Ecco in 4 punti le politiche energetiche raccomandate
Rapporto speciale Iea, rimandare al 2020 l’azione sul clima costerebbe 5mila miliardi di dollari
Dalla politica climatica un vantaggio competitivo
[11 Giugno 2013]
Pubblichiamo di seguito la sintesi in italiano del rapporto speciale “Redrawing the Energy-Climate Map” del World Energy Outlook dell’International energy agency (Iea), elaborato per mantenere gli obiettivi sul clima
Il mondo si sta allontanando dall’obiettivo concordato dai governi di limitare l’aumento della temperatura media globale nel lungo termine entro i 2 gradi Celsius (°C). Le emissioni mondiali di gas serra sono in rapida crescita e, nel maggio 2013, i livelli di concentrazione del diossido di carbonio (CO2) in atmosfera hanno superato la soglia delle 400 parti per milione per la prima volta da diverse centinaia di millenni. Secondo la maggior parte degli studi scientifici in materia, il cambiamento climatico è già in corso e dovremmo aspettarci il verificarsi di eventi climatici estremi (come tempeste, inondazioni e ondate di calore) con maggiore frequenza ed intensità, così come l’aumento delle temperature su scala globale e l’innalzamento del livello dei mari. Considerando le politiche già implementate, o quelle attualmente perseguite, risulta più probabile che l’aumento della temperatura media mondiale nel lungo termine sia compreso tra i 3,6 °C e i 5,3 °C (rispetto ai livelli preindustriali) con gran parte di questo incremento concentrato nel secolo in corso. Anche se l’azione intrapresa a livello globale non è ancora sufficiente a contenere l’aumento della temperatura entro i 2° C, questo obiettivo rimane tuttora tecnicamente raggiungibile pur essendo estremamente difficile. Per tenere aperta la porta dei 2° C, è necessario intraprendere un’azione forte prima del 2020, data entro la quale entrerà in vigore un nuovo accordo internazionale sul clima. L’energia si pone al centro di questa sfida: il settore energetico conta per circa i due terzi delle emissioni di gas serra, poiché oltre l’80% del consumo mondiale di energia viene soddisfatto da fonti fossili.
Il settore energetico è fondamentale nella lotta al cambiamento climatico
Nonostante i risultati positivi conseguiti in alcuni Paesi, nel 2012 il livello mondiale delle emissioni di CO2 legate all’energia è aumentato dell’1,4% raggiungendo il record storico di 31,6 gigatonnellate (Gt). I paesi non Ocse contano oggi per il 60% delle emissioni globali, in aumento rispetto al 45% del 2000. Nel 2012, è stata la Cina a fornire il maggior contributo all’incremento delle emissioni mondiali di CO2; tuttavia, la crescita delle emissioni cinesi è stata una delle più basse registrate nell’ultimo decennio, principalmente grazie alla diffusione delle energie rinnovabili e ad un significativo miglioramento dell’intensità energetica della sua economia. Negli Stati Uniti, l’aumento dell’utilizzo del gas naturale nella generazione elettrica a discapito del carbone ha contribuito a ridurre le emissioni di 200 milioni di tonnellate (Mt), riportandole al livello registrato a metà degli anni novanta. Tuttavia, questi incoraggianti trend che hanno interessato Cina e Stati Uniti potrebbero invertirsi. In Europa, nonostante il maggior consumo di carbone, le emissioni sono diminuite di 50 Mt come conseguenza della recessione economica, della crescita delle rinnovabili e dei limiti al livello di emissioni imposti ai settori industriale ed elettrico. In Giappone, le emissioni sono aumentate di 70 Mt, in quanto gli sforzi profusi per migliorare l’efficienza energetica non hanno pienamente controbilanciato l’incremento dell’uso di fonti fossili necessario per compensare il minor ricorso al nucleare. Anche tenendo conto delle politiche attualmente perseguite, all’orizzonte 2020 le emissioni mondiali di gas ad effetto serra legate all’energia sono attese superare di 4 Gt di CO2 equivalente (CO2–eq) la soglia coerente con l’obiettivo dei 2°C, il che evidenzia la portata della sfida che dovrà essere affrontata entro la fine del decennio in corso.
