Somalia: distrutti i campi profughi alla periferia di Mogadiscio
Senza più rifugio chi scappa dalla siccità e dalla guerra. L’Italia si è dimenticata della sua ex colonia
[3 Gennaio 2018]
Il coordinatore umanitario per la Somalia, Peter de Clercq, ha espresso la sua profonda inquietudine riguardo le informazioni secondo le quali dei campi di sfollati e delle strutture umanitarie sarebbero stati distrutti a K13, nella regione somala di Banadir, alla periferia della capitale Mogadiscio.
De Clercq, che è anche rappresentante speciale aggiunto per la Somalia del segretario generale dell’Onu, ha detto: «Sono profondamente rattristato nell’apprendere delle espulsioni,senza preavviso, di persone sfollate nella regione di Banadir. Alcune di queste persone sfollate hanno percorso lunghe distanze da differenti regioni del Paese per sfuggire alla siccità e ai conflitti».ù
De Clercq si riferisce a quanto successo il 29 e 30 dicembre nella ex colonia italiana, dove sono stati distrutti più di 23 siti di profughi interni somali, dove vivevano più di 4.000 famiglie. L’Onu sottolinea che «Sono andati perduti anche beni personali e mezzi di sussistenza perché la gente non ha avuto il tempo di recuperare i suoi beni prima che cominciasse la distruzione. Le famiglie, compresi i bambini, le donne e gli anziani vivono ora all’aperto».
E’ abbastanza evidente che l’operazione contro i rifugiati è avvenuta almeno con il beneplacito del fragile governo somalo di Mogadiscio, sostenuto dalla stessa Onu, che sta ancora facendo i conti con la guerriglia islamista, con le divisioni e le milizie tribali, con le truppe straniere che occupano gran parte del Paese e con l’endemico caos politico che, dopo la caduta della dittatura di Siad Barre, ha trasformato l’ex colonia italiana in uno Stato fantasma, mentre l’ex Somalia britannica si è proclamata indipendente sotto il nome di Somaliland.
L’United Nations office for the coordination of humanitarian affairs (Ocha) ha sottolineato che «Oltre alla collaborazione con le autorità per trovare una soluzione per queste persone nuovamente sfollate, le agenzie umanitarie mobilitano delle risorse per fornire un’assistenza alle persone colpite».
De Clercq si è detto anche «preoccupato per il fatto che mentre tutti lavorano per migliorare la vita dei somali, delle installazioni umanitarie e per lo sviluppo vengono distrutte, in particolare delle scuole, delle latrine, dei punti di acqua, delle reti igieniche e altri investimenti. Faccio appello a tutte le parti coinvolte a proteggere e aiutare tutti i civili che sono fuggiti dai conflitti e dalla siccità e che hanno sofferto molto. A questo riguardo, gli umanitari sono pronti a cooperare e a sostenere le autorità».
In Somalia il tasso di malnutrizione è in rialzo e in alcune aree ha raggiunto nuovamente livelli di emergenza, in particolare tra gli sfollati. L’Onu sottolinea che «Le persone sfollate non hanno accesso a sufficienza al cibo, agli alloggi e ai servizi di base e si confrontano con i rischi di aggressioni fisiche e di violenza, di sfruttamento e di abuso sessuale».
In questo momento in Somalia ci sono più di 2 milioni di profughi interni causati dalla siccità e dalla guerra, un milione dei quali sono stati costretti ad abbandonarle loro case nel 2017. Queste persone costituiscono un terzo dei 6,2 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Il piano di risposta umanitaria per il 2018 in Somalia richiede 1,5 miliardi di dollari per fornire aiuti salvavita a 5,4 milioni di persone che ne hanno un disperato bisogno, 70 milioni di dollari sono necessari per l’assistenza vitale per gli sfollati che vivono negli insediamenti, così come per i rifugiati rimpatriati, i profughi e gli sfollati interni integrati localmente e le comunità ospitanti vulnerabili.
Una situazione completamente ignorata nel nostro Paese, che pure ha occupato la Somalia in epoca fascista per poi diventarne amministratore fiduciario dell’Onu in preparazione dell’indipendenza. Ecco, se qualcuno cerca le ragioni dell’esodo dei profughi verso l’Italia, la Somalia è l’esempio perfetto di cosa si poteva fare e non è stato fatto, delle inconfessabili alleanze con dittatori, signori della guerra e tagliagole e degli sbagli storici e delle dimenticanze di un’Italia che scambia ancora l’aiutiamoli a casa loro con il colonialismo straccione di “faccetta nera”, ma non si assume le proprie responsabilità storiche.