Riceviamo e pubblichiamo
Usa e Cina, perché la ratifica dell’accordo sul clima ha un’importanza storica
I due Paesi rappresentano il 24% e il 14% delle emissioni di gas serra. L'Ue il 12% (e l'Italia l'1,7%), ma la ratifica ancora non c'è
[5 Settembre 2016]
Usa e Cina hanno ratificato l’accordo sul clima raggiunto in occasione della Cop21 di Parigