La tremenda eruzione del Tambora oscurò i cieli e infangò il campo di battaglia di Waterloo, fino a rendere il 1816 «l’anno senza estate»
Cinque maggio. In memoria di Napoleone, l’imperatore sconfitto dal clima (e da un vulcano)
[5 Maggio 2014]
Sperduto nell’Atlantico, il 5 maggio di 193 anni fa, a Sant’Elena Napoleone moriva in esilio dopo aver tenuto l’Europa in pugno. L’isola d’Elba, nel bicentenario dell’evento, riecheggiano in questi giorni i fasti dei nove mesi in cui l’imperatore visse a Portoferraio ma per il còrso l’esilio che lo accompagnò fino alla morte era ancora al di là da venire. Sarebbe giunto in un’altra isola, e avrebbe dovuto passare attraverso una delle più memorabili battaglie dell’era moderna, a Waterloo. Quel 18 giugno 1815 fu il crocevia per un intero continente, ma a due secoli di distanza ha una lezione in più da impartire: l’imperatore, infatti, su quel campo di battaglia venne sconfitto (anche) dal clima, e da un vulcano dall’altra parte del mondo.
Come ricorda l’osservatorio meteorologico dell’università degli Studi di Napoli Federico II, la «tremenda eruzione del vulcano indonesiano Tambora, avvenuta nell’aprile del 1815, ha contribuito a cambiare il corso della storia». L’evento è oggi noto soprattutto come la principale concausa di quello che venne non a caso chiamato l’anno senza estate: nel 1816 la bella stagione rimase per l’Europa un lontano ricordo, e insieme ad essa sparirono buona parte dei raccolti occidentali. Mary Shelley – assediata dal maltempo – in Svizzera trovò ispirazione per scrivere il tecnologico mostro di Frankestein, mentre la popolazione era alla fame. Ma quello che non sapeva era che la loro sciagura fosse la stessa che solo pochi mesi prima aveva contribuito a disarcionare l’imperatore Napoleone dal suo dominio europeo.
Le cattive condizioni meteo furono decisive nella battaglia di Waterloo, fiaccando la forza dell’offensiva napoleonica. E il vulcano Tambora – non lontano dall’altrettanto famoso Krakatoa – giocò in questo un ruolo inaspettato quanto fondamentale. L’immensa quantità di ceneri immessa dal Tambora nella stratosfera determinò per mesi, in particolar modo nell’apparentemente lontana Europa, l’offuscamento del sole e un conseguente abbassamento della temperatura, accompagnato da grandi piogge, assai inconsuete per la stagione. E un avversario imbattibile sul campo di battaglia.
«Nell’esercito di Napoleone – sottolineano dall’università di Napoli – una funzione fondamentale era svolta dalla cavalleria leggera, capace di spostarsi velocemente sul campo di battaglia e gettare panico fra gli avversari, e dall’artiglieria pesante con i cannoni che sparavano con un angolo basso in modo che le palle di ferro rimbalzassero più volte sul terreno asciutto ed aumentassero il loro effetto distruttivo. A metà giugno il terreno delle campagne di Waterloo è normalmente asciutto e ben si sarebbe prestato alle azioni militari. Ma, quel giorno, la cavalleria e l’artiglieria di Napoleone furono inefficaci: il fango provocato dalle piogge incessanti dei mesi precedenti limitava le manovre dei cavalli e le palle di cannone affondavano appena toccavano terra».
È ovviamente assai difficile poter stimare con esattezza il ruolo che le condizioni meteo e del terreno possano aver avuto su un campo di battaglia di due secoli fa, ma dall’università di Napoli sono certi di una cosa: «Senza quell’eruzione, il campo di battaglia di Waterloo sarebbe stato praticabile da parte della cavalleria e dell’artiglieria di Napoleone e la battaglia avrebbe potuto avere un esito diverso».
Il clima, che con il suo generale inverno aveva costretto a una rovinosa ritirata dalla campagna di Russia la Grande Armata francese, tornava a colpire l’arroganza di Napoleone: è sorprendente e al contempo disarmante immaginare che con delle buone previsioni meteo, oggi così comuni, un imperatore avrebbe potuto mantenere sotto scacco il nostro continente, cambiando completamente l’indirizzo della storia mondiale. C’è da scommetterci che, se avesse avuto a disposizione uno smartphone e AppyMeteo, il nuovo progetto scientifico italiano che con un’app crea delle previsioni meteo della felicità, il superstizioso mister N. avrebbe cambiato i suoi piani d’attacco.
Quel che è certo è che l’esito della battaglia di Waterloo ricorda all’uomo tecnologico del XXI secolo che il clima rimane un avversario imbattibile per chi dipende in tutto e per tutto dall’ecosistema che lo ospita, ossia ogni specie vivente. Compresa la nostra: l’era di Napoleone non è quella in cui si estinsero i dinosauri, ma abita dietro l’angolo della storia. Allora il mondo – e gli effetti del suo clima – era già più globalizzato di quanto anche gli uomini più potenti del tempo potessero aspettarsi.
Dunque, meglio scegliere di combattere un avversario ancora (per poco) alla nostra altezza, quei cambiamenti climatici indotti proprio dall’attività antropica. I mostri tecnologici che partoriamo oggi sanno essere molto più feroci della creatura del dottor Frankestein di Mary Shelley, ma non è troppo tardi per riportarli sotto il nostro controllo.