Somalia: peggiora la siccità è cresce il rischio di carestia

Se non arrivano finanziamenti, 350.000 bambini sono destinati a morire entro l’estate. Ma per ora stanziato solo il 4% del fabbisogno

[29 Marzo 2022]

Il Corno d’Africa sta vivendo la peggiore siccità dal 1981 e la mancanza di finanziamenti per gli aiuti sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone, comprese le centinaia di migliaia sfollati interni che lasciano le loro case in cerca di cibo, acqua e riparo.

Il distretto di Luuq, nella provincia di Gedo, la portata del fiume Juba è calata progressivamente per più di tre mesi e ormai è ridotto a poche pozze fangose. Con l’evaporazione delle acque svaniscono anche le speranze delle comunità locali – composte soprattutto da agricoltori e pastori – che dipendono dal fiume per il loro sostentamento e che, come molti in Somalia, stanno scivolando inesorabilmente verso la fame mentre i loro raccolti appassiscono e il loro bestiame muore.

Salado Madeer Mursaal, una madre di 28 anni, che ha cercato aiuto nel campo per sfollati interni. Ha detto a UN News: «Abbiamo perso tutto con la siccità. Abbiamo bisogno di cibo, riparo, acqua e di altre necessità umane di base».

Dopo decenni di guerre tribali e settarie, di fallimentari interventi militari internazionali (compreso quello a partecipazione italiana), di shock climatici ricorrenti e di epidemie e malattie, compresi gli impatti della pandemia di Covid-19, in Somalia la situazione umanitaria era già disastrosa. Anche prima dell’attuale siccità, quest’anno circa 7,7 milioni di somali avevano bisogno di assistenza e protezione umanitaria, con un aumento del 30% anno rispetto allo stesso periodo del 2021. Un News sottolinea che «La situazione è peggiorata, con l’attuale siccità che spazza via i raccolti e il bestiame che muore per mancanza di acqua e pascoli, privando molte comunità pastorali della loro unica fonte di reddito».

Il coordinatore umanitario dell’Onu in Somalia, Adam Abdelmoula, ricorda che «Il Paese ha vissuto tre stagioni consecutive delle piogge fallite. Anche il quarto, che dovrebbe iniziare ad aprile e durare fino a giugno, dovrebbe essere al di sotto della media. Se questo accade, siamo a rischio di carestia».

L’Onu e i suoi partner sono fortemente impegnati a fornire sostegno umanitario. A febbraio hanno aiutato collettivamente 1,6 milioni di persone, ma insieme alle autorità federali somale chiedono più fondi per fornire assistenza umanitaria di emergenza. Secondo l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), attualmente «La Somalia è uno dei Paesi più colpiti dalla siccità nel Corno d’Africa. Circa 4,5 milioni di somali sono direttamente colpiti dalla siccità e circa 700.000 persone sono state sfollate».

Abdelmoula conferma: «Mentre parliamo, 1,4 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni sono gravemente malnutriti e, a meno che non aumentiamo la nostra risposta, si prevede che 350.000 di loro moriranno entro l’estate di quest’anno. La situazione non può essere più grave di così. Quindi, invito tutti coloro che sono in grado di contribuire, compresa la diaspora somala, la comunità imprenditoriale, i donatori tradizionali e non tradizionali, tutti, ad agire e ad agire ora».

Nel suo Piano di risposta umanitaria per la Somalia 2022, l’Onu chiede quasi 1,5 miliardi di dollari per fornire assistenza umanitaria a 5,5 milioni di persone più vulnerabili del Paese, inclusi 1,6 milioni di sfollati interni, 3,9 milioni di non sfollati e disabili. Ma finora ne sono arrivati solo 56,1 milioni di dollari, il 4% circa di quanto c’è urgentemente bisogno.

Nei campi di Luuq vivono migliaia di sfollati e una delle ultime arrivate è Fatuma Mader Mursaal, che, dopo molti giorni di cammino è riuscita a raggiungere insieme alla sua famiglia il Boyle Displaced Persons Camp, dove ci sono già più di 4.000 altre persone in cerca di aiuto. La Mursaal, 39 anni e madre di 6 figli, spiega: «Siamo allevatori e avevamo anche il nostro bestiame, ma tutti gli animali sono morti a causa della siccità. Non ci è rimasto più niente e siamo venuti qui per cercare acqua, cibo, riparo e aiuto». Quello di Boyle  è uno dei tanti campi sorti in tutta la Somalia dove le persone disperate si trasferiscono sperano di poter accedere all’aiuto internazionale.

L’amministratore del distretto locale di Luuq, il commissario Ali Kadiye Mohamed, è disperato: «Tutto questo è grave ed è una delle più grandi tragedie che la Somalia deve affrontare oggi. Le comunità sfollate non hanno riparo, acqua, medicine e nemmeno cibo e dipendono dagli aiuti. La siccità ha spazzato via tutto e se i sopravvissuti non ricevono aiuti umanitari di emergenza, anche loro rischiano di morire».

Le agenzie umanitarie dell’Onu stanno lavorando a stretto contatto con i partner sul campo per migliorare la situazione. L’International Organiozation for Migration (IOM) trasporta acqua nei campi profughi e ha costruito serbatoi d’acqua e latrine per migliorare le condizioni igienico-sanitarie. Al Luuq District Hospital, in parte finanziato dall’Unicef, l’agenzia Onu per l’infanzia collabora con l’ONG irlandese Trocaire, per curare, nutrire e stabilizzare i bambini ricoverati per malnutrizione grave. La caposala dell’ospedale, la somala Abdirahman Mohamed Kasim, dice che la situazione è costantemente peggiorata: «A gennaio qui sono stati ammessi 62 bambini malnutriti. A febbraio, il numero è salito a 100 e al 21 marzo il numero è salito a 114. Appena questi bambini arrivano in ospedale, diamo loro il latte per le fasi primarie e secondarie della malnutrizione e, dopo che si sono ripresi, li trasferiamo in altri centri di alimentazione dove ricevono biscotti energetici e cure per altre malattie».

A Luuq, il World Food Programme (WFP) gestisce buoni alimentari e programmi in denaro per i gruppi vulnerabili in Somalia e fornisce supporto nutrizionale preventivo e curativo a donne e bambini. Il WFP sta intensificando la sua risposta, puntando a sostenere 2,5 milioni di persone con aiuti alimentari nella prima metà di quest’anno, ma – come tante altre agenzie ONU – potrà farlo solo se riceverà maggiori finanziamenti; in questo caso, circa 203 milioni di dollari per colmare un gap di finanziamento.

Yarrow, uno degli sfollati interni di Luuq ne sa poco e nulla delle intricate strade che portano gli aiuti umanitari in Somalia, i suoi bisogni, e quelli di milioni di sfollati somali che rischiano la fame, sono più immediati: «Questa siccità ha spazzato via tutto ciò che avevamo – dice – Siamo sollevati di essere qui in questo campo profughi dove stiamo ricevendo aiuto, ma siamo troppi e stiamo soffrendo. Cibo, acqua e riparo non bastano. Ci sono molte donne, anziani e bambini che sono malnutriti e malati, ma che non hanno medicine. Stiamo facendo del nostro meglio per sopravvivere, ma abbiamo bisogno di aiuto».

Intanto, oggi in Somalia è arrivata l’esperta indipendente dell’Onu sulla situazione dei diritti umani in Somalia, la sierralionese Isha Dyfan, che fino al 2 aprile effettuerà la sua prima visita ufficiale nel Paese dopo la sua nomina da parte dell’ Human Rights Council  nel 2020 per «Valutare, monitorare e riferire sulla situazione dei diritti umani in Somalia, al fine di formulare raccomandazioni in merito all’assistenza tecnica e al rafforzamento delle capacità nel campo dei diritti umani».

La Dyfan  incontrerà le autorità statali, compresi i ministri per le donne e lo sviluppo dei diritti umani, della giustizia, della gioventù e dello sport e parlamentari. Incontrerà anche rappresentanti dell’United Nations Assistance Mission in Somalia (UNSOM), the African Union Mission in Somalia (AMISOM), dell’African Union Mission in Somalia (AMISOM), delle agenzie Onu  e della società civile e delle ONG. Inoltre, dopo aver visitato la capitale Mogadiscio, l’esperta indipendente dell’Onu andrà in uno degli Stati federali somali e monitorerà e valuterà la situazione dei diritti umani e concentrerà la sua visita sui diritti economici, sociali e culturali. La Dyfan, ex responsabile advocacy internazionale di Amnesty International e già a capo della Human Rights Section dell’United Nations Hybrid Operation in Darfur, Sudan (UNAMID), presenterà un rapporto finale con le sue conclusioni e raccomandazioni alla sessione dell’Human Rights Council di settembre.