Quest’anno sono 378 quelli registrati nell’Osservatorio città clima di Legambiente

Italia in crisi climatica, nel corso del 2023 eventi estremi in crescita del 22%

Investire in prevenzione permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni, ma il Governo Meloni non ha ancora approvato il Piano nazionale

[28 Dicembre 2023]

Il 2023 che sta per chiudersi si configura già come l’ennesimo anno più caldo mai registrato, segno di una crisi climatica che continua ad accelerare, portando con sé eventi meteo estremi sempre più intensi e frequenti.

L’Italia, dove l’innalzamento delle temperature avanza a velocità quasi tripla rispetto alla media globale, è tra i Paesi più colpiti. Il nuovo aggiornamento dell’Osservatorio città clima di Legambiente documenta 378 eventi estremi che hanno colpito la Penisola nel corso di quest’anno, segnando una crescita del 22% rispetto al 2022.

Dietro questi numeri ci sono vite distrutte – 31 i morti – e danni miliardari all’economia del Paese: solo guardando alle alluvioni che hanno colpito Emilia Romagna e Toscana si parla di perdite per 11 miliardi di euro. Ma si tratta solo della proverbiale punta dell’iceberg. Come emerso a Firenze durante l’Earth technology expo, l’Italia conta 24 stati di emergenza nazionale solo nell’ultimo anno.

Eppure il Paese è ancora senza un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), mentre il Governo ha definanziato il Pnrr proprio su fronti fondamentali come la lotta al dissesto idrogeologico e il rischio alluvioni.

Si preferisce dunque spendere per le emergenze anziché risparmiare con la prevenzione. Uno schema che non funziona, anche perché appunto gli eventi meteo estremi continuano a crescere.

Nel 2023 il nord Italia, con 210 eventi meteorologici estremi, si conferma l’area più colpita della Penisola, seguita dal centro (98) e dal sud (70).

In aumento soprattutto alluvioni ed esondazioni fluviali (+170% rispetto al 2022), le temperature record registrate nelle aree urbane (+150% rispetto ai casi del 2022), le frane da piogge intense (+64%); e poi le mareggiate (+44%), i danni da grandinate (+34,5%), e gli allagamenti (+12,4%).

A livello regionale, Lombardia ed Emilia-Romagna risultano nel 2023 le regioni più in sofferenza con, rispettivamente, 62 e 59 eventi che hanno provocato danni, seguite da Toscana con 44, e da Lazio (30), Piemonte (27), Veneto (24) e Sicilia (21).

«Il Governo Meloni – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – approvi subito il Piano nazionale di adattamento al clima, stanziando anche le relative risorse economiche, che invece continuiamo a spendere per intervenire dopo i disastri, come dimostrano gli 11 miliardi di euro solo per i danni delle due alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana. Il rischio è che l’Italia, senza il Piano e gli adeguati stanziamenti per la prevenzione, assenti anche nella legge di Bilancio in via di approvazione, continui a rincorrere le emergenze».

In particolare, per il Cigno verde serve una road map climatica nazionale non più rimandabile, fondata su tre pilastri: il Pnacc da approvare senza più ulteriori ritardi, stanziando adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuare il Piano; una legge contro il consumo di suolo, che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni;  superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, che «permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni», sottolineano da Legambiente.

«Oggi una delle grandi sfide legata alla lotta alla crisi climatica riguarda anche la vera mitigazione del rischio idrogeologico – sottolinea nel merito Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – che si potrà ottenere solo integrando la restituzione dello spazio ai fiumi, agendo su delocalizzazioni, desigillatura di suoli impermeabilizzati, rinaturazione delle aree alluvionali, azzerando il consumo di suolo e non concedendo nuove licenze per edificazioni in aree prossime ai corsi d’acqua».