Sud Sudan: centina di persone uccise negli scontri intercomunitari tra Murle e Lou Nuer

Dopo le alluvioni del 2019 si riscatena la violenza per il controllo delle risorse. A farne le spese soprattutto donne e bambini

[25 Maggio 2020]

Le autorità governative del Sud Sudan hanno confermato che almeno 280 civili, tra i quali un operatore sanitario di Medici senza Frontiere (Msf) e due di ONG locali, sono stati uccisi in scontri intercomunitari nello Stato di Jonglei,

Le violenze sono iniziate il 16 maggio quando uomini armati dell’etnia Murle hanno attaccato la città di Pieri e villaggi abitati dall’etnia Lou Nuer nella contea di Uror. I de giorni di guerra e saccheggio si sono lasciati dietro le spalle interi villaggi bruciati e scontri e vendette che proseguono.

Più di 50 persone con ferite da arma da fuoco, tra cui due dello staff di Msf, sono state portate all’ospedale di Msf  a Lankien, 50 chilometri a nord di Pieri. A msf dicono che «Allo scoppio dei combattimenti, la popolazione è fuggita nella boscaglia circostante e nei villaggi vicini. Tra loro anche diversi membri del nostro staff che lavorano a Pieri. Durante le ostilità, proseguite fino a domenica pomeriggio, alcuni villaggi della zona sono stati bruciati e molte case saccheggiate. A seguito di questo atto di violenza, siamo stati costretti a sospendere temporaneamente le attività mediche a Pieri fino a quando non avremo rassicurazioni sulla sicurezza del nostro personale. Rimaniamo impegnati a continuare a fornire cure mediche salvavita alla popolazione di Pieri e dello Stato di Jonglei».

The New Humanitarian sottolinea che «Omicidi inter-comunitari occhio per occhio – dente per dente si verificano da diversi mesi. Il peggior incidente è avvenuto a metà febbraio, quando un attacco di Lou Nuer contro le comunità di Murle ha ucciso centinaia di persone». Si trattava di una rappresaglia per i continui raid dei Murle nei villaggi di Lou Nuer. La scorsa settimana gli anziani  Lou Nuer hanno accusato con un comunicato stampa i politici Murle di essere dietro l’ennesima sanguinosa contro-rappresaglia e hanno minacciato a loro volta ritorsioni.

Nel più giovane Stato del mondo, di fatto soffocato nella culla da faide politiche nel movimento. indipendentista, sovranismi-tribalismi e odi tra comunità che nascondono la guerra per impossessarsi delle risorse petrolifere, la violenza non è mai cessata, alimentata sia dalle armi che continuano ad arrivare copiose in un Paese poverissimo che dal disinteresse delle democrazie occidentali, a partire dagli Usa, che hanno voluto fortemente l’indipendenza del Sud Sudan cristiano e animista dal Sudan musulmano, per poi abbandonarlo al suo destino e appoggiare le varie fazioni che si battono con una ferocia inaudita da anni e che continuano a combattersi nonostante l’accordo di pace e il governo di unità nazionale insediatosi nella capitale Juba.

I combattimenti intercomunitari sono in aumento in tutto il Sud Sudan. Nel primo trimestre del 2020 a sono stati la principale fonte di violenza nei confronti dei civili, con 658 morti, 452 feriti, 592 rapimenti e 65 casi di violenza sessuale. Da metà febbraio a inizio marzo, nello stato di Jonglei e nella Greater Pibor Administrative Area, una serie di attacchi hanno già provocato la morte di 22 civili e la maggior parte delle 266 donne e bambini rapiti durante i combattimenti non sono stati liberati dalla prigionia.

Anche David Shearer, rappresentante speciale Onu per il Sud Sudan, ha detto che «Parte della violenza può essere attribuita al vuoto di potere creato dal fallimento del nuovo governo di coalizione con la mancata nomina dei governatori nei 10 Stati del paese, tra cui Jonglei. Le uccisioni sono state anche alimentate dalla deprivazione economica seguita alle inondazioni dello scorso anno, che hanno spazzato via molte case e ucciso migliaia di bovini su cui le famiglie contano per sopravvivere».

Do l’alluvione del 2019 le contee di Akobo e Duk del Jonglei sono sprofondate nella catastrofe della fame e, rischiando di rimanere in mezzo agli scontri etnici, le agenzie umanitarie stanno cercando di portare aiuti e medicine prima che la situazione diventi ancora più pesante ed intere comunità restino tagliate fuori dagli aiuti salvavita.

Il coordinatore umanitario dell’Onu in Sud Sudan, Alain Noudéhou, ha detto che «La violenza deve quindi cessare e gli umanitari devono essere in grado di raggiungere. Condanno nei termini più forti possibili l’uccisione di tre operatori umanitari a Pieri e chiedo che i responsabili siano consegnati rapidamente alla giustizia. Il governo, tutte le parti e le comunità devono intensificare gli sforzi per proteggere gli umanitari che stanno correndo grandi rischi per la loro sicurezza al fine di fornire l’assistenza tanto necessaria alle persone più vulnerabili nel Sud Sudan».

La violenza intercomunitaria si è scatenata più volte nello Jonglei, uno Stato che ha alle spalle – e ancora più di fronte – anni di insicurezza alimentare e dove gli scontri tra i miliziani armati stanno avendo gravi conseguenze sui civili e sugli operatori.

In sud Sudan  ci sono stati violenti scontri armati anche negli Stati di  Central ed Eastern Equatoria che hanno causato migliaia di profughi che si sono andati ad aggiungere agli oltre 7 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria in tutto il Paese e la  maggior parte sono donne e bambini.

Questi scontri armati hanno interrotto anche le operazioni di vigilanza e contrasto contro l’invasione delle locuste del deserto, un’altra minaccia per una situazione già fragile.

L’United Nations High Commissioner for Human Rights. Michelle Bachelet, ha detto che   «I rapporti che vengono dallo stato di Jonglei sono spaventosi. Questo modello ricorrente di violenza, che continua a reclamare vite nel Sud Sudan, deve cessare. Esorto il governo a garantire che siano in atto misure per indagare su questa violenza e per assicurare che i responsabili siano perseguiti e che le vittime e le loro famiglie abbiano accesso alla giustizia, alla verità e ai risarcimenti».

A metà marzo la Bachelet aveva già sollecitato il governo centrale di Juba a far fronte alle crescenti tensioni e l’Unhcr sottolinea che «La natura dei combattimenti intercomunitari – a lungo causati dalle tensioni sull’accesso all’acqua e al pascolo del bestiame – ha assunto negli ultimi anni un carattere militarizzato, con tattiche di tipo militare e armi di livello militare».

La Bachelet ha ribadito che «Le autorità statali devono agire per porre fine a questi cicli di violenza di ritorsione, anche catturando i responsabili perché ne rendano conto  e promuovendo la costruzione della pace tra le singole comunità».

Steve Mackay, vice capomissione di MSF in Sud Sudan, conclude: «Condanniamo con la massima fermezza questi vergognosi atti di violenza tra le comunità che hanno causato decine di feriti gravi e, temiamo, molti altri morti. Abbiamo ragione di credere che il numero di feriti sia molto alto. Finora abbiamo accolto 56 persone con ferite d’arma da fuoco, ma temiamo che molte altre potrebbero essere morte e che possano esserci oltre 100 feriti dentro e intorno a Pieri. Il nostro team è molto preoccupato che altri feriti non riusciranno a ricevere cure mediche salvavita a causa del limitato accesso ai servizi medici nella zona, La violenza ricorrente tra le comunità continua ad avere conseguenze devastanti per la popolazione. Abbiamo visto molte volte che questi tipi di attacchi possono creare sfollamenti e la perdita di case e sostentamento per centinaia o anche migliaia di persone. Ora che inizia la stagione delle piogge, chi è senza un adeguato riparo è ancora più esposto a malattie come la malaria, le infezioni del tratto respiratorio e la diarrea acuta, patologie che uccidono migliaia di persone ogni anno. Tutto questo senza considerare l’ulteriore complessità causata dalla pandemia di Covid-19 che ha iniziato a diffondersi in tutto il Paese».