La metodologia Lca e l’impronta di carbonio per combattere il riscaldamento globale
[23 Ottobre 2015]
Il nostro viaggio nel mondo Lca prosegue facendo un incursione nell’ambito della tematica del contrasto al cambiamento climatico globale in atto. L’approccio metodologico del Life cycle thinking può infatti essere utilizzato per definire qual è il contributo di un sistema di prodotto o di servizi al riscaldamento globale.
Il recente V report dell’Ipcc (Intergovernamental panel on climate change) ha confermato non solo che le attività umane (emissioni di gas serra, aerosol, cambi d’uso del suolo) sono responsabili al 95% del riscaldamento climatico globale osservato dal 1950, ma anche che le previsioni sugli effetti del cambiamento climatico sono preoccupanti per il futuro del genere umano.
Questa ribadita consapevolezza rende ulteriormente urgente intervenire per la riduzione delle emissioni antropiche di gas ad effetto serra (Ghg, greenhouse gases) in atmosfera, in qualsiasi contesto: il contenimento delle emissioni deve passare inevitabilmente per una fase di quantificazione delle emissioni stesse.
La misura dell’impatto che le attività umane hanno sull’ambiente in termini di emissioni di gas serra è la Carbon footprint (Cf), letteralmente “impronta di carbonio”, che misura la quantità complessiva di anidride carbonica e altri gas serra (CH4, N2O, HFC, ecc) associati ad un prodotto (un bene o un servizio) lungo il suo intero ciclo di vita.
Tale misura viene espressa in “quantità di CO2 equivalente emessa” (CO2e): tutti i Ghg indicati dal Protocollo di Kyoto (anidride carbonica, metano, protossido d’azoto, idrofluorocarburi, esafluoruro di zolfo, perfluorocarburi), hanno un proprio potere climalterante (il global warming potential, Gwp) il cui valore è proporzionale a quello della CO2 posto convenzionalmente uguale a 1, al quale vengono tutti ricondotti.
Come si può vedere, nella definizione stessa di Carbon footprint si fa espressamente riferimento all’intero ciclo di vita, rendendo il Life cycle thinking l’approccio teorico corretto per valutarla. Se la metodologia Lca considera però numerose “categorie di impatto” lungo il ciclo di vita di un sistema, la valutazione di Cf si focalizza unicamente sulla categoria global warming potential (Gwp) misurata in termini di CO2e.
Il processo di contabilità e di calcolo dell’impronta di carbonio è in via di notevole sviluppo e diversi sono gli approcci proposti, oggetto di numerose pubblicazioni sia scientifiche sia divulgative: alcuni principi, inerenti alla contabilità o modellazione, sono più o meno universalmente accettati anche se persiste una grande soggettività legata alla metodologia da adottare, alla scelta dei confini del sistema, alla completezza, all’unità funzionale di riferimento.
Esistono alcune norme volontarie di riferimento che vengono utilizzate già da qualche tempo, quali la Pas 2050 del Bsi (Specification for the assessment of the life cycle greenhouse gas emissions of goods and services), il Ghg protocol corporate standard e Iso 14064 (questi ultimi due solo per le organizzazioni).
Nel 2013 specificatamente per la Carbon footprint di prodotto (Cfp) è stato rilasciato il Techinical standard ISO/TS 14067 che definisce principi, requisiti e linee guida per la quantificazione e la comunicazione della Cfp medesima, costituendosi come primo passo per la pubblicazione dello standard vero e proprio in cui dovrebbe trasformarsi a breve.
Tutte queste norme si basano esplicitamente sulle logiche e gli strumenti metodologici espressi dagli standard internazionali di riferimento per l’Lca, UNI EN ISO 14040:2006 e UNI EN ISO 14044:2006, concentrandosi sulla sola categoria di impatto “Global warming potential “, codificando quindi la Cf come bilancio netto delle emissioni di gas serra di un prodotto lungo il suo intero ciclo di vita.
È utile ricordare in questo ambito anche la raccomandazione della Commissione europea relativa all’uso di metodologie comuni per misurare e comunicare le prestazioni ambientali nel corso del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni, che evidenzia l’importanza dell’analisi delle impronte ambientali dei prodotti (Pef – Product environmental footprint) e delle organizzazioni (Oef – Organizational environmental footprint), da realizzarsi secondo metodologie e standard riconosciuti, per permettere una adeguata comunicazione delle prestazioni ambientali di prodotti e organizzazioni. Da questo punto di vista Lca garantisce, anche tramite le norme Iso di riferimento, l’approccio metodologico che risponde a questi requisiti.
Il calcolo della Carbon footprint deve porsi come punto di partenza per avviare percorsi per la riduzione delle emissioni e come primo passo necessario per sviluppare protocolli alternativi che possano garantire ad un qualsiasi sistema le medesime performance in termini di efficienza, al contempo riducendo (o anche azzerando) la sua impronta sul clima, anche tramite interventi di compensazione delle emissioni residue.
La Carbon footprint si configura anche come forte strumento di comunicazione, una possibile etichetta o marchio di qualità per un prodotto, che si affianca ad altre impronte parziali di impatto, quali ad esempio l’impronta idrica, e ad etichette già presenti sul mercato quali Emas, Epd o altre certificazioni che identificano un parziale beneficio verso l’ambiente da parte di un prodotto (biologico, compostabile e via dicendo). La diffusione dell’impronta di carbonio potrà garantire ai consumatori la possibilità di scegliere un prodotto o un servizio anche in termini di impronta climatica e potrà rendere più efficiente l’attuazione del protocollo degli acquisti verdi della pubblica amministrazione (Gpp, Green public procurement) anche in un’ottica di gare d’appalto.
Un esempio pratico? La valutazione di Carbon footprint finalizzata alla neutralizzazione tramite carbon offset di un servizio in appalto di raccolta e trasporto di rifiuti sanitari, condotta da Rete Clima: un’azione integrata di contabilità e azione ambientale che si costituisce come azione migliorativa nell’ambito della partecipazione a gare di appalto. In termini generali si deve prevedere una filiera integrata di “carbon assessment” e “carbon management” che costituisce, un “percorso emissioni zero”: la valutazione dell’impronta di carbonio del servizio deve dunque essere seguita da possibili azioni di riduzione delle emissioni quindi dalla compensazione delle emissioni residue.