Ma l'Ispra conferma che «il suo inventario è corretto e rispetta le normative Onu»
La Svizzera accusa l’Italia di truccare i dati sulle emissioni di HFC-23
L’incertezza sulle reali emissioni di gas serra può far fallire l’Accordo di Parigi
[9 Agosto 2017]
Secondo un’inchiesta del programma Counting Carbon di BBC Radio 4 l’Italia metterebbe in atmosfera potenti gas serra che non verrebbero registrati. A rivelarlo sarebbero i monitoraggi eseguiti in Svizzera che hanno rilevato grandi quantità di gas serra provenienti da una località italiana. Counting Carbon fa notare che, invece, i dati sottoposti dall’Italia all’Onu dichiarano solo una minima quantità di emissioni di questo gas serra.
BBC Radio 4 paragona il caso italiano a quanto avviene per alcune emissioni di gas serra di India e Cina che, secondo alcuni esperti, potrebbero essere anche il 100% in più di quanto dichiarato dai governi dei due colossi asiatici e i ricercatori svizzeri dicono che questi dati ballerini rappresentano una delle maggiori minacce per l’Accordo di Parigi insieme all’intenzione del presidente Usa Donald Trump di ritirarsi. Infatti, tra le disposizioni fondamentali dell’Accordo di Parigi, firmato da 195 Paesi nel dicembre 2015, c’è ‘impegno di ogni Paese, ricco (come l’Italia) o povero che sia, a presentare ogni due anni un inventario delle sue e emissioni di gas serra.
Ma i programmi di campionamento dell’aria che registrano i livelli effettivi di gas serra, come quello svizzero, a volte rivelano errori e omissioni. Counting Carbon spiega che «Nel 2011 gli scienziati svizzeri avevano pubblicato i loro dati sui livelli di un gas chiamato HFC-23 proveniente da una località dell’Italia settentrionale«. Tra il 2008 e il 2010 il team svizzero aveva raccolto campioni della sostanza chimica, prodotta nelle industrie della refrigerazione e del condizionamento, che è un gas serra 14.800 volte più potente della CO2 e ora gli stessi scienziati che lavorano alla stazione di monitoraggio dell’aria deli Jungfraujoch, hanno detto alla BBC che l’ HFC-23 viene ancora scaricato in atmosfera.
Stefan Reimann, del Laboratorio federale svizzero per la scienza dei materiali e la tecnologia, ha detto a BBC Radio 4 che «La nostra stima per questa località in Italia è di circa 60-80 tonnellate di questa sostanza emesse ogni anno e quindi possiamo confrontarla con l’inventario delle emissioni italiane e questo è molto interessante perché l’inventario ufficiale dice che sono sotto le10 tonnellate, o nella regione di 2 o 3 tonnellate. In realtà [gli italiani] dicono che sta avvenendo, ma non credono che stia succedendo quanto vediamo noi. Solo per metterlo in prospettiva, questo gas serra è migliaia di volte più potente della CO2. Quindi, sarebbe come se una città italiana di 80.000 abitanti non emettesse per niente CO2».
La BBC dice di aver interpellato il mostro Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che ha dichiarato che «il suo inventario è corretto e rispetta le normative Onu, e non ha accettato le cifre svizzere».
Counting Carbon si occupa anche di un altro raro gas serra: il tetracloruro di carbonio, un tempo molto utilizzato come refrigerante e solvente, ma molto dannoso per lo strato di ozono e che per questo è stato bandito in Europa dal 2002. Pero Reimann dice che la cina ne emette ogni anno ancora 10.000 – 20.000 tonnellate e che anche in questo caso non ci dovrebbero essere. «In realtà, non esiste un inventario cinese per questi gas, perché sono vietati e l’industria non dovrebbe più rilasciarli».
Anche l’approccio della Cina per segnalare la sua produzione complessiva dei gas serra all’Onu è soggetta a revisioni costanti e significative, ma l’ultimo rapporto fornito da Pechino si limita a una trentina di pagine, molto meno dettagliato e corposo di quello di un Paese come la Gran Bretagna, che è di diverse centinaia di pagine. A Counting Carbon denunciano che «Nel 2007, la Cina si è semplicemente rifiutata di accettare nei documenti ufficiali di essere diventata la più grande emettitrice di CO2».
Un rapporto del 2015 evidenziava un errore del 10% nelle statistiche ufficiali sulle emissioni di gas serra< in Cina. L’inchiesta della BBC ha anche scoperto enormi incertezze negli inventari delle emissioni di carbonio, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, a cominciare dal metano, l secondo gas serra più abbondante dopo la CO2, che è prodotto dall’attività microbica nelle paludi, dalla coltivazione del riso, dalle discariche di rifiuti, dall’agricoltura e dalla produzione di combustibili fossili. Negli ultimi anni, i livelli globali delle emissioni di metano sono aumentati e gli scienziati non sono sicuri del perché. Per esempio, un Paese come l’India, che ospita il 15% del bestiame mondiale, emette grandi quantità di metano ma i dati forniti dal suo inventario hanno un alto grado di incertezza. Anita Ganesan, dell’università di Bristol, che ha supervisionato la ricerca sul monitoraggio dell’aria in India dice che l’incertezza sulle missioni di metano indiane hanno un’incertezza di circa 50% incerte per categorie come i ruminanti, «Quindi questo significa che le emissioni che hanno presentato potrebbero essere più o meno del 50% di quanto è stato dichiarato» e «Per l’ossido di azoto siamo al 100%».
Secondo gli scienziati, in Russia i dati sulle emissioni hanno un’incertezza dal 30 al 40: «Quello per cui siamo preoccupati è quello che il pianeta sta avvenendo, non importa quel che dicono le statistiche – ha dichiarato alla BBC Euan Nisbet, dell’università di Londra – Nell’aria, vediamo che il metano cresce. L’impatto del riscaldamento prodotto da quel metano è sufficiente a far deragliare l’Accordo di Parigi».
Le norme che disciplinano il modo in cui i Paesi riportano le loro emissioni di gas serra sono in corso di negoziazione, ma Glen Peters, del Centre for International Climate Research di Oslo fa notare che la parte essenziale dell’Accordo di Parigi sono i global stock-takes quinquennali, ma se non si riesce davvero a tracciare le emissioni reali allora tutto l’intero meccanismo può saltare: «Quindi, senza buoni dati e una buona base, l’Accordo di Parigi essenzialmente collasserà: diventerà semplicemente un talkfest senza molto progressi».