Durissimi giudizi della associazioni ambientaliste e del segretario generale dell’Onu
Il quasi fallimento della Cop27. Solo un piccolo passo avanti verso la giustizia su perdite e danni
La Conferenza salvata dall’Ue. I trucchi dell’Italia per non decarbonizzare
[20 Novembre 2022]
Dopo due giorni in più di drammatici negoziati che si sono protratti fino a stamattina, alla COP27 Unfccc di Sharm el-Sheikh è stato raggiunto un accordo su un risultato che ha stabilito un meccanismo di finanziamento per compensare i vulnerabili per “perdite e danni” dovuti ai disastri indotti dal clima.
Lo ha annunciato il segretario generale dell’Onu, António Guterres, che non ha nascosto però la sua delusione per i limitati risultati raggiunti quando ha ricordato che «La COP27 si è svolta non lontano dal Monte Sinai, un luogo centrale per molte fedi e per la storia di Mosè, o Musa. E’ appropriato. Il caos climatico è una crisi di proporzioni bibliche. I segni sono ovunque. Invece di un roveto ardente, siamo di fronte a un pianeta in fiamme. Fin dall’inizio, questa conferenza è stata guidata da due temi principali: la giustizia e l’ambizione. Giustizia per coloro in prima linea che hanno fatto così poco per provocare la crisi, comprese le vittime delle recenti inondazioni in Pakistan che hanno inondato un terzo del Paese. L’ambizione di mantenere vivo il limite di 1,5 gradi e di allontanare l’umanità dal baratro climatico».
Però, secondo Guterres, «Questa COP ha compiuto un passo importante verso la giustizia. Accolgo con favore la decisione di istituire un fondo per perdite e danni e di renderlo operativo nel prossimo periodo. Chiaramente questo non sarà sufficiente, ma è un segnale politico assolutamente necessario per ricostruire la fiducia infranta. Le voci di coloro che sono in prima linea nella crisi climatica devono essere ascoltate. Il sistema delle Nazioni Unite sosterrà questo sforzo in ogni fase del processo. Giustizia dovrebbe significare anche molte altre cose: Mantenere finalmente la promessa a lungo ritardata di 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima per i Paesi in via di sviluppo; Chiarezza e una road-map credibile per raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento; Cambiare i modelli di business delle banche multilaterali di sviluppo e delle istituzioni finanziarie internazionali. Devono accettare maggiori rischi e sfruttare sistematicamente i finanziamenti privati per i Paesi in via di sviluppo a costi ragionevoli».
Ma il capo dell’Onu ha avvertito: «Cerchiamo di essere chiari. Il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che questa COP non ha affrontato. Un fondo per perdite e danni è essenziale, ma non è una risposta se la crisi climatica spazza via dalla mappa un piccolo Stato insulare o trasforma un intero Paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di fare un passo da gigante in termini di ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo oltrepassare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite della temperatura di 1,5 gradi. Per avere qualche speranza di mantenere gli 1,5° C, dobbiamo investire massicciamente nelle energie rinnovabili e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili. Dobbiamo evitare una corsa energetica nella quale i Paesi in via di sviluppo arrivino ultimi, come hanno fatto nella corsa ai vaccini contro il Covid-19».
Per Guterres, «Raddoppiare i combustibili fossili è un doppio problema. Le Just Energy Transition Partnerships sono percorsi importanti per accelerare l’eliminazione graduale del carbone e aumentare le energie rinnovabili. Ma abbiamo bisogno di molto di più. Ecco perché sto spingendo così tanto per un Climate Solidarity Pact. Un patto in cui tutti i Paesi facciano uno sforzo in più per ridurre le emissioni in questo decennio in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi. E un patto per mobilitare – insieme alle istituzioni finanziarie internazionali e al settore privato – il sostegno finanziario e tecnico alle grandi economie emergenti per accelerare la loro transizione verso le energie rinnovabili. Questo è essenziale per mantenere il limite di 1,5 gradi a portata di mano e affinché tutti facciano la loro parte».
Dopo il semi-fallimento di Sharm el-Sheikh, il segretario generale dell’Onu non ha lasciato molto spazio all’ottimismo: «La COP27 si conclude con molti compiti e poco tempo. Siamo già a metà strada tra l’Accordo di Parigi sul clima e la scadenza del 2030. Abbiamo bisogno di tutte le mani sul timone per guidare la giustizia e l’ambizione. Questo include anche l’ambizione di porre fine alla guerra suicida contro la natura che sta alimentando la crisi climatica, portando le specie all’estinzione e distruggendo gli ecosistemi. La Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità del mese prossimo è il momento per adottare un ambizioso global biodiversity framework per il prossimo decennio, attingendo alla forza delle soluzioni basate sulla natura e al ruolo fondamentale delle comunità indigene. Infine, la giustizia e l’ambizione richiedono la voce essenziale della società civile. La fonte di energia più vitale al mondo è il potere delle persone. Ecco perché è così importante comprendere la dimensione dei diritti umani dell’azione climatica. I difensori del clima, guidati dalla voce morale dei giovani, hanno mantenuto l’agenda in movimento nei giorni più bui. Devono essere protetti. A tutti loro dico che condividiamo la vostra frustrazione. Ma abbiamo bisogno di voi ora più che mai. A differenza delle storie della penisola del Sinai, non possiamo aspettare un miracolo dalla cima di una montagna. Ci vorrà ognuno di noi a combattere nelle trincee ogni giorno. Insieme, non cediamo nella lotta per la giustizia climatica e l’ambizione climatica. Possiamo e dobbiamo vincere questa battaglia per le nostre vite».
Una critica esplicita a come la presidenza egiziana ha reso davvero problematico esercitare la critica e protestare alla COP27, ma anche un’autocritica della stessa Onu che ha deciso incredibilmente di assegnare l’organizzazione di un evento che dovrebbe caratterizzarsi per la democrazia e la libertà di espressione a un regime militare fascista e che ha già deciso di assegnare la COP28, che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre 2023, agli Emirati Arabi Uniti, una monarchia assoluta che basa la sua ricchezza sul gas e sul petrolio e dove – con le stesse tutele della libertà di espressione egiziane, come dimostrano i mondiali di calcio in Qatar – si dovrebbe decidere come riuscire ad uscire rapidamente dal gas e dal petrolio.
Sara Shaw di Friends of the Earth International ha ribadito le accuse delle associazioni ambientalkiste e dei diritti civili al regeme del Caireo: «Mentre i colloqui sono finiti e lasciamo l’Egitto, non dimentichiamo i prigionieri di coscienza che rimangono. La società civile continuerà a fare pressione sui nostri governi e a mostrare solidarietà, poiché non esiste giustizia climatica senza diritti umani».
Durissimo il commento di Yeb Saño, direttore esecutivo di Greenpeace Southeast Asia e capo della delegazione di Greenpeace presente alla COP27, sulla gestione egiziana della COP27: «Ancora una volta abbiamo chiesto alla Presidenza egiziana di rifiutare l’influenza dei petrostati e dei lobbisti dei combustibili fossili. L’India ha chiaramente messo tutti i combustibili fossili sul tavolo dei negoziati per la riduzione graduale. L’Ue non avrebbe potuto essere più semplice nel chiedere una graduale eliminazione. E Tuvalu ha fortemente collegato la transizione dai combustibili fossili con il rimanere al di sotto di 1,5° C come un diritto umano. Affinché questa COP avesse successo, doveva includere una graduale eliminazione di tutti i combustibili fossili: carbone, petrolio e gas».
Prima di presentare il traballante accordo finale, il presidente della COP27, il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, sveva detto ai delegati che «I progetti di decisione sono un passaggio che aumenterà l’attuazione e ci consentirà di passare in futuro alla neutralità climatica e climatica e allo sviluppo resiliente. Chiedo a tutti voi di considerare questi progetti di decisione non semplicemente come parole sulla carta, ma come un messaggio collettivo al mondo che abbiamo ascoltato l’appello dei nostri leader e delle generazioni attuali e future per stabilire il giusto ritmo e la giusta direzione per il l’attuazione dell’Accordo di Parigi e il raggiungimento dei suoi obiettivi. Il mondo ci sta guardando, invito tutti noi a soddisfare le aspettative affidateci dalla comunità globale, e in particolare da coloro che sono i più vulnerabili e tuttavia hanno contribuito meno al cambiamento climatico».
Ma la debole e ricattabile presidenza egiziana venerdì aveva portato i negoziati sull’orlo del fallimento e sullo il durissimo intervento dell’Unione europea e della stessa Onu ha consentito di arrivare ad alcune conclusioni sui punti più difficili all’ordine del giorno, tra cui una struttura per perdite e danni, con l’impegno a istituire una struttura di sostegno finanziario per i più vulnerabili entro la prossima COP28, così come l’obiettivo finanziario post-2025 e il cosiddetto mitigation work programme, che ridurrebbe le emissioni più rapidamente, catalizzerebbe un’azione incisiva e assicurerebbe ai Paesi chiave che prenderanno provvedimenti immediati per aumentare l’ambizione e mantenerci sulla percorso verso 1,5° C. Tuttavia, mentre l’accordo su queste questioni è stato visto come un passo nella giusta direzione, i progressi su altre questioni chiave, in particolare sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili e sulla necessità di limitare il riscaldamento globale a 1,5° C sono stati davvero pochi. L’energia “low emissions” messa insieme alle fonti rinnovabili come fonti energetiche del futuro «Rappresenta una scappatoia significativa – dice l’Onu – poiché il termine non definito potrebbe essere utilizzato per giustificare lo sviluppo di nuovi combustibili fossili contro la chiara indicazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCCC) e dell’Internationa energy agency (Iea)».
