I 20 hotspot mondiali della fame: guerre e cambiamento climatico le cause principali

Situazione gravissima e in ulteriore peggioramento in Etiopia, Yemen, Sud Sudan e Sahel centrale

[28 Gennaio 2022]

Il nuovo rapporto “Hunger Hotspots FAO-WFP early warnings on acute food insecurity  – February to May 2022 Outlook” è un drammatico allarme per chiedere per una tempestiva azione umanitaria urgente in 20 Paesi e situazioni – gli “hotspot della fame” – «Nei quali è probabile che parti della popolazione debbano affrontare un significativo deterioramento dell’insicurezza alimentare acuta nei prossimi mesi che metteranno a rischio la loro vita e il loro sostentamento».

Fao e Worlf Food Programme evidenziano che «E’ urgente un’azione umanitaria mirata per salvare vite e mezzi di sussistenza nei 20 hotspot. Inoltre, in 4 di questi, Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, le azioni umanitarie sono fondamentali per prevenire la fame e la morte».

Secondo le valutazioni più recenti, in tutti e 4 questi Paesi ci sono  aree in cui le persone stanno morendo o sono affamate (fase 5 dell’IPC) e che richiedono  l’attenzione più urgente.

Il rapporto dimostra che i legami tra fame e guerre sono complessi e di vasta portata. In effetti,  molte delle persone sostenute dal WFP stanno fuggendo dai conflitti armati e sono state costrette ad abbandonare terra, casa e lavoro. E’ probabile che questi trend continuino in Myanmar, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sahel centrale, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Etiopia, Nigeria e Mozambico.

Un’altra tendenza preoccupante è l’impatto degli eventi climatici estremi e WFP e Fao sottolineano che «Il cambiamento climatico non è più uno sguardo rivolto al futuro, ma la realtà quotidiana per le comunità di tutto il mondo». I suoi terribili effetti, anche per quel che riguarda l’insicurezza alimentare e la fame, possono già essere visti in alcuni degli hotspot del rapporto: Haiti, Africa orientale, Madagascar, Mozambico e recentemente nella regione del occidentale del Badghi in Afghanistan.

«Allo stesso tempo – avvertono le due agenzie Onu – le sfide economiche post-pandemia persistono e continueranno a far salire i prezzi dei generi alimentari. Nonostante una breve diminuzione a metà del 2021, i prezzi alimentari mondiali sono aumentati da maggio 2020, con le aree di maggiore preoccupazione che sono il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Asia centrale e orientale.

Gli ostacoli all’accesso umanitario e le guerre e guerriglie continuano a rappresentare una sfida per le operazioni di soccorso in Etiopia, Mali, Nigeria settentrionale, Niger e Siria, ed è probabile che persistano nella Repubblica Centrafricana e in Colombia.

In Sud Sudan, uno dei 4 Paesi di maggiore preoccupazione, conflitto e accesso umanitario limitato, gli effetti della pandemia di Covid-19, le sfide economiche e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari stanno peggiorando la situazione. Le comunità hanno anche dovuto fare i conti con gravi inondazioni che hanno causato sfollamenti diffusi, danni alla produzione agricola, distruzione dei mezzi di sussistenza e aggravato i problemi esistenti in molte regioni.

In Nigeria, l’insicurezza e gli alti tassi di inflazione stanno aggravando l’insicurezza alimentare acuta. La situazione è di massima preoccupazione è nello Stato di Borno, colpito dal conflitto con le milizie islamiste, dove si prevede che, se gli interventi umanitari e di costruzione dei mezzi di sussistenza non saranno sostenuti, circa 13.500 persone cadranno in una catastrofica grave insicurezza alimentare.

In Etiopia, dove infuria la guerra del Tigray, la situazione non sembra essere cambiata rispetto a quella drammativ ca del rapporto Fao-WFP di luglio-settembre 2021, quando gli esperti hanno conclusero che e 401.000 persone nella regione del Tigray sono  probabilmente in condizioni simili alla carestia. Per le due agenzie Onu, «Questa mancanza di dati è fonte di seria preoccupazione. E’ probabile che i livelli di insicurezza alimentare acuta siano aumentati e potrebbero aumentare ulteriormente oltre i livelli di emergenza e catastrofica già identificati nell’ultimo rapporto».

Nello Yemen, la più grande e dimenticata tragedia umanitaria del mondo, la fame sta ulteriormente aumentando a causa del mix tossico di guerra e declino economico: metà di tutte le famiglie yemenite ora consuma meno cibo di quanto necessario. Il rapporto evidenzia che «Il costo di un paniere alimentare minimo nei governatorati controllati dal governo (quello di Aden, appoggiato dai Sauditi, ndr) è più che raddoppiato. Questo calo è dovuto alle riserve di valuta estera quasi esaurite, che rendono più difficile l’importazione di cibo. L’aumento dell’assistenza umanitaria tra aprile e luglio 2021 ha contribuito a stabilizzare i livelli di sicurezza alimentare, ma gli indicatori chiave mostrano un deterioramento nella seconda metà dell’anno».

