Oltre 29 milioni di persone dovranno affrontare una grave insicurezza alimentare

Sahel: le crisi climatiche e socio-politiche del Sahel hanno effetti devastanti sui più vulnerabili

Le aree di confine tra Burkina Faso, Mali e Niger sono l'epicentro di una crisi crescente, con livelli senza precedenti di violenza armata e insicurezza

[5 Gennaio 2022]

Secondo l’United NationsOffice for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), «Quest’anno, più di 30 milioni di saheliani avranno bisogno di aiuto e protezione, più di un milione in più rispetto al 2021. Conflitti, violenza, sfollamento e le crisi socio-economiche stanno portando a un rapido aumento dei bisogni».

Nelle regioni dell’Africa occidentale colpite dai diversi conflitti interni e dalla guerra in corso contro il  jihadismo islamista, i civili stanno affrontando una drammatica crisi della protezione in un ambiente sempre più instabile. L’IOCHA sottolinea che «Il congiungersi di  conflitto e violenza, profonda povertà, pressioni demografiche, governance debole, insicurezza alimentare e malnutrizione cronicamente elevate e l’impatto del cambiamento climatico sono in crescita: milioni di persone sono al limite della sopravvivenza».

Nei Paesi del Sahel, la stagione magra dovrebbe iniziare all’inizio dell’anno, con l’esaurimento delle scorte degli agricoltori e l’aumento della domanda del mercato. E l’Agenzia Onu è preoccupata anche perché «La diminuzione dell’offerta porterà probabilmente a un’ulteriore impennata dei prezzi e alcuni prodotti di base potrebbero non essere più disponibili sui mercati».

Rispetto al 2021, l’OCHA prevede «Un aumento di oltre il 40% del numero di persone che affrontano una grave insicurezza alimentare durante la prossima stagione di magra nel 2022. In tutto il Sahel, si prevede che oltre 29 milioni di persone debbano affrontare una grave insicurezza alimentare, tra cui più di 8 milioni nel Sahel centrale».

Per esempio, in Niger – dove l’Unione europea e l’Italia hanno investito ingenti somme per addestrare le forze di sicurezza e per cercare di fermare il flusso di migranti – il numero di persone che soffrono di insicurezza alimentare potrebbe aumentare di oltre il 57%. In Mali gli operatori umanitari dicono che probabilmente ci sarà un aumento di oltre il 40% e in Mauritania di oltre il 36%. La situazione sta precipitando anche in Burkina Faso: «Tre zone (rispetto a due zone nel 2021) potrebbero affrontare livelli di insicurezza alimentare di emergenza e la situazione si sta deteriorando complessivamente nelle zone di crisi del paese – ha detto l’OCHA – quasi 13 milioni di persone hanno bisogno di assistenza e di aiuti umanitari in Burkina Faso, Mali e Niger».

Dal 2015, nel Sahel centrale il numero di attacchi armati  è aumentato di 8 volte, provocando sfollamenti e nuovi bisogni umanitari. Secondo l’OCHA, «Le tre aree di confine condivise da Burkina Faso, Mali e Niger sono l’epicentro di una crisi crescente con livelli senza precedenti di violenza armata e insicurezza». Il paradosso è che si tratta proprio dei Paesi dove ci sono stati interventi militari diretti sul campo da parte della Francia e della Communauté Economique des Etats de l’Afrique de l’Ouest per fermare l’avanzata jihadista o cospicui finanziamenti per la sicurezza e anti-immigrati da parte di Ue e altri Paesi occidentali. L’intervento armato e armante dell’Occidente non ha purtroppo portato nuova stabilità, ma colpi di stato militari, ulteriore instabilità politica e conflitti intercomunitari, etnici e settari per impadronirsi di risorse sempre più scarse – come acqua e pascoli – e dei giacimenti di petrolio, gas, uranio e altre materie prime.

E’ la stessa OCHA a denunciarlo quando scrive che «I civili presi nella morsa di gruppi armati, violenze intercomunitarie e operazioni militari sono costretti a fuggire dalle proprie case per trovare sicurezza. In totale, più di 5,8 milioni di persone sono state eradicate nel Sahel, più che mai. Nel Sahel centrale (Burkina Faso, Mali e Niger occidentale), l’insicurezza è peggiorata rapidamente e gli sfollamenti sono aumentati del 30% tra il 2020 e il 2021, raggiungendo 2 milioni di sfollati interni e 132.000 rifugiati, di cui mezzo milione costretti a fuggire all’interno del proprio Paese solo nel 2021. Molte persone sfollate sono state anche costrette a fuggire più volte, esacerbando ulteriormente la loro vulnerabilità».

L’OCHA fa notare che «Questo rapido aumento è particolarmente sorprendente in Burkina Faso, dove la violenza armata ha costretto più di un milione di persone a fuggire dalle proprie case dall’inizio della crisi (da 47.000 a fine 2018 – un aumento del 2.927%) . In queste condizioni, l’insicurezza e la violenza minacciano vite e mezzi di sussistenza, interrompono l’accesso alla salute, all’acqua, ai servizi igienico-sanitari, privano le comunità colpite dalla violenza dell’accesso ai servizi vitali, aumentano le violazioni dei diritti umani e mettono in pericolo la coesione sociale».

6 Paesi dell’Africa occidentale e centrale – Burkina Faso, Camerun, Mali, Niger, Nigeria e Ciad – hanno sviluppato piani di emergenza per il 2022, per un totale di 2,4 miliardi di dollari. Ma mentre gli euro, i dollari e i yuan sono sempre disponibili per acquistare armi o per costruire caserme a centri di controllo/detenzione per i migranti, le agenzie umanitarie faticano a trovare i finanziamenti necessari per affrontare le tragedie umane e climatiche-ambientali che sono all’origine di guerre e scontri armati. E’ un circolo vizioso che ha origine nel colonialismo e nel neocolonialismo e che è difficile spezzare senza cambiare paradigma, politiche e priorità, mettendo al centro le persone e l’ambiente in cui vivono.