Quattro politiche energetiche possono mantenere fattibile l’obiettivo dei 2°C
Presentiamo il nostro Scenario 4 per 2 °C, in cui proponiamo l’implementazione di quattro misure politiche che possono contribuire a tenere aperta la porta dei 2 °C fino al 2020 a costi netti nulli. Rispetto al livello altrimenti atteso, queste politiche diminuirebbero le emissioni di gas ad effetto serra di 3,1 Gt CO2 eq nel 2020 – l’80% della riduzione necessaria per muoversi lungo una traiettoria di emissioni coerente con l’obiettivo dei 2 °C. In questo modo si guadagnerebbe tempo prezioso mentre le negoziazioni internazionali sul clima proseguono in vista dell’importante Conferenza delle Parti che si terrà a Parigi nel 2015 e mentre si definiscono le politiche nazionali necessarie all’implementazione di un atteso accordo internazionale. Le politiche indicate nello Scenario 4 per 2 °C sono state selezionate in quanto rispondenti ad alcuni requisiti di cruciale importanza: possono generare significative riduzioni delle emissioni legate all’energia entro il 2020 (una sorta di “ponte” per future azioni); si basano unicamente su tecnologie esistenti; sono già state adottate e provate in diversi paesi; infine, considerate nel loro complesso, una loro adozione diffusa non comprometterebbe la crescita economica in nessun paese o regione.
Le quattro politiche in questione sono:
1) Adottare misure specifiche per l’efficienza energetica (da cui deriverebbe il 49% dei risparmi emissivi).
2) Limitare la costruzione e l’uso delle centrali di generazione a carbone meno efficienti (21%).
3) Minimizzare le emissioni di metano (CH4) durante la produzione di petrolio e gas naturale (18%).
4) Accelerare la (parziale) eliminazione dei sussidi al consumo di fonti fossili (12%).
Misure di efficienza energetica mirate consentirebbero di ridurre le emissioni mondiali legate all’energia di 1,5 Gt nel 2020, un livello prossimo a quello corrente della Russia. Queste politiche includono l’adozione di standard di prestazione energetica nei seguenti settori: nel residenziale e terziario per illuminazione, nuovi dispositivi elettrici e nuovi impianti di riscaldamento e condizionamento; nell’industria per i motori elettrici; nei trasporti per i veicoli stradali. Circa il 60% della riduzione complessiva di emissioni avviene nel settore residenziale e terziario. Nei Paesi in cui queste politiche di efficienza energetica sono già state attuate, come nell’Unione Europea, in Giappone, negli Stati Uniti e in Cina, è necessario procedere ad un loro rafforzamento o ampliamento. Altri Paesi devono invece provvedere ad introdurle. Tutti i Paesi dovranno anche intraprendere azioni di supporto per superare le barriere che ostacolano la loro effettiva attuazione. A livello mondiale, l’ammontare di investimenti aggiuntivi necessari per attuare queste misure raggiungerebbe i 200 miliardi di dollari all’orizzonte 2020 ma verrebbe più che compensato dalla riduzione della fattura energetica.
Assicurare che non vengano costruiti nuovi impianti a carbone a pressione subcritica e limitare l’uso di quelli meno efficienti già in funzione ridurrebbe le emissioni di 640 Mt nel 2020 e contribuirebbe anche a contenere l’inquinamento atmosferico a livello locale.
A livello mondiale, l’uso di questi impianti risulterebbe inferiore di un quarto rispetto a quello altrimenti atteso nel 2020. In parallelo, aumenterebbe la quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (da circa il 20% attuale al 27% nel 2020), così come quella generata da gas naturale. Politiche volte a ridurre il peso delle centrali a carbone inefficienti, come la definizione di livelli standard di emissione e di inquinamento atmosferico e l’imposizione di un prezzo sulla CO2, esistono già in diversi paesi. Nel nostro Scenario 4 per 2 °C, i maggiori risparmi emissivi si verificano in Cina, Stati Uniti e India, tutti paesi che dispongono di un parco di generazione prevalentemente alimentato a carbone.
Le emissioni di metano in atmosfera durante la fase di produzione di petrolio e gas naturale risulterebbero quasi dimezzate nel 2020 rispetto ai livelli che altrimenti si conseguirebbero. Nel 2010, le operazioni di estrazione di petrolio e gas naturale hanno rilasciato 1,1 Gt CO2 eq di metano, potente gas ad effetto serra. Questi rilasci, ascrivibili all’uso delle pratiche di gas venting e gas flaring, corrispondono al doppio della produzione di gas naturale della Nigeria. Ridurre l’entità di questi rilasci in atmosfera rappresenta una strategia efficace e complementare a quella di riduzione delle emissioni di CO2. Le tecnologie necessarie a tale scopo sono già disponibili e accessibili a costi relativamente contenuti e in alcuni Paesi sono già state adottate politiche di questo tipo, come gli standard di performance negli Stati Uniti. Nello Scenario 4 per 2° C, le maggiori riduzioni interessano Russia, Medio Oriente, Stati Uniti e Africa.
