Quali lezioni trarre dal Petm, l’ultimo riscaldamento globale (VIDEO)

I sedimenti di 56 milioni di anni fa permettono di dare un nuovo sguardo al nostro futuro climatico

[20 Febbraio 2023]

56 milioni di anni fa, la Terra sperimentò uno dei più grandi e rapidi riscaldamenti globali della sua storia: il Paleocene-Eocene Thermal Maximum (PETM), che presenta somiglianze con il riscaldamento attuale e futuro e  secondo lo studio “Carbon isotope and biostratigraphic evidence for an expanded Paleocene–Eocene Thermal Maximum sedimentary record in the deep Gulf of Mexico”, pubblicato su Geology da un team internazionale di ricercatori che ha prelevato sedimenti dalle acque profonde del Golfo del Messico, «Questo scenario potrebbe ripetersi oggi». .

Il team di ricerca guidato da Lucas Vimpere, della Section des sciences de la Terre et de l’environnement della Faculté des sciences de l’Université de Genève (UNIGE) –  e del quale faceva parte anche Pietro Sternai del Dipartimento di scienze dell’ambiente e della Terra dell’università Milano-Bicocca – spiega  che il PETM «E’ la più grande e più veloce perturbazione climatica del Cenozoico (da -65,5 milioni di anni ad oggi). Eccezionale sia per la sua ampiezza (aumento di 5-8° C) che per la sua subitaneità (5000 anni, un tempo molto breve su scala geologica), questo episodio è stato caratterizzato da un riscaldamento delle temperature su scala globale. Durò circa 200.000 anni e portò a numerose estinzioni marine e terrestri. Sarebbe stato causato da un’alta concentrazione nell’atmosfera di anidride carbonica e metano, due potenti gas serra. Ad oggi, questi gas potrebbero essere stati liberati da diversi fenomeni, sicuramente combinati: rilascio di idrati di metano intrappolati nel fondale marino, scioglimento improvviso e significativo del permafrost, iniezione di magmi nei sedimenti organici del confine occidentale della Norvegia. L’origine di questi processi è ancora dibattuta. Potrebbero esserne responsabili l’impatto di un meteorite e/o gli effetti di un’intensa attività vulcanica nelle profondità del Nord Atlantico».

A causa delle molte somiglianze del PETM con l’attuale riscaldamento globale, i resti geologici di questo periodo sono da tempo studiati dagli scienziati, ma il nuovo studio evidenzia nuovi elementi. Vimpere  ricorda che «L’obiettivo del nostro studio era quello di studiare l’influenza di questi cambiamenti climatici sui sistemi sedimentari, cioè sui processi di formazione e deposizione dei sedimenti, e di capire come questi cambiamenti potessero essere trasmessi dall’atmosfera alle profondità del l’oceano». I ricercatori hanno analizzato i sedimenti prelevati da oltre 8 km di profondità nel Golfo del Messico e Vimpere sottolinea che «Questo bacino funge da gigantesco “serbatoio” in cui confluisce il materiale eroso e trasportato dal continente nordamericano nel corso di milioni di anni. Per motivi di costi e infrastrutture, i sedimenti utilizzati per studiare il PETM sono solitamente raccolti da ambienti marini o continentali poco profondi. Grazie alla collaborazione di una compagnia petrolifera, abbiamo potuto beneficiare di un campione di qualità senza precedenti, senza alcuna alterazione».

Con una lunghezza di 543 metri, questa carota contiene un record sedimentario del PETM con uno spessore di 180 m, che lo rende il più completo “archivio” geologico di questo periodo al mondo. Gli scienziati hanno così scoperto che «Consisteva prima di un grande strato di argilla e poi di uno strato di sabbia, un risultato controintuitivo». L’autore senio dello studio Sébastien Castelltort dell’UNIGE, evidenzia: «Pensavamo che durante il PETM, ci fossero state più precipitazioni, quindi più erosione, e che grandi quantità di sabbia fossero state poi trasportate prioritariamente dai sistemi fluviali negli oceani. Tuttavia, grazie al nostro campione, siamo stati in grado di determinare che inizialmente sono state trasportate le argille e non le sabbie.

Questa osservazione ha permesso di stabilire che il PETM era stato caratterizzato non da un aumento del tasso annuo delle precipitazioni, ma da un aumento della loro stagionalità e intensità. Il fenomeno ha portato ad un aumento della torbidità degli oceani, dannoso per la fauna e la flora marina, in particolare per i coralli (vi ricorda qualcosa?).

Vimpere  conclude: «La conseguenza di tutto ciò fu di intensificare la mobilità dei canali fluviali – le zone più profonde di un fiume – che ebbero l’effetto di trasportare grandi quantità di argille fluviali depositate nelle profondità dell’oceano nelle adiacenti pianure alluvionali. Possiamo quindi ora prendere in considerazione il fatto che la presenza di argilla nei bacini profondi sia un indicatore dell’aumento della stagionalità delle piogge.
Il PETM è un potenziale analogo del riscaldamento attuale. Lo dimostrano i recenti rapporti dell’IPCC: anche oggi assistiamo ad un aumento della stagionalità e dell’intensità delle precipitazioni. Come rivela il nostro studio, questo rischia di destabilizzare i sistemi sedimentari allo stesso modo che durante il PETM e con le stesse conseguenze per gli oceani e le specie viventi. Questi nuovi dati possono ora essere integrati in modelli volti a prevedere l’evoluzione e le conseguenze del riscaldamento globale».

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