del cambiamento climatico e che riunisce negli “assessment reports” le migliori prove scientifiche su come affrontare il cambiamento climatico.
La BBC spiega che «Questi rapporti vengono utilizzati dai governi per decidere quale azione è necessaria per affrontare il cambiamento climatico e l’ultimo sarà un input cruciale per i negoziati alla conferenza di Glasgow. L’autorità di questi rapporti deriva in parte dal fatto che virtualmente tutti i governi del mondo partecipano al processo per raggiungere il consenso. I commenti dei governi che la BBC ha letto sono progettati in modo preponderante per essere costruttivi e per migliorare la qualità del rapporto finale.
La cache dei commenti e l’ultima bozza del rapporto sono stati rilasciati al team di giornalisti investigativi di Greenpeace UK Unearthed, che lo ha passato a BBC News».
Simon Lewis, professore di scienza del cambiamento globale Al’University College di Londra, ha dichiarato a Unearthed : «Questi commenti mostrano le tattiche che alcuni Paesi sono disposti ad adottare per ostacolare e ritardare l’azione per ridurre le emissioni. Alla vigilia dei colloqui cruciali della COP26 c’è, per me, un chiaro interesse pubblico nel sapere cosa dicono questi governi dietro le quinte . Come la maggior parte degli scienziati, sono a disagio con le fughe di bozze di rapporti, poiché in un mondo ideale gli scienziati che scrivono questi rapporti dovrebbero essere in grado di svolgere il proprio lavoro in pace. Ma non viviamo in un mondo ideale e, con le emissioni ancora in aumento, la posta in gioco non potrebbe essere più alta».
La fuga di notizie dimostra che un certo numero di Paesi e organizzazioni che sostengono che il mondo non ha bisogno di ridurre l’uso di combustibili fossili così rapidamente come raccomanda l’attuale bozza del rapporto IPCC. Un consigliere del ministero del petrolio saudita chiede che «Frasi come “la necessità di azioni di mitigazione urgenti e accelerate a tutti i livelli…” dovrebbero essere eliminate dal rapporto». Un alto funzionario del governo australiano rifiuta la conclusione che sia necessaria la chiusura delle centrali elettriche a carbone, anche se porre fine all’uso del carbone è uno degli obiettivi dichiarati dalla conferenza COP26. L’Arabia Saudita è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo e l’Australia è uno dei maggiori esportatori di carbone ed erano ffedeli alleati del negazionista climatico Donald Trump.
Uno scienziato senior dell’India’s Central Institute of Mining and Fuel Research, che ha forti legami con il governo indiano, avverte che «Il carbone rimarrà probabilmente il pilastro della produzione di energia per decenni» a causa di quelle che descrive come «Le sfide tremende di fornire elettricità a prezzi accessibili». L’India è già il secondo consumatore mondiale di carbone.
Arabia Saudita, Cina, Australia e Giappone – tutti grandi produttori o utilizzatori di combustibili fossili – così come l’Opec, sostengono le tecnologie emergenti, ma costose, del Carbon capture and storage (CCS) per catturare e stoccare permanentemente la CO2 nel sottosuolo e dicono che «Queste tecnologie CCS potrebbero ridurre drasticamente le emissioni di combustibili fossili dalle centrali elettriche e da alcuni settori industriali».
L’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio al mondo, chiede agli scienziati dell’IPCC di cancellare la loro conclusione secondo la quale «L’obiettivo degli sforzi di decarbonizzazione nel settore dei sistemi energetici deve essere quello di passare rapidamente a fonti a zero emissioni di carbonio e di eliminare gradualmente i combustibili fossili». I sauditi sono appoggiati da Argentina, Norvegia e Opec. La Norvegia sostiene che «Gli scienziati delle Nazioni Unite dovrebbero consentire la possibilità del CCS come potenziale strumento per ridurre le emissioni dei combustibili fossili».
