Il primo grado di giudizio si chiude con un’inammissibilità per difetto di giurisdizione
Il Tribunale civile di Roma boccia la prima causa contro lo Stato italiano per inazione climatica
Di Pierri (A sud): «Non possiamo negare di essere delusi dall'esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione»
[6 Marzo 2024]
A quasi tre anni dall’avvio della prima causa “Giudizio universale” avviata contro lo Stato italiano per inazione sulla crisi climatica in corso, il primo grado di giudizio si è chiuso con un nulla di fatto.
Il primo grado di giudizio si è infatti chiuso con una sentenza del Tribunale civile di Roma, secondo la quale la causa è inammissibile per difetto di giurisdizione. Ovvero, si afferma che in Italia non esistono tribunali in grado di decidere su questo tema, in netto contrasto con quanto accade nel resto d’Europa.
In altri Stati – come Paesi Bassi, Irlanda, Germania, etc – cause analoghe, con analoghi costrutti, basate su simili istituti giuridici di diritto civile, si sono concluse con importanti sentenze di accoglimento.
Dopo più di due anni e mezzo di udienze e migliaia di pagine di documentazione prodotta, il tribunale romano ha invece deciso solo adesso di dichiarare l’inammissibilità della causa, quando avrebbe eventualmente potuto farlo già nel 2022, ovvero subito dopo la prima udienza.
«Si tratta di un’ occasione persa per le istanze sociali ed ambientali nel nostro paese – dichiara Marica Di Pierri, portavoce di A Sud e co-coordinatrice della campagna Giudizio universale – ma la volontà di non esprimersi del tribunale di Roma non comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello Stato. Non possiamo negare di essere delusi dall’esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione».
Secondo il team legale che ha seguito la causa, composto da avvocati e giuristi appartenenti alla Rete legalità per il clima, la sentenza «per un verso, si pone palesemente in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e con la Cedu, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di numerosi Stati europei. Per altro verso, è anche contraddittoria, perché, da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’ altro, però, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un Giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale. Pertanto, sussistono tutti i presupposti per impugnarla».
Lo scopo resta lo stesso: considerata l’esistenza di un preciso dovere dello Stato nell’agire efficacemente per rispettare gli impegni assunti in ambito climatico, si chiede di riconoscere l’insufficienza delle politiche climatiche in campo dall’Italia e, di conseguenza, di imporre allo Stato di rivedere al rialzo gli obiettivi di riduzione delle emissioni.
Tra i ricorrenti dell’azione legale Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, sottolinea che «l’Italia non stia facendo abbastanza per ridurre le emissioni è sotto gli occhi di tutti; che la politica non ascolta la scienza né i cittadini anche. In molti paesi i tribunali hanno fatto la differenza, peccato che in Italia si sia persa questa importante occasione e tempo prezioso».
Dello stesso parere Marjan Minnesma, direttrice di Urgenda, la fondazione olandese protagonista del celebre caso che ha portato alla storica condanna climatica dei Paesi Bassi: «C’è un divario crescente tra le promesse dei nostri governi e le azioni che intraprendono nell’affrontare l’emergenza climatica. La sentenza Urgenda nei Paesi Bassi ha dimostrato che i tribunali hanno un ruolo cruciale nell’esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini».