Le multinazionali contro la CO2: non sia mai emessa la trilionesima tonnellata
Le contraddizioni di chi vuole investimenti pubblici nel low carbon e poi fa lobbying contro la green economy
[10 Aprile 2014]
In una dichiarazione congiunta alcune delle più grandi multinazionali chiedono di mettere in atto politiche «per evitare l’emissione cumulativa di più di un trilione di tonnellate di carbonio» e, rivolte ai governi, aggiungono che «il fallimento della limitazione dello stock di carbonio nell’atmosfera aumenterebbe sempre più il rischio di gravi impatti climatici».
Si tratta dell’iniziativa The Trillion Tonne Communiqué, coordinata dal Prince of Wales’s Corporate Leaders Group, gestito dall’università di Cambridge, che ha finora raccolto l’adesione di più di 70 companies di tutto il mondo che comprendono anche giganti come Acciona, Adidas, CalSTRS, EDF Energy, ING, Mars, Shell, TetraPak e Unilever (alcune delle quali non proprio con le carte in regola dal punto di vista ambientale e climatico), che insieme hanno un fatturato di circa 900 miliardi di dollari. La dichiarazione chiede ai governi «una risposta rapida e mirata alla minaccia rappresentata dalle crescenti emissioni globali di carbonio ed agli impatti climatici dirompenti che sono loro inevitabilmente associati»
Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il trilione di tonnellate (1.000 miliardi) è il tetto di emissioni necessario per mantenere l’aumento del global warming al di sotto di 2 gradi centigradi, ed evitare gli impatti catastrofici dei cambiamenti climatici. Attualmente nell’atmosfera dovrebbero esserci più o meno 578.935.750.000 tonnellate di CO2 e se il livello di emissioni di gas serra rimarrà quello attuale entro 30 anni raggiungeremo la fatidica spoglia del trilione.
La dichiarazione The Trillion Tonne Communiqué chiede in particolare ai governi di:
Prevedere un calendario mirante a raggiungere le emissioni nette zero di biossido di carbonio. Al fine di mantenere il volume cumulativo delle emissioni sotto il livello del trilione di tonnellate di biossido di carbonio provenienti dalle emissioni di CO2 di origine umana, le emissioni globali devono raggiungere il picco e cominciare a essere ridotte il più rapidamente possibile con l’obiettivo di raggiungere le emissioni nette zero prima della fine del secolo. Malgrado l’aumento del numero delle regole e delle legislazioni climatiche, questo impegno fermo non è stato ancora concluso a livello mondiale. I tempi ed i metodi di applicazione che permettono di raggiungere questo obiettivo delle emissioni nette zero varieranno da un Paese all’altro.
Elaborare una strategia credibile mirante a trasformare il sistema energetico e compatibile con il nostro obiettivo legato alle emissioni nette zero. Saremo condotti a riformulare interamente il nostro comportamento di fronte alle risorse energetiche nel quadro della comparsa di nuovi processi, infrastrutture, tecnologie e modelli di attività nel XXI secolo. Questo concetto favorirà una migliore efficienza energetica ed un miglior utilizzo delle risorse e dovrà integrare l’insieme dei settori interessati, quali l’ambiente costruito, la produzione di energia, il settore industriale ed il settore dei trasporti. Il quadro politico (compresi gli incentive fiscali) deve essere adeguato per incoraggiare gli investimenti e stimolare l’innovazione nelle infrastrutture energetiche favorendo l’intensità low cabon. Questa politica deve includere un elevato prezzo del carbonio.
La realizzazione dell’obiettivo legato alle emissioni nette zero (un obiettivo che, per inciso, in questi termini rischia di rimanere sul piano della propaganda) necessiterà di mettere in atto importanti cambiamenti nel nostro approvvigionamento energetico. L’ampiezza della domanda di combustibili fossili significa che saremo in grado di continuare ad utilizzarli solamente se le emissioni possono essere catturabili e stoccabili. Questa constatazione vale soprattutto per il carbone che, benché sia disponibile in maniera abbondante ed a buon mercato, rappresenta anche la risorsa energetica associata ai livelli di emissioni di carbonio più elevate. I nuovi livelli di investimento devono tener conto di questo elemento.
Si tratta del settimo comunicato congiunto del Prince of Wales’s Corporate Leaders Group dalla Cop Unfccc di Bali del 2007, e nel 2012 lo stesso gruppo aveva chiesto un prezzo globale chiaro del carbonio. In tutto sono più di mille le companies di oltre 60 Paesi hanno firmato almeno uno di questi comunicati, e Ari Phillis su ClimateProgress fa notare che «coalizioni come questa o l’United States Climate Action Partnership (Uscap) rappresentano potenti voci di influenti emettitori, ma la loro capacità di mettere in atto un vero cambiamento vene molto meno dalle parole e molto più dalle azioni. La Shell è anche membro dell’Uscap, che prevede obiettivi di riduzione delle emissioni Usa per un totale del’80%, l’86% dei livelli del 2005 entro il 2020. Secondo il sito web della Shell, nel 20011-2012, hanno ridotto le emissioni di gas serra dirette dagli impianti che gestiscono di poco meno del 3%, a 72 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, che sono circa le emissioni totali di carbonio del Cile nel 2010».
Secondo Eliot Whittington, vice direttore del The Prince of Wales’s Corporate Leaders Group, invece «questo comunicato manda un messaggio chiaro del business in un momento critico, quando gli eventi in Ucraina hanno rifocalizzato l’attenzione mondiale sulla sicurezza energetica e proprio mentre il consenso scientifico ci ricorda l’imperativo dell’’azione collettiva».
Ma il rischio che si tratti solo di greenwashing di lusso, si potrebbe dire “regale”, è alto: nel 2013 uno studio del Climate Accountability Institute ha rivelato che 90 grandi companies sono responsabili dell’emissione dei due terzi dei gas serra globali a partire dalla rivoluzione industriale. Tra queste multinazionali ci sono Shell, Chevron, Exxon e altre compagnie petrolifere e gasiere che mentre firmano appelli e producono Risk Carbon Asset, come ha fatto la Exxon solo pochi giorni fa, poi fanno lobbying perché gli stessi governi ai quali si rivolgono per chiedere politiche climatiche urgenti non approvino le norme per ridurre le emissioni di CO2 del carbone e di metano del fracking e il consumo di combustibili fossili e si battono contro gli incentivi ad eolico e solare.
Bill McKibben, fondatore di 350.org, vede in questo una sfida per l’azione dei governi e in un editoriale pubblicato dal Guardian accusa la Exxon di dire più o meno: «Il nostro piano è di surriscaldare il pianeta, pensiamo di avere i muscoli politici per continuare a farlo, e vi sfidiamo a fermarci».
Uno dei firmatari di The Trillion Tonne Communiqué, Sir Ian Cheshire, group chief executive di Kingfisher plc, ammette che «il nostro sistema energetico non è adatto allo scopo. I governi devono fare molto di più per incentivare e premiare gli investimenti nelle tecnologie low-carbon, così come per incoraggiare l’efficienza energetica e delle risorse. Il business non può agire da solo: ha bisogno di chiari quadri normativi che diano certezza e lo aiutino a guidare la trasformazione verso un futuro energetico più sicuro».
Un bel passo avanti per multinazionali che sono state il pilastro della globalizzazione neoliberista che teorizzava l’ininfluenza del governo, ma finita la sbornia della deregulation il sospetto è che ora i governi debbano produrre regole favorevoli solo a chi non le voleva fino a ieri.
Johan Karlström, amministratore delegato di Skanska AB, dice comunque che «la minaccia del cambiamento climatico è reale e urgente, per frenare le emissioni che dobbiamo lavorare insieme. Da un punto di vista del business è già un vantaggio competitivo essere un leader nel green, ma i governi possono accelerare il progresso in modo sostanziale attraverso la creazione di un livello sul campo di gioco che premi i leader nella tecnologia low carbon e nell’efficienza energetica».
Niall Dunne, chief sustainability officer di BT, si rivolge alle altre grandi imprese: «Dobbiamo andare oltre il concetto che una progressiva politica sul cambiamento climatico sia un male per il business: può essere un enorme motore di innovazione e per creare opportunità per la crescita e la prosperità. Al contrario, non c’è un’organizzazione che conosco che non sia già influenzata ad un certo livello dai cambiamenti climatici. La responsabilità collettiva di tutti, governi, imprese e società civile, è essenziale per garantire che il mondo sia sulla buona strada per le emissioni nette a zero entro la fine del secolo».
Ma è Nigel Lake, amministratore delegato congiunto della compagnia di consulenza globale australiana Pottinger che, chiudendo con una sua dichiarazione il comunicato di presentazione di The Trillion Tonne Communiqué, fa capire quali potrebbero essere le tecnologie low carbon – da realizzare con soldi pubblici – sulle quali punta il business globalizzato: «Per una nazione esportatrice di carbone di grandi dimensioni come l’Australia, la carbon capture and storage (Ccs) è importante non solo per ragioni ambientali ma è inoltre fondamentale per la competitività di alcune delle nostre principali aziende e per la sostenibilità a lungo termine della nostra economia».
Tutto questo anche se la tecnologia Ccs è ancora sperimentale ed è invisa alla stragrande maggioranza delle associazioni ambientaliste che la vedono come un costoso trucco a spese dei contribuenti perché le grandi industrie possano continuare a bruciare carbone ed idrocarburi. Il Ccs piace anche ad Ong come Bellona, ma soprattutto alle Big Oil ed i ai King Carbon, mentre secondo molti scienziati e attivisti ambientali distoglierebbe i necessari investimenti per ridurre i gas serra dalle vere, meno costose e già sperimentate tecnologie climatiche, dalle energie rinnovabili e dal risparmio energetico, cioè dalle uniche cose davvero in grado di non farci superare la soglia senza ritorno della “trilionesima tonnellata” di CO2.
Ecco la lista completa dei firmatari di The Trillion Tonne Communiqué:
ACCA, Adidas Group, Anglian Water, ARICIA India International (P) Limited, Ashridge Business School, BT, CalSTRS, Canmore Partnership Ltd, The Carbon Capture and Storage Association, The Carbon Trust, The CarbonNeutral Company, CEBDS – Conselho Empresarial Brasileiro para o Desenvolvimento Sustentável, Cisco, CJH Multisourcing SNC, Climate Friendly Pty Ltd, CO2-monitor AG, Coloplast A/S, Crown Oil Ltd, Doosan, Ecofrotas, Eden Ventures, EDF Energy, Energy Resources Management, Falvez Energy, Fisdel Green Consult Ltd, The Gold Standard Foundation, GlaxoSmithKline, Graham A Brown & Associates, Green Directions, Harbon Wind Turbines Ltd, Heathrow, Herban Lifestyle, HESTA, Hollard, Honeybee, If P&C Insurance, Infinergy Limited, ING Group, Inheritance India, Kingfisher, Lloyds Banking Group, Madison Computer Works, Inc., Marks & Spencer, Mars Incorporated, MPCEE, Net Balance, Nouveau Energy, Novelis Inc, Novo Nordisk A/S, Pale Blue Dot Energy Ltd, Philips, Pottinger, Sandwalk Ltd, Shell, Skanska, Sky, SolaVis, Sustainable Intelligence, Spier Wine Farm, Tetra Pak, Thames Water, Tri Tec Group, Unilever, Verco, Wiles Greenworld Ltd, wolfcraft GmbH, WSP Group, YTL Corporation Berhad