La crisi climatica finisce sempre più spesso in tribunale, oltre 3mila i contenziosi aperti
Arpat: «Il rapporto Unep dimostra come i tribunali mettano in evidenza i forti collegamenti tra i diritti umani e il cambiamento climatico»
[3 Maggio 2024]
L’ultimo rapporto ONU in materia di giustizia climatica pubblicato dall’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) insieme al Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University fornisce una panoramica dello stato del contenzioso sui cambiamenti climatici ed un aggiornamento sulle tendenze dei contenziosi sui cambiamenti climatici a livello globale.
Sono più di 3.000 i contenziosi climatici, che interessano organi giudiziari, che si trovano a dirimere cause aperte dai cittadini contro enti pubblici (sia Stati che altre amministrazioni territoriali – locali) ed attività imprenditoriali.
Il rapporto sottolinea come, nonostante la normativa in materia di contrasto all’inquinamento ambientale, alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità sia sempre più ricca, le minacce legate al cambiamento climatico e all’inquinamento continuino ad incombere, comprimendo i diritti delle persone, soprattutto quelle più vulnerabili. Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP, ha affermato che “Le politiche ambientali adottate finora sono lontane dal mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1.5°C, e catastrofi ambientali e ondate di caldo mai viste stanno già colpendo il nostro pianeta”.
In Europa sono molti i cittadini che si rivolgono alla giustizia: come mostra il grafico, la percentuale di contenziosi si attesta al 31,2%. L’Europa è seguita dall’Oceania con il 23,2%. Il Sud America ha il 9,5% dei casi. L’Asia e l’Africa hanno ancora la percentuale più bassa, rispettivamente, con il 6,6% e il 2,3%. Al momento della pubblicazione del rapporto, non venivano registrate controversie nazionali in materia di clima nei Caraibi.
Secondo il documento delle Nazioni Unite, la maggior parte dei contenziosi sul clima in corso rientrano in una o più delle sei categorie:
- casi che si basano sui diritti umani sanciti dal diritto internazionale e dalle costituzioni nazionali
- sfide alla mancata applicazione interna delle leggi e delle politiche legate al clima
- le parti in causa cercano di mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo
- sostiene una maggiore divulgazione sul clima e la fine del greenwashing
- rivendicazioni riguardanti la responsabilità delle imprese e la responsabilità per i danni climatici
- affermazioni che affrontano il mancato adattamento agli impatti del cambiamento climatico.
Il rapporto dimostra come i tribunali mettano in evidenza i forti collegamenti tra i diritti umani e il cambiamento climatico, sottolineando come il mancato o non adeguato contrasto della crisi ambientale e climatica violi i diritti alla vita, alla salute, al cibo, all’acqua, alla libertà, alla vita familiare, ad un ambiente sano ed a un clima sicuro. Tutti questi diritti vengono classificati come “climatici” e colpiscono tutti ma, con maggiore forza, i gruppi più vulnerabili, maggiormente esposti e colpiti dagli effetti del cambiamento climatico e dall’inquinamento dell’ambiente.
Per questo, la giustizia climatica sta diventando sempre di più uno strumento per tutelare i diritti fondamentali degli esseri umani. Sempre più cittadini ritengono che rivolgersi alla giustizia sia un modo per dare un contributo alla soluzione della crisi climatica e chiedono ai giudici di valutare se
- le politiche nazionali risultino in grado di raggiungere gli obiettivi internazionali e nazionali prefissati per contrastare il cambiamento climatico e l’inquinamento dell’ambiente
- il sistema industriale si adoperi adeguatamente per ridurre le emissioni in atmosfera che contribuiscono alla crisi del clima.
Al tempo stesso, le sentenze possono diventare un modo per sensibilizzare non solo gli Stati e il mondo produttivo ma anche gli individui ad uno stile di vita più sostenibile che favorisca la transizione ecologica.
di Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat)