Realacci: perché non sono stato ricandidato. «Il mio impegno per il PD»

Matteo Renzi e chi gli è più vicino è di fondo convinto che l’ambiente non sia centrale e non sia pagante dal punto di vista elettorale

[31 Gennaio 2018]

Con una articolata e argomentata nota sulla sua pagina Facebook, il presidente della Commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, spiega il perché – e anche qualche retroscena – della sua mancata riconferma come candidato del PD alle elezioni del 4 marzo. Un post molto commentato che vi riproponiamo:

 

Come molti sanno, almeno su FB, non sarò candidato nelle liste del Partito Democratico per le elezioni parlamentari. Continuerò ovviamente fuori dal Parlamento il mio impegno civile e politico, come è accaduto anche in questi anni con la Fondazione Symbola, con Legambiente e con tanti altri. Spero anzi di riuscire a rispondere, almeno in parte, alle proposte arrivate per nuove imprese. Altrettanto ovviamente voterò PD e mi auguro un risultato positivo: sono presenti nelle liste moltissime persone di grande qualità e, se sarà possibile, cercherò di aiutarle nelle prossime settimane.

Ho rifiutato in questi giorni interviste sul tema delle liste e continuerò a farlo per motivi facilmente comprensibili: è da tempo in corso una dura campagne elettorale e, per dirla con il grande Boskov, “rigore è quando arbitro fischia”. Non posso però evitare, almeno qui, di svolgere alcune considerazioni in risposta alle centinaia commenti e sollecitazioni venuti da ambienti e culture diverse.

Non voglio fare il naïf né nascondermi dietro un dito: La compilazione delle liste è sempre un passaggio molto difficile e le polemiche sono inevitabili. Il passaggio è tanto più duro quando, come accade per il PD, bisogna mettere in conto una forte diminuzione del numero dei parlamentari. E’ inoltre necessario e saggio garantire un ricambio, che va incrociato con la necessità di fare liste attraenti dal punto di vista elettorale, in grado di produrre gruppi parlamentari capaci di lavorare con efficacia e presidiare i temi chiave. Sono in Parlamento dal 2001 (un sintetico bilancio di questa legislatura è disponibile qui https://goo.gl/XLiAmR ) ed è assolutamente legittimo che si proponga un ricambio se si pensa di poter fare di meglio: nessuno è indispensabile, tanto meno io. Come è assolutamente comprensibile, anche se può non piacere, che il segretario di un partito cerchi di plasmare le liste in maniera a lui più consona. In forme diverse e non certo più lievi, polemiche e forzature ci sono state in tutti i partiti al voto. La politica, come la vita, è spesso dura. Consiglio la visione di due bei film sulla materia: “L’ora più buia” su Winston Churchill che è attualmente nelle sale, e lo straordinario “Lincoln” di Spielberg. Cinismo e durezza devono però essere commisurati alla vera posta in gioco. Oscar Wilde diceva che “solo i superficiali non giudicano dalle apparenze”, penso che la mia esclusione, in particolare, sia in realtà legata a due scelte entrambe legittime. Da un lato la sottovalutazione della frontiera ambientale. Il motivo, tra gli altri, per cui ho partecipato con convinzione alla nascita del PD è stata l’intenzione dichiarata di costruire un progetto in cui ambiente, innovazione, identità positiva del Paese, economia, lavoro, società, territori, diritti, si potessero incrociare e dare forza ad un’Italia che fa l’Italia, che non lascia indietro nessuno e affronta il futuro. Retorica? Per me no. Sono gli stessi motivi che mi hanno spinto, con grande convinzione, a sostenere con tanti altri la leadership di Matteo Renzi. Ero convinto che la sua indubitabile e straordinaria energia vitale potesse essere messa al servizio anche di questa idea d’Italia, che a sua volta poteva dare forza e profondità alla sua spinta al cambiamento. In questa idea di politica e di Italia ecoreati e piccoli comuni, prevenzione e fonti rinnovabili, coesione sociale e Made in Italy, parchi e chimica verde sono chiamate a giocare in serie A e non a partecipare ad un torneo cadetto. Per questo ho lavorato con continuità e intensità, per quanto mi è stato possibile: nella legislatura sono stati ottenuti importanti risultati in Parlamento con l’impegno determinante del PD ma con un sostegno spesso molto più ampio.

In questi anni la prospettiva della centralità della sfida ambientale si è molto rafforzata nel mondo, sia per l’emergere dei problemi, che per l’evidenza delle opportunità che si aprono con la green economy. Tutti i maggiori leader con l’unica eccezione di Trump, che meriterebbe un ragionamento a parte, si sono mossi, in forme diverse, su questa strada: da Obama a Macron, dalla Merkel a Trudeau a Xi Jinping. Lo hanno fatto non perché sono più “buoni” ma perché ne hanno colto le implicazioni politiche, economiche, sociali, geopolitiche. Matteo e chi gli è più vicino è di fondo convinto che questo tema non sia centrale e non sia pagante dal punto di vista elettorale. Nonostante i miei tentativi, pensa di coprirlo con qualche battuta e qualche allusione sparsa. Ma quel tempo è finito. Ritengo sia un errore grave che indebolisce la capacità di attrazione del Pd e invecchia la sua proposta politica ed economica.

In più, su di me, ha pesato la convinzione che ogni considerazione, su questi argomenti politici, fosse un attacco alla sua leadership che ho sostenuto anche nelle ultime primarie. Per memoria allego ad esempio tre pezzi che in momenti diversi sono stati considerati negativamente: l’articolo su l’Unità del 1° aprile 2016 in cui annunciavo il mio Si al referendum sulle trivelle; un articolo su Linkiesta del 16 gennaio 2017 in cui ragionavo a partire dalla sconfitta sul referendum costituzionale; l’intervista a Repubblica dell’11 settembre 2017 dopo il lungo contributo di Walter Veltroni sulla sottovalutazione del tema ambientale. E, come aggravante, sono ancora convinto delle cose che lì sostengo.

Per me la lealtà, in politica come nella vita, è molto importante, ma deve essere collegata ad un progetto condiviso e non coincide con la fedeltà. Questi interventi erano atti d’amore per il nostro Paese e per il Pd un aiuto a rafforzare una leadership orientata al futuro. Non ho del resto mai pensato che i cortigiani de “I vestiti dell’imperatore” gli rendessero un buon servizio.

Detto questo per me è assolutamente evidente che un buon risultato del Pd e della coalizione di centrosinistra è essenziale per dare spazio all’Italia che mi sta a cuore. Invito quindi i tantissimi che mi hanno inviato messaggi di stima e vicinanza, annunciando talvolta di non voler più votare il Pd, a ripensarci. Credo sia chiaro a tutti quali sono le alternative in campo e personalmente non sono mai stato colpito, almeno spero, dalla sindrome di Tafazzi.

Ci sarà tempo di discutere in maniera non superficiale a partire da un proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai insieme agli altri.” È un’indicazione che vale per tutti.

di Ermete Realacci