La situazione sta drammaticamente e rapidamente peggiorando anche in Afghanistan,  dove le proiezioni mostrano «Un numero record di persone che affrontano livelli critici di insicurezza alimentare. Esiste anche il grave rischio che una parte della popolazione vada incontro alla fame e alla morte (Fase 5 dell’IPC) se la crisi non viene contenuta. Ci sono 22,8 milioni di afgani che affrontano una grave insicurezza alimentare. Entro marzo, 8,7 milioni di questi dovrebbero scivolare in livelli critici di insicurezza alimentare (Fase 4 IPC), più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e un livello record per il Paese».

Il  Corno d’Africa, una regione già soggetta all’insicurezza alimentare, sta affrontando una terza stagione di siccità acuita dal fenomeno meteorologico de La Niña. In  Etiopia, Kenya e Somalia, i paesi più colpiti, le proiezioni indicano che l’insicurezza alimentare aumenterà oltre i livelli già elevati della regione entro la metà dell’anno.

Nel  Sahel,  una debole stagione delle piogge ha gravemente influenzato lo sviluppo delle colture e dei pascoli. Il rapporto  prevede che «Oltre 10,5 milioni di persone saranno a un livello di crisi o peggiore (fase CH 3 e successive), un aumento del 20% rispetto allo scorso anno».

E proprio dal Sahel centrale arriva l’ennesimo accorato appello di Martin Griffiths, vicesegretario generale Onu per gli Affari umanitari: «I bisogni crescono più velocemente della generosità».

Quest’anno, quasi 15 milioni di persone in Mali, Niger e Burkina Faso –  tutti Paesi che recentemente hanno subito colpi di Stato militari falliti solo in Niger –  avranno bisogno di assistenza umanitaria quest’anno. Sono 4 milioni di persone in più rispetto al 2021.

L’ UN humanitarian affairs office (OCHA) avrà bisogno di quasi 2 miliardi di dollari per la risposta umanitaria solo in questi 3 Paesi e Griffiths ha sottolineato durante un incontro online tra Onu, Unione europea e ministeri degli esteri di Germania e Danimarca: «E’ un quadro cupo. Conflitti, siccità e insicurezza».

La settimana scorsa, Griffiths ha visitato la Nigeria e ha incontrato le persone colpite dalla crisi del bacino del lago Ciad e ha detto: «Le storie che mi hanno raccontato sono emblematiche delle lotte che le persone in tutto il Sahel centrale devono affrontare: violenza, ripetuti sfollamenti e difficoltà a trovare mezzi di sussistenza sostenibili per se stessi e le loro famiglie, Spero di visitare il Mali e il Niger nei prossimi mesi. Insieme, guerre, cambiamento climatico, instabilità politica, mancanza di opportunità di sviluppo sostenibile e povertà stanno portando milioni di persone in condizioni sempre più disperate. In Covid-19 ha solo peggiorato la situazione. Tra il 2015 e  il 2021, nel Sahel centrale gli attacchi violenti sono aumentati di 8 otto volte nel Sahel centrale. Nello stesso periodo, il numero delle vittime è aumentato di oltre 10 volte. Il risultato sono più di 2 milioni di sfollati, di cui mezzo milione di sfollati interni solo lo scorso anno».

Nel frattempo, l’insicurezza e gli attacchi armati continuano a impedire il funzionamento di  servizi sociali di base già debolissimi: più di 5.000 scuole sono chiuse o non operative. Molti centri sanitari non funzionano. Lo sfollamento e la maggiore insicurezza hanno interrotto l’accesso all’acqua, ai servizi igienici e ai servizi igienici.

Secondo le ultime stime, il numero di persone che affrontano una grave insicurezza alimentare è triplicato in Mali e raddoppiato in Niger rispetto a novembre 2020. Durante la stagione di magra, si prevede che saranno colpiti più di 8 milioni di persone.

Se gli europei che hanno partecipato all’incontro volessero trovare le cause vere delle migrazioni che cercano di contenere, Griffiths le ha illustrate impietosamente e ha anche dimostrato chi è davvero al fronte di questa situazione creata anche da interventi economici neocoloniali e militari europei: «Mentre i bisogni crescono, il Sahel centrale rimane uno dei luoghi più pericolosi al mondo per gli operatori umanitari,  un terzo di tutti i rapimenti di operatori umanitari nel mondo nel 2020 è avvenuto in Mali, Niger , e Burkina Faso. Nonostante queste difficoltà, le organizzazioni umanitarie hanno raggiunto più di 7 milioni di persone nella regione nel 2021 e raccolto 700 milioni di dollari. Sfortunatamente, questo non è nemmeno a metà strada per soddisfare i bisogni delle persone nel Sahel. Per aiutare a colmare questo gap di finanziamento, il Central Emergency Response Fund (CERF) Onu ha rilasciato 54,5 milioni di dollari nel 2021 per Burkina Faso, Mali e Niger. Nello stesso anno, OCHA ha istituito il primo fondo comune regionale in assoluto, per un totale di quasi 33 milioni di dollari».

Il capo umanitario ha concluso con una nota di speranza: «Il Sahel è una regione dalle enormi potenzialità. Lavorando insieme, è possibile invertire l’attuale tendenza».