I campi profughi sono a maggior rischio per le condizioni meteorologiche estreme
I 20 più grandi insediamenti di profughi sono regolarmente esposti a ondate di caldo e di freddo
[7 Giugno 2023]
Sonja Fransen dell’United Nations University–Maastricht Economic and Social Research Institute on Innovation and Technology (UNU-MERIT) è la principale autrice dello studio “Refugee settlements are highly exposed to extreme weather conditions” e spiega su The Conversation che «I risultati sono stati particolarmente degni di nota per gli eventi a insorgenza lenta, ovvero cambiamenti graduali a lungo termine delle temperature e delle precipitazioni. Ma i campi profughi sono stati anche colpiti da disastri a rapida insorgenza come inondazioni, ondate di caldo e ondate di freddo. Gli insediamenti di rifugiati in Kenya ed Etiopia, ad esempio, si trovano in zone climatiche aride del deserto o della savana tropicale. Le temperature medie nelle aree del campo sono di 7,65° C e 8,75° C superiori alle medie nazionali. La maggior parte degli insediamenti di rifugiati esposti a temperature estremamente elevate tende anche a subire precipitazioni inferiori alla media, I rifugiati in Giordania e Pakistan, invece, sono esposti a temperature estremamente basse e condizioni invernali rigide. Gli insediamenti dei rifugiati pakistani che abbiamo analizzato si trovano in zone montuose, con temperature estreme sia in estate che in inverno.
Nella provincia del Balochistan in Pakistan, le località degli insediamenti sperimentano in media temperature inferiori di 4,12 ℃ rispetto al paese nel suo complesso. Il campo profughi di Zaatari nel nord della Giordania, vicino al confine con la Siria, si trova in una zona fredda e arida della steppa con estati secche e calde e inverni rigidi».
Il nuovo studio pubblicato su PNAS da un team di ricercatori dell’UNU-MERIT e della Technische Universiteit Delft evidenzia che «Ci sono stati meno risultati significativi per gli eventi a insorgenza rapida, come ondate di caldo, ondate di freddo e precipitazioni estreme. Questo significa che gli insediamenti dei rifugiati non subiscono questi eventi più frequentemente dei rispettivi Ppaesi ospitanti. Eppure questo non significa che gli insediamenti di rifugiati non subiscano questi eventi. Al contrario, i paesi e le regioni che ospitano la maggior parte dei rifugiati in tutto il mondo sono anche i più vulnerabili ai cambiamenti climatici e spesso subiscono eventi a rapida insorgenza. Gli insediamenti di rifugiati in questi Paesi sono quindi a grave rischio».
La Fransen fa l’esempio del gigantesco campo profughi di Cox’s Bazar in Bangladesh, che ospita circa 1 milione di rifugiati Rohingya del Myanmar: «Gli insediamenti si sono espansi nel tempo e ora sono alcuni degli insediamenti di rifugiati più grandi e densamente popolati del mondo.Cox’s Bazar si trova nella zona climatica dei monsoni tropicali e le precipitazioni estreme sono comuni in tutta la regione. Senza un’adeguata gestione dell’acqua, le precipitazioni e le relative inondazioni possono rappresentare un rischio per i rifugi temporanei. L’acqua stagnante a causa delle piogge può rappresentare un rischio per la salute dei rifugiati che vivono negli insediamenti».
Quella che fino a soli pochi anni fa sembrava una profezia di sventura di scienziati e ambientalisti – milioni di profughi c limatici – si è trasformata rapidamente in realtà: in tutto il mondo, il cambiamento climatico, la violenza e la povertà (spesso tutti insieme) stanno costringendo le persone a lasciare le loro case. L’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite ha stimato che entro la metà del 2022 c’erano 103 milioni di persone sfollate dalle loro case, rispetto ai 90 milioni alla fine del 2021. La Fransen ricorda su The Converstion che «Le persone sfollate si spostano sempre più verso le aree urbane, ma molte finiscono ancora in insediamenti informali a lungo termine o campi profughi. Il più delle volte, questi insediamenti si trovano in aree isolate e remote, con terreni di scarsa qualità e condizioni climatiche difficili».
Il nuovo studio pubblicato su PNAS rivela che gli insediamenti dei profughi «Stanno affrontando condizioni meteorologiche estreme, che probabilmente potranno solo peggiorare a causa del cambiamento climatico». I ricercatori olandesi hanno analizzato le condizioni nelle aree che circondano i 20 più grandi insediamenti di rifugiati del mondo, esaminando dati climatici, meteorologici e demografici e hanno scoperto che «Rispetto alle condizioni meteorologiche medie nei Paesi che ospitano i rifugiati, le condizioni all’interno e intorno ai campi profughi sono spesso significativamente peggiori. Questo si aggiunge all’esclusione politica e sociale che queste popolazioni già affrontano. Tutti i 20 insediamenti nella nostra analisi sono regolarmente esposti a ondate di caldo e ondate di freddo. Quindici sperimentano un numero elevato di giorni consecutivi per stagione con temperature estremamente elevate, in particolare in Kenya (Kakuma), Sud Sudan (Jamjang) e Bangladesh (Cox’s Bazar). Questi effetti sono anche peggiorati nel tempo. La durata dei periodi di temperature estremamente elevate nelle aree di insediamento dei rifugiati in Kenya, Etiopia, Bangladesh, Ruanda, Sudan, Sud Sudan e Uganda è aumentata tra il 1981 e il 2009. E la durata dei periodi estremamente freddi è leggermente aumentata in Pakistan, Giordania ed Etiopia. In assenza di un riparo e di una protezione adeguati, il freddo può rappresentare un pericolo per la salute tanto quanto il caldo estremo».
La Fransen aggiunge: «Gli eventi meteorologici estremi, sia a insorgenza lenta che rapida, compromettono gravemente il benessere e il sostentamento delle persone negli insediamenti dei rifugiati. In luoghi con infrastrutture deboli, opportunità di lavoro limitate, alloggi inadeguati e aiuti umanitari insufficienti, le condizioni meteorologiche estreme possono rendere ancora più difficile per i rifugiati diventare autosufficienti e resilienti. Questi eventi possono anche esercitare ulteriore pressione sulle già precarie condizioni di vita delle comunità ospitanti. Questo può mettere a dura prova le relazioni tra i rifugiati e le comunità di accoglienza quando le risorse sono scarse».
Una ricerca condotta nel campo profughi di Kakuma in Kenya ha dimostrato come la scarsità d’acqua, la scarsità di terra e la mancanza di opportunità economiche abbiano messo a dura prova queste relazioni.
Lo studio conclude che «Con l’aumentare del numero di eventi meteorologici estremi associati al cambiamento climatico, sempre più persone rischiano di diventare sfollati. I governi e le agenzie umanitarie dovrebbero prestare maggiore attenzione a questi rischi ambientali quando progettano e selezionano i luoghi per i campi. Le politiche nazionali di adattamento al clima e di sviluppo sostenibile dovrebbero anche sostenere e proteggere le popolazioni sfollate e le comunità ospitanti. Senza tali strategie, diventerà ancora più difficile mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulle popolazioni più vulnerabili».