Da Copernicus il nuovo rapporto Global climate highlights 2023
La crisi climatica accelera, il 2023 è stato più caldo degli ultimi 100mila anni
Buontempo: «Gli eventi estremi che abbiamo osservato negli ultimi mesi testimoniano in modo drammatico quanto siamo lontani dal clima in cui si è sviluppata la nostra civiltà»
[9 Gennaio 2024]
L’umanità non ha mai sperimentato un anno più caldo del 2023 dall’inizio dell’era industriale, un record che con tutta probabilità vale anche per gli ultimi 100mila anni: è il segno di una crisi climatica che continua ad avanzare velocemente, come mostrano i dati contenuti nel nuovo rapporto Global climate highlights 2023.
Il documento è stato elaborato dal Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus (C3S), il programma europeo di punta per l’osservazione della Terra, e riporta numerosi record infranti nel corso dell’ultimo anno.
Nel 2023 la temperatura media globale è stata di 14.98°C, infrangendo il precedente record del 2016 (+0,17°C) e confermandosi come l’anno solare più caldo mai registrato a partire dal 1850; rispetto al livello preindustriale (1850-1900) la temperatura è già salita di 1,48°C, a un soffio dalla soglia di sicurezza di +1,5°C individuata dalla comunità scientifica.
Questo non significa che siano già stati superati i limiti stabiliti dall’Accordo sul clima di Parigi (in quanto si parla di periodi di almeno 20 anni in cui viene superata l’anomalia della temperatura media), ma costituisce un precedente preoccupante. È infatti probabile che un periodo di 12 mesi che termina a gennaio o febbraio 2024 superi di 1.5°C il livello preindustriale.
«Non solo il 2023 è l’anno più caldo mai registrato, ma è anche il primo anno con tutti i giorni più caldi di 1°C rispetto al periodo preindustriale. Le temperature del 2023 superano probabilmente quelle di qualsiasi periodo degli ultimi 100.000 anni», sottolinea Samantha Burgess, vicedirettrice di C3S.
Si tratta di record su cui ha influito anche l’arrivo dell’Oscillazione meridionale El Niño (Enso), ovvero un modello di variabilità climatica naturale che vede le temperature oceaniche nel Pacifico tropicale centrale e orientale passare da condizioni più fredde (La Niña) a condizioni più calde (El Niño) rispetto alla media, cosa che è avvenuta lo scorso luglio.
El Niño influenza la temperatura e i modelli meteorologici in tutto il mondo – le ondate di calore marine nel 2023 si sono susseguite in Mediterraneo, Golfo del Messico, Caraibi, Oceano Indiano, Pacifico settentrionale e gran parte dell’Atlantico settentrionale – ma da solo non è sufficiente a spiegare i record di temperatura 2023.
Il perché risiede piuttosto nel fatto che le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica e metano hanno continuato ad aumentare – a causa dell’impiego dei combustibili fossili – e hanno raggiunto livelli record nel 2023, raggiungendo rispettivamente 419 ppm e 1902 ppb, alimentando così l’effetto serra.
Non a caso nel 2023 sono stati registrati in tutto il mondo numerosi eventi meteo estremi, tra cui ondate di calore, inondazioni, siccità e incendi; sappiamo infatti che l’aumento della temperatura porta con sé un incremento di probabilità e intensità per gli eventi estremi.
«Gli eventi estremi che abbiamo osservato negli ultimi mesi testimoniano in modo drammatico quanto siamo lontani dal clima in cui si è sviluppata la nostra civiltà – dichiara nel merito Carlo Buontempo, direttore C3S – Se vogliamo gestire con successo il nostro portafoglio di rischi climatici, dobbiamo urgentemente decarbonizzare la nostra economia, utilizzando i dati e le conoscenze sul clima per prepararci al futuro».
La buona notizia è che tali conoscenze sono già oggi in nostra disponibilità. La comunità degli scienziati climatici è concorde nell’attribuire le cause del riscaldamento globale alle emissioni di gas serra legate all’impiego dei combustibili fossili; al contempo, sia l’Agenzia internazionale dell’energia sia l’Ipcc mostrano quali sono le tecnologie e gli investimenti necessari a uscire dalla crisi climatica, tracciando un percorso di sviluppo sostenibile al 2030 e al 2050.
Sappiamo anche che le maggiori responsabilità della crisi climatica cadono sulle spalle dei cittadini più ricchi, i quali potrebbero – e dovrebbero – finanziare la transizione ecologica attraverso una maggiore progressività fiscale delle tasse su redditi e patrimoni, una soluzione che permetterebbe così di unire la sostenibilità ambientale con quella socioeconomica.
Tutti temi che riguardano l’Europa molto da vicino, in quanto il 2023 è stato il secondo anno più caldo per il Vecchio continente, con 1.02 °C al di sopra della media del periodo compreso tra il 1991 e il 2020: significa che in Europa la crisi climatica corre a velocità quasi doppia rispetto alla media globale (in Italia a velocità quasi tripla), dato a livello internazionale lo scarto rispetto al 1991-2020 si ferma a +0.60°C.
«I dati annuali qui presentati forniscono un’ulteriore prova del crescente impatto dei cambiamenti climatici – conclude Mauro Facchini, capo dell’Osservazione della Terra presso la Commissione Ue – L’Unione europea, in linea con la migliore scienza disponibile, ha concordato una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. Oggi mancano solo 6 anni. La sfida è chiara».