Accelerare la parziale eliminazione dei sussidi alle fonti fossili ridurrebbe le emissioni di CO2 di 360 Mt nel 2020 e consentirebbe l’attuazione di politiche per l’efficienza energetica. Nel 2011, i sussidi alle fonti fossili ammontavano a 523 miliardi di dollari, circa sei volte l’entità degli incentivi a favore delle energie rinnovabili. Attualmente, il 15% delle emissioni mondiali di CO2 riceve un incentivo di 110 dollari per tonnellata nella forma di sussidi alle fonti fossili mentre l’imposizione di un prezzo sulla CO2 riguarda solo l’8%. Le crescenti difficoltà dei budget statali rafforzano la necessità di una riforma dei sussidi ai combustibili fossili in molti paesi importatori ed esportatori e negli ultimi anni è aumentato il consenso politico necessario per muoversi in questa direzione. I paesi membri del G 20 e dell’Asia Pacific Economic Cooperation (Apec) si sono impegnati ad eliminare i sussidi inefficienti alle fonti fossili e molti stanno procedendo verso l’attuazione di questa politica.
E’ necessario adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
l settore energetico non è immune dagli impatti fisici del cambiamento climatico e si deve quindi adattare ad essi. Nel delineare i punti di vulnerabilità del sistema energetico, abbiamo identificato impatti improvvisi e distruttivi (causati da eventi metereologici estremi) che presentano rischi per le centrali elettriche e le reti, per gli impianti del petrolio e del gas naturale, per i parchi eolici e altre infrastrutture. Altri impatti sono più graduali, come la variazione della domanda di riscaldamento e di condizionamento, l’aumento del livello del mare per le infrastrutture costiere, il cambiamento dei pattern climatici per gli impianti idroelettrici e la scarsità d’acqua per le centrali elettriche. Danni al sistema energetico possono anche generare significative ricadute su altri servizi cruciali. Per migliorare la capacità di adattamento del sistema energetico al cambiamento climatico, i governi devono ideare e implementare politiche opportune che incentivino un processo di adattamento prudente, mentre il settore privato dovrebbe valutare i rischi e gli impatti associati alla questione climatica come parte delle sue decisioni di investimento.
Anticipare la politica climatica può essere una fonte di vantaggio competitivo
e implicazioni finanziarie derivanti dall’attuazione di politiche climatiche più forti non sono uniformi all’interno dell’industria energetica e le strategie delle imprese vi si dovranno adeguare di conseguenza. Seguendo un percorso coerente con l’obiettivo dei 2 °C, le entrate nette generate dalle centrali nucleari e dagli impianti alimentati a fonti rinnovabili già esistenti aumenterebbero di 1.800 miliardi di dollari (in dollari 2011) da oggi al 2035, mentre quelle associate alle centrali a carbone esistenti diminuirebbero di un ammontare analogo. Delle nuove centrali a fonti fossili, l’8% verrebbe dismesso prima che l’investimento sia pienamente recuperato. Circa il 30% dei nuovi impianti alimentati a combustibili fossili verrebbe dotato (da subito o tramite interventi di retrofit) di sistemi di Ccs, tecnologia che agisce come strategia di protezione degli asset e permette la commercializzazione di una maggiore quantità di fonti fossili. Un ritardo nell’implementazione dei sistemi di Cvcs aumenterebbe il costo della decarbonizzazione del settore elettrico di 1.000 miliardi di dollari e causerebbe minori entrate per i produttori di combustibili fossili, specie di carbone. Anche muovendosi lungo la traiettoria dei 2°C, non sarebbe necessario interrompere la produzione in nessun giacimento attivo di petrolio o gas prima del suo esaurimento naturale. Alcuni campi la cui produzione deve essere ancora avviata non verranno sviluppati prima del 2035, il che significa che circa il 56% delle riserve provate di petrolio e gas non inizierà a recuperare i relativi costi di esplorazione prima di quel momento.
Rimandare al 2020 l’implementazione di una più incisiva azione climatica avrebbe un costo: si eviterebbe di investire 1.500 miliardi di dollari in tecnologie a basso contenuto di carbonio prima del 2020, ma successivamente sarebbero necessari investimenti aggiuntivi per 5.000 miliardi di dollari per ritornare lungo una traiettoria coerente con l’obiettivo dei 2° C. Pertanto, ritardare ulteriormente l’azione, anche alla fine del corrente decennio, comporterebbe costi addizionali significativi per il settore energetico e aumenterebbe il rischio che gli asset energetici vengano dismessi prima della fine della loro vita utile. I paesi in via di sviluppo, data la forte crescita attesa della domanda di energia, potranno trarre maggior vantaggio investendo il prima possibile in infrastrutture a basso contenuto di carbonio e più efficienti, in quanto ciò riduce il rischio di dismettere prima del dovuto o di dover eseguire, in un secondo momento, interventi di retrofit sugli impianti ad alta intensità di carbonio.