E’ lo stesso trucco che sta usando il governo italiano. Come ha rivelato Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia «Mentre l’attenzione di chi segue le tematiche ambientali ed energetiche è focalizzata sul famigerato articolo 4, il cosiddetto “Sbloccatrivelle” contenuto nel decreto Aiuti Quater e pubblicato nelle scorse ore in Gazzetta Ufficiale, rischia di passare in secondo piano una piccola, rivelatrice, modifica che compare nel comma 1 all’articolo 6 dello stesso decreto, che tratta di “qualcosa” che ha a che fare con il Ministero della Difesa. La parola “decarbonizzazione” viene infatti sostituita dal termine “ottimizzazione”. Che comporta questo cambio? E quale ricaduta pratica potrebbe avere questa scelta lessicale sul PNRR? La Commissione Europea è al corrente del fatto che in Italia il sistema energetico non dovrà più essere decarbonizzato ma “ottimizzato”?».
Greenpeace Italia fa notare che «Non è infatti ancora chiaro come ciò possa impattare sul piano presentato all’Unione Europea, in cui termini come “decarbonizzare” e simili sono citati 24 volte. Almeno due delle Missioni del Piano (M2, Rivoluzione verde e transizione ecologica, e M3, Infrastrutture per una mobilità sostenibile) per un totale complessivo di 101,39 miliardi di euro (fondi PNRR, React EU e Fondo complementare) si basano palesemente su obiettivi di decarbonizzazione. Ad esempio, la componente M2C2 (Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, finanziata con 23,78 miliardi di euro si basa su questa premessa, dove a pagina 133 si legge: “L’obiettivo di questa componente è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici di decarbonizzazione attraverso cinque linee di riforme e investimenti, concentrate nei primi tre settori”».
E Giannì ricorda che «Intervenendo solo pochi giorni fa al vertice sui cambiamenti climatici di Sharm El-Sheik (COP27), Meloni ha dichiarato al mondo intero che l’Italia farà la sua parte per il clima. Ma in che modo? Aggravando la crisi climatica in corso? Puntare su trivelle, rigassificatori e depositi di gas vuol dire ignorare gli urgenti appelli della comunità scientifica, che ci invita ad abbandonare al più presto i combustibili fossili, per continuare a favorire le solite compagnie fossili, che stanno macinando extraprofitti miliardari, mentre le persone subiscono gli impatti dei cambiamenti climatici e faticano ormai anche a pagare le bollette».
La giovane attivista ambientale keniota Elizabeth Wathuti, non è certo soddisfatta per quel che sta succedendo, ma annuncia battaglia: «La COP27 potrebbe essere finita, ma la lotta per un futuro sicuro no. Ora è più urgente che mai che i leader politici lavorino per concordare un forte accordo globale per proteggere e ripristinare la natura al prossimo Global Biodiversity Summit di Montreal. La crisi interconnessa tra cibo, natura e clima ci sta colpendo tutti in questo momento, ma le comunità in prima linea come la mia sono le più colpite. Quanti campanelli d’allarme devono essere suonati prima di agire? Rinnovo la mia richiesta di partenariati per una transizione energetica giusta per accelerare l’eliminazione graduale del carbone e aumentare le energie rinnovabili. Ribadisco l’appello per un patto di solidarietà per il clima. Un patto in cui tutti i Paesi facciano uno sforzo in più per ridurre le emissioni in questo decennio in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi. E un Patto per mobilitare – insieme alle istituzioni finanziarie internazionali e al settore privato – il sostegno finanziario e tecnico alle grandi economie emergenti per accelerare la loro transizione verso le energie rinnovabili. Questo è fondamentale per mantenere il limite di 1,5 gradi a portata di mano».
Babawale Obayanju di Friends of the Earth Africa, denuncia: «Il fatto che il risultato parli solo di “riduzione graduale senza sosta dell’energia a carbone” è un disastro per l’Africa e per il clima. Anche il petrolio e il gas devono essere gradualmente eliminati, in modo rapido ed equo. Una piccola parola, “senza sosta”, crea un’enorme scappatoia, aprendo la porta a nuovi progetti di cattura e stoccaggio di idrogeno e carbonio basati su combustibili fossili, che consentiranno il proseguimento delle emissioni. Non abbiamo bisogno di più estrazione di gas in Africa, devastando le nostre comunità a beneficio dei Paesi ricchi e delle multinazionali. Ciò di cui avevamo bisogno dalla COP27 era un accordo per una rapida ed equa eliminazione di tutti i combustibili fossili».
Manuel Pulgar-Vidal, global climate and energy lead del Wwf e già presidente della COP20, ha dichiarato: «L’accordo su perdite e danni concordato è un passo positivo, ma rischia di diventare un “fondo per la fine del mondo” se i Paesi non si muovono più velocemente per ridurre drasticamente le emissioni e limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5° C. Non riuscendo ad accettare l’eliminazione graduale dei combustibili fossili alla COP27, i leader non sono riusciti a rafforzare il segnale che l’era dei combustibili fossili sta volgendo al termine e ci stanno mantenendo sulla strada della catastrofe climatica. Senza rapidi e profondi tagli alle emissioni non possiamo limitare l’entità delle perdite e dei danni. Il vertice sul clima COP28 del prossimo anno deve essere il COP della credibilità climatica. E i paesi devono riuscirci.
Shirley Matheson, global NDC enhancement coordinator del Wwf European Policy Office ha aggiunto: «L’Unione Europea ha mostrato flessibilità in alcune aree chiave, in particolare la sua posizione mutevole verso il sostegno al finanziamento di perdite e danni. Il mancato impegno a eliminare gradualmente i combustibili fossili significa che i governi non stanno affrontando il problema del cambiamento climatico. Sebbene la posizione dell’Ue alla COP27 sia stata molto positiva sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili, i leader dell’Ue devono anche agire in base a questa retorica e adottare misure ambiziose per accelerare la giusta transizione verso l’energia rinnovabile mentre si allontana dal gas russo. Con i colloqui di quest’anno che implicano che la solidarietà multilaterale sul cambiamento climatico è in fase di stallo, l’Unione Europea deve dimostrare buona fede sulle forti dichiarazioni fatte durante la COP27. In particolare, l’attuazione del pacchetto Fit for 55 deve soddisfare l’affermazione di Timmermans secondo cui l’Ue realizzerà in eccesso il suo attuale NDC, e il promesso NDC potenziato nel 2023 deve realizzare l’ambizione allineata all’Accordo di Parigi, compreso un obiettivo per il 2030 di almeno il 65%. È anche importante che l’Ue raddoppi gli sforzi sulla diplomazia climatica per assicurarsi di non perdere i principi degli 1,5° C a causa di questo fallimento a Sharm El Sheikh».
Secondo Manuel Pulgar-Vidal, «Non dobbiamo permettere che ciò faccia deragliare un’azione vitale per fermare la crisi climatica che va fuori controllo. Ogni ritardo mette a rischio più persone. Ogni ritardo rischia di erodere la fiducia. Dobbiamo sfruttare questo momento per raddoppiare i nostri sforzi e garantire che venga ripristinata la fiducia nell’approccio multilaterale collaborativo per affrontare la crisi climatica. I leader non devono permettere alle future presidenze della COP di sprecare l’opportunità di fare passi da gigante nella riduzione delle emissioni, nell’erogazione di finanziamenti e nella costruzione della resilienza».
Per la Shaw «E’ un sollievo che il fondo sinistri e danni sia stato finalmente istituito, dopo decenni di lotte. Ma, in questo momento, è un fondo vuoto e abbiamo davanti a noi un’enorme sfida per garantire che i paesi sviluppati vi contribuiscano, in linea con la giustizia e l’equità. Non dobbiamo assistere a una ripetizione della pessima performance dei Paesi ricchi che non riescono a fornire i già inadeguati 100 miliardi di dollari l’anno promessi più di un decennio fa».
Ma la stessa ONG internazionale fa notare che «Mentre l’esito della COP27 include un cenno di benvenuto alla necessità di una “transizione pulita e giusta verso l’energia rinnovabile”, non c’è nulla di concordato a Sharm el-Sheikh che possa effettivamente raggiungere questo obiettivo, con i finanziamenti per i tagli alle emissioni in stallo e scarsi risultati sulla mitigazione. In modo inquietante, non ci sono stati progressi sul linguaggio concordato lo scorso anno sulla riduzione graduale del carbone, il che delizierà l’industria dei combustibili fossili».
Hemantha Withanage, presidente di Friends of the Earth International, ha concluso: «La decisione sui mercati del carbonio è profondamente preoccupante. Sebbene la COP27 abbia temporaneamente ritardato le mosse per inserire la geoingegneria, le tecnologie pericolose e non testate e le cosiddette soluzioni basate sulla natura nei mercati della compensazione delle emissioni di carbonio, sappiamo che queste minacce torneranno a farsi sentire. I mercati del carbonio forniscono copertura per le continue emissioni da parte di chi inquina, l’accaparramento di terra, foreste e acqua dalle comunità vulnerabili e le violazioni dei diritti delle persone».