Unece: per la carbon neutrality sono urgentemente necessarie le tecnologie Carbon capture, use and storage
Un rapporto Unece promuove tecnologie avversate da molte associazioni ambientaliste
[9 Marzo 2021]
Secondo il recente technology brief “Carbon capture, use and storage (CCUS)” dell’United Nations economic commission for europe (Unece) sta per scadere il tempo per poter rispettare davvero l’Accordo di Parigi e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ma quel che chiede per raggiungere la carbon neutrality non piacerà molto alla stragrande maggioranza delle associazioni ambientaliste: «Un rapido dispiegamento del Carbon capture, use and storage (CCUS)».
Il CCUS è infatti il processo di cattura delle emissioni di CO” emessi con la produzione di energia fossile e dai processi industriali per lo stoccaggio in profondità nel sottosuolo o il riutilizzo di CO”.
Le associazioni ambientaliste, escluse alcune come Bellona, dicono che queste tecnologie sono ancora in fase sperimentale, molto costose e pericolose e che rischiano di distogliere attenzione e finanziamenti dalle vere tecnologie green e dalla necessità assoluta di ridurre subito – non di nascondere sotto terra – le emissioni climalteranti. Ma secondo l’Unece «Il CCUS comprende un vasto portafoglio di tecnologie esistenti economicamente redditizie. L’implementazione su larga scala della tecnologia CCUS nella regione Unece consentirebbe ai paesi di decarbonizzare il settore energetico e ai settori industriali difficili da abbattere a medio termine, per colmare il gap fino a quando le tecnologie energetiche a emissioni di carbonio basse, zero o negative di prossima generazione non saranno disponibili per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima».
L’Unece ammette che «La quantità di rimozione di CO2 necessaria per raggiungere la carbon neutrality supera di gran lunga ciò che le attuali tecnologie CCUS potrebbero fornire, quindi gli investimenti CCUS devono essere visti come parte di un portafoglio più ampio di azioni per evitare le conseguenze inaccettabili dei cambiamenti climatici, oltre a implementare tecnologie a basse o zero emissioni di carbonio e potenziare la capacità dei serbatoi naturali di carbonio come foreste, zone umide, permafrost e oceani».
Il Technology Brief esamina le diverse tecnologie disponibili per catturare CO2 (alla fonte da industrie, come cemento e acciaio, produzione di idrogeno da combustibili fossili, incenerimento di rifiuti o produzione di energia; da energia da biomasse o direttamente dall’aria), stoccarla ( in acquiferi o tramite Enhanced Oil Recovery) e utilizzarla (mineralizzazione, processi chimici o biologici) e presenta una panoramica di 31 progetti CCUS esistenti in Europa e 24 in Nord America.
Sheila Hollis, direttrice esecutiva facente funzione dell’Unece, ha sottolineato che «Questo brief tecnologico è un passo positivo per migliorare la comprensione globale delle implicazioni e delle opportunità del passaggio alla corbon neutrality nei settori energetici e ad alta intensità energetica entro il 2050».
Ma per ora queste tecnologie sono rappresentate da impianti pilota realizzati soprattutto nei Paesi Scandinavi, negli Usa e nel Regno Unito che si sono dati da fare anche per stabilire i quadri normativi necessari. Dal rapporto emerge però che anche «Le nazioni più piccole nella regione Unece cercano partner internazionali e finanziamenti per rendere la CCUS una realtà, mentre bilanciano i loro obiettivi climatici con i loro imperativi di sviluppo».
Per la segretaria esecutiva dell’Unece, Olga Algayerova, «E’ necessaria una forte volontà politica per rendere l’energia accessibile, pulita, affidabile, sostenibile e moderna per tutti una realtà entro il 2030. Mentre ci prepariamo per l’High-level Dialogue on Energy convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite sotto gli auspici dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre, l’Unece si impegna a sostenere gli Stati membri che faranno del 2021 l’anno della vera azione sull’energia».
Il Brief rileva che «L’implementazione su larga scala del CCUS richiederà una vasta capacità di stoccaggio geologico. Attualmente, noti bacini sedimentari idonei nella regione Unece sono stati identificati nel Nord America e nell’Europa occidentale, in particolare nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Norvegia. L’Unece sta preparando uno studio sul potenziale di stoccaggio nell’Europa orientale, nel Caucaso e nell’Asia centrale, in particolare nella Federazione Russa (Volga Urali, Siberia occidentale, sottoregione del Caspio), Kazakistan, Azerbaigian e Mar Caspio».
Il brief affronta anche il grosso problema del sosto del CCUS, che, insieme ai problemi ambientali, viene percepito come uno dei principali ostacoli allo sviluppo di queste tecnologie. Gli esperti valutano che «Solo per l’Europa il costo della distribuzione della CCUS pianificata fino al 2050 potrebbe ammontare a 320 miliardi di euro e le infrastrutture di trasporto necessarie potrebbero aggiungere altri 50 miliardi di euro». Ma all’Unece sono convinti che « La velocità con cui è possibile ridurre i costi favorirà l’implementazione su larga scala».
Il brief si conclude evidenziano «La necessità di agire su larga scala» e sollecita i governi a «Collaborare per migliorare il rapporto costo-efficacia dei grandi progetti di infrastrutture di energia pulita. La condivisione delle migliori pratiche sia nell’implementazione della tecnologia che nell’infrastruttura normativa e politica è necessaria per sostenere gli impegni ambientali a lungo termine dell’industria e del governo».