Il progetto di relazione accetta che il CCS potrebbe svolgere un ruolo in futuro, ma afferma che «Ci sono incertezze sulla sua fattibilità« e che «C’è una grande ambiguità nella misura in cui i combustibili fossili con CCS sarebbero compatibili con gli obiettivi 2° C e 1,5° C come stabilito dall’Accordo di Parigi».
L’Australia chiede all’IPCC di eliminare un riferimento all’analisi del ruolo svolto dai lobbisti dei combustibili fossili nell’annacquare l’azione climatica in Australia e negli Stati Uniti. Anche l’Opec chiede di «Cancellare l’attivismo di lobby, proteggere i rent extracting business models, prevenenire l’azione politica». Quando è stata contattata dalla BBC in merito ai suoi commenti alla bozza di rapporto, l’Opec ha dichiarato che «La sfida per affrontare le emissioni ha molti percorsi, come evidenziato dal rapporto IPCC, e dobbiamo esplorarli tutti. Dobbiamo anche utilizzare tutte le energie disponibili. come soluzioni tecnologiche pulite ed efficienti per aiutare a ridurre le emissioni, garantendo che nessuno venga lasciato indietro».
Un portavoce dell’IPCC ha dichiarato a Unearthed: «I nostri processi sono progettati per proteggersi dal lobbismo – proveniente da tutte le parti – alla base di questo c’è di più. Gli elementi principali sono costituiti da team di autori diversi ed equilibrati, un processo di revisione aperto a tutti e il processo decisionale sui testi per consenso. Questo processo IPCC è completamente trasparente e, una volta finalizzato il rapporto, pubblichiamo regolarmente le bozze preliminari, i commenti di revisione e le risposte dell’autore ai commenti. Le bozze del rapporto sono proprio questo: le prime versioni del rapporto nelle quali gli autori mettono alla prova le loro idee insieme e poi le rivedono in linea con le discussioni all’interno dell’IPCC e alla luce dei commenti di revisione formalmente ricevuti nel processo di revisione dell’IPCC e dalla continua lettura della letteratura scientifica. Ecco perché li teniamo riservati durante la preparazione dei rapporti, in modo che gli autori abbiano il tempo e lo spazio per provare e sviluppare il loro pensiero sulla valutazione. Le prime bozze non sono relazioni IPCC e non dovrebbero essere considerate come tali. Per questo motivo non entriamo in discussione sui contenuti delle bozze».
Corinne le Quéré dell’Università dell’East Anglia, un eminente scienziata climatica che ha contribuito a stilare tre importanti rapporti per l’IPCC, non ha dubbi sull’imparzialità dei rapporti dell’IPCC: «Tutti i commenti sono giudicati esclusivamente sulla base di prove scientifiche, indipendentemente da dove provengano. Non c’è assolutamente alcuna pressione sugli scienziati per accettare i commenti. Se i commenti fanno pressioni, se non sono giustificati dalla scienza, non saranno integrati nei rapporti dell’IPCC. E’ importante che esperti di ogni tipo, compresi i governi, abbiano la possibilità di rivedere la scienza. Più le relazioni vengono esaminate, più le prove saranno solide alla fine, perché più gli argomenti saranno portati e articolati in un modo che si appoggino alla migliore scienza disponibile».
Christiana Figueres, la ex segretaria esecutiva dell’United Nations Framework convention on climate change (Unfccc), sotto il cui mandato è stato approvato l’Accordo di Parigi nel 2015, concorda sul fatto che sia fondamentale che i governi facciano parte del processo IPCC_ «Lì ci deve essere la voce di tutti. Questo è lo scopo. Questo non è un singolo filo. Questo è un arazzo tessuto da molti, molti filo».
Ma è difficile giustificare pressioni politiche simili verso un organismo scientifico come l’IPCC che nel 20°7 ha ricevuto un Premio Nobel per il suo contributo alla scienza climatica e per il ruolo cruciale che ha svolto nello sforzo per affrontare il cambiamento climatico.
Per esempio, Brasile e Argentina, due dei maggiori produttori mondiali di carne bovina e mangimi per animali, si oppongono con forza alle prove contenute nella bozza del rapporto secondo cui per tagliare le emissioni di gas serra è necessario ridurre il consumo di carne e che «Le diete a base vegetale possono ridurre le emissioni di gas serra fino al 50% rispetto alla dieta occidentale media ad alta intensità di emissioni». Il Brasile del presidente neofascista e negazionista climatico Jair Bolsonaro dice che questo non è corretto. Entrambi i Paesi invitano gli autori del rapporto a cancellare o modificare alcuni passaggi nel testo che fanno riferimento alle «diete a base vegetale» che svolgono un ruolo nell’affrontare i cambiamenti climatici o che descrivono la carne come un alimento «ad alto contenuto di carbonio». L’Argentina ha anche chiesto che vengano rimossi dal rapporto i riferimenti alle tasse sulla carne rossa e alla campagna internazionale “Meatless Monday”, che esorta le persone a rinunciare alla carne per un giorno e raccomanda di «Evitare la generalizzazione sugli impatti delle diete a base di carne sulle opzioni low-carbon», sostenendo che «Ci sono prove che le diete a base di carne possono anche ridurre le emissioni di carbonio» e il Brasile aggiunge che «Le diete a base vegetale non garantiscono di per sé la riduzione o il controllo delle relative emissioni» e chiede di concentrarsi sui livelli di emissione dei diversi sistemi di produzione, piuttosto che sui tipi di cibo. E lo stesso Paese che ha avuto forti aumenti del tasso di deforestazione in Amazzonia e in alcune altre aree forestali ma che contesta che questo sia il risultato di cambiamenti nelle normative governative, sostenendo che ciò non è corretto, mentre invece è sotto gli occhi di tutti.
E ci si mette anche la ricchissima Svizzera che, con una serie di osservazioni, punta a modificare le parti del rapporto secondo le quali i Paesi in via di sviluppo avranno bisogno del sostegno, in particolare finanziario, dei paesi ricchi per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni.
Giaà alla COP Unfccc di Copenaghen nel 2009 è stato concordato che le nazioni sviluppate avrebbero fornito 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima per i paesi in via di sviluppo entro il 2020, un obiettivo che deve ancora essere raggiunto.
Alla Svizzera viene in soccorso un altro dei Paesi più ricchi del mondi<o, l’Australia che dice che gli impegni climatici dei Paesi in via di sviluppo non dipendono tutti dall’ottenimento di un sostegno finanziario esterno e descrive anche come «commento soggettivo». una menzione nella bozza di relazione della mancanza di impegni pubblici credibili sulla finanza come
L’Ufficio federale svizzero per l’ambiente ha dichiarato alla BBC che «Sebbene i finanziamenti per il clima siano uno strumento fondamentale per aumentare l’ambizione climatica, non sono l’unico strumento rilevante. La Svizzera è del parere che tutte le parti dell’accordo di Parigi in grado di farlo dovrebbero fornire sostegno a coloro che hanno bisogno di tale sostegno».
Poi c’è il nodo, o meglio il bubbone, del nucleare: diversi Paesi dell’Europa orientale (e non solo) sostengono che la bozza del rapporto dovrebbe essere più positiva sul ruolo che l’energia nucleare può svolgere nel raggiungimento degli obiettivi climatici e l’India va oltre, sostenendo che «Quasi tutti i capitoli contengono un pregiudizio contro l’energia nucleare», mentre si tratterebbe di «Una tecnologia consolidata con un buon sostegno politico tranne che in alcuni Paesi». Che il nucleare serva all’India per realizzare le bombe atomiche vcon le quali fa a gara con il Pakistan (e la Cina), sembra un dettaglio così trascurabile da non essere menzionato.
Repubblica ceca, la Polonia e la Slovacchia criticano una tabella del rapporto che evidenzia che in realtà l’energia nucleare ha ruolo positivo solo nel raggiungimento di uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e ribattono che «Può svolgere un ruolo positivo nel realizzare la maggior parte dell’agenda di sviluppo delle Nazioni Unite». Forse sarebbe difficile andarlo a raccontare a Chernobyl o a Fukushima Daiichi…