Ifad: crollo vertiginoso nella produzione di alimenti di base in Africa entro il 2050

Appello alla COP26: bene la mitigazione ma bisogna finanziare subito l’adattamento al cambiamento climatico

[28 Ottobre 2021]

Secondo il rapporto “What can smallholder farmers grow in a warmer world? Climate change and future crop suitability in East and Southern Africa” pubblicato oggi dall’International Fund for Agricultural Development (IFAD)  in 8 Paesi africani  – Angola, Lesotho, Malawi, Mozambico, Ruanda, Uganda, Zambia e Zimbabwe –  «I raccolti di prodotti alimentari essenziali in alcune aree potrebbero subire una diminuzione fino all’80% entro il 2050, se le temperature continueranno a salire a causa del cambiamento climatico. Questo potrebbe avere un impatto catastrofico sulla povertà e sulla disponibilità di cibo, a meno che non si provveda a canalizzare con urgenza finanziamenti volti ad aiutare i contadini in condizioni di vulnerabilità ad adattare metodi di coltivazione e prodotti coltivati per far fronte al cambiamento».

L’IFAD avverte che «La COP26 non riuscirà ad avere un impatto duraturo, se i leader mondiali continueranno a dare la priorità alla mitigazione, senza investire nell’adattamento climatico». Infatti, il rapporto  dimostra che,  «Se non verranno introdotti dei cambiamenti nelle pratiche agricole o nelle politiche mondiali, la combinazione di eventi climatici erratici, condizioni ambientali più secche e un aumento di  2° C delle temperature avrà un impatto devastante sui raccolti, sia di alimenti di base sia di colture da reddito, dei piccoli agricoltori in varie regioni di Angola, Lesotho, Malawi, Mozambico, Ruanda, Uganda, Zambia e Zimbabwe». Per esempio, ipotizzando lo scenario peggiore, entro il 2050 la produzione annuale di mais per ogni famiglia nella provincia di Namibe in Angola potrebbe diminuire del 77% entro il 2050».

L’IFAD ricorda che «Alla conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP26) che si terrà la prossima settimana a Glasgow, l’attenzione sarà concentrata sull’impegno – non rispettato – preso sei anni fa dai paesi più ricchi di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 per finanziare l’adattamento al cambiamento climatico nei Paesi meno avanzati. Anche se questo obiettivo venisse raggiunto, sarebbe insufficiente. Si prevede che i costi di adattamento al cambiamento climatico raggiungeranno nei soli Paesi in via di sviluppo una cifra compresa tra 140 e 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. Gli attuali flussi finanziari destinati a contrastare il cambiamento climatico si concentrano soprattutto sulla mitigazione del riscaldamento globale. A fronte di ogni 18 dollari spesi in mitigazione, ne viene speso solo 1 per l’adattamento al cambiamento climatico».

La principale autrice del rapporto, Jyotsna Puri, vicepresidente associato del Dipartimento strategia e conoscenze dell’IFAD, spiega che «Mitigazione e adattamento sono come le due ali di un uccello, non possiamo continuare a volare con un’ala sola. Benché gli sforzi rivolti alla mitigazione siano essenziali, non daranno risultati prima di due o tre decenni. Dobbiamo investire, urgentemente, nell’adattamento ai cambiamenti climatici, in modo che i piccoli agricoltori, come quelli considerati in questo studio, possano continuare a produrre le colture su cui fanno affidamento per guadagnarsi da vivere e per alimentare le loro nazioni».

Anche se nessun Paese è immune all’impatto del cambiamento climatico, i piccoli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo sono i più vulnerabili e i meno attrezzati ad affrontarlo, ma sono loro a produrre un terzo degli alimenti consumati nel mondo e fino all’80% in alcune regioni dell’Africa e dell’Asia, ma ricevono meno del 2% dei fondi investiti globalmente per contrastare il cambiamento climatico. L’Ifad avverte che «Finanziamenti insufficienti per l’adattamento al cambiamento climatico produrranno effetti negativi a catena in tutto il mondo. La diminuzione dei raccolti comporterà un aumento dei prezzi degli alimenti, una minore disponibilità di cibo e un conseguente aumento di fame e povertà. Questo potrebbe incrementare migrazioni, conflitti e instabilità. Nel 2020, una persona su dieci nel mondo soffriva la fame, mentre in Africa la proporzione saliva a una su cinque».

Secondo quanto emerso dal rapporto, negli 8 Paesi presi in esame, «L’impatto del cambiamento climatico porterà inevitabilmente a cambiamenti radicali nelle scelte delle coltivazioni locali e nelle pratiche agricole entro il 2050». La situazione in questi Paesi può essere migliorata. Ad esempio, il rapporto raccomanda in linea generale di ridurre l’utilizzo del mais a favore di manioca, arachidi, fagioli, sorgo e miglio nella maggior parte dei Paesi, e suggerisce ulteriori iniziative come passare a coltivare qualità di mais a maturazione rapida o scaglionare le fasi della semina per aumentare la resilienza agli eventi climatici e alla loro evoluzione. Potendo disporre del sostegno di ricerca e sviluppo, gli agricoltori dei Paesi presi in esame possono diversificare le colture e identificare altre alternative locali adatte a sostituire le varietà destinate a diminuire o a diventare improduttive a causa dei cambiamenti climatici e del mutare della distribuzione delle precipitazioni. Con l’appoggio dell’assistenza tecnica, gli agricoltori possono adottare nuove pratiche agricole, dall’irrigazione alle tecniche di semina o all’uso di sementi migliorate, per rendere le loro colture più resistenti alle malattie e ai parassiti. Infine, gli investimenti possono contribuire a migliorare le strutture di lavorazione e trasformazione degli alimenti dopo il raccolto.

La Puri conclude: «La COP26 è un punto di svolta per l’umanità. Non dobbiamo sprecare questa opportunità di limitare l’aumento delle temperature, aiutando al tempo stesso gli agricoltori a sviluppare le loro capacità di resilienza agli effetti del cambiamento climatico. La sopravvivenza stessa delle comunità rurali agricole dipende dalla loro capacità di adattamento».