Tagliare i gas serra migliorando la produttività agricola? Solo se è sostenibile
Studio Iiasa: «Aumentare la resa del bestiame meno vantaggioso che intensificare i raccolti»
[18 Luglio 2013]
Secondo lo studio Agricultural productivity and greenhouse gas emissions: trade-offs or synergies between mitigation and food security? pubblicato su Environmental Research Letters, «Migliorare i raccolti con metodi sostenibili potrebbe ridurre le emissioni di gas serra di ben il 12% per caloria prodotta. Allo stesso tempo, questi cambiamenti potrebbero fornire più cibo alle persone bisognose».
Negli ultimi 10 anni l’agricoltura e i cambiamenti dell’utilizzo del suolo, attraverso la coltivazione, l’allevamento di animali e la deforestazione, hanno rappresentato circa un terzo del totale delle emissioni di gas serra di origine antropica. I ricercatori dell’ International institute for applied systems analysis (Iiasa) che hanno condotto lo studio, sono convinti che «Producendo più cibo con meno terra, può essere possibile ridurre queste emissioni, ma questa cosiddetta intensificazione spesso comporta un aumento dell’uso di fertilizzanti, il che può portare a grandi emissioni contenenti azoto che contribuiscono ugualmente al global warming».
Hugo Valin, il leader del team Iiaa, sottolinea che «Dal punto di vista delle colture, il modo più efficace per garantire l’intensificazione sostenibile è quello di affidarsi a pratiche e tecnologie che non siano maggiormente esigenti in concimi, come ad esempio nuove varietà, al miglioramento della rotazione delle colture, alle pratiche zootecniche integrate ed alla “precision farming”».
I risultati dello studio hanno un particolare valore per i Paesi in via di sviluppo nei quali in molti casi l’agricoltura non è così efficace come potrebbe essere, quindi, investire in migliori pratiche agricole potrebbe portare grandi benefici sia in termini di sicurezza alimentare che di diminuzione delle emissioni di gas serra.
Lo studio ha scoperto che l’aumento dei rendimenti del bestiame è più efficace nel ridurre le emissioni di gas serra dell’aumento delle rese delle coltivazioni alimentari: «Nel complesso, colmare il gap di rendimento del 50% per le colture e del 25% per il bestiame porterebbe a un risparmio del 12% di emissioni di gas serra per caloria prodotta», si legge nello studio. Ma Valin avverte che «Aumentare resa del bestiame non è così vantaggioso per la sicurezza alimentare come può essere l’aumento della resa delle colture, perché carne e latticini sono una piccola quota delle diete, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo».
Per condurre lo studio, Valin e colleghi hanno valutato diversi scenari esplorato scenari utilizzando il modello Globiom dello Iiasa e spiegano che «Gli scenari sono strumenti di modellazione per la comprensione dei legami tra le politiche future, le azioni, i costi ed i risultati, in questo caso, gli scenari consentono ai ricercatori di guardare al futuro, alla produzione di alimenti, sia da colture che da bestiame, alle emissioni di gas serra ed al trade-off ed ai co-benefici di diversi percorsi di miglioramento della resa delle colture».
Il nuovo studio sottolinea anche gli effetti dell’aumento della richiesta di produzione di cibo: «A parità di condizioni, una maggiore disponibilità di cibo porta a prezzi più bassi e quindi ad una maggiore domanda. Questa domanda extra significa che gli agricoltori vorranno continuare ad espandersi, per produrre sempre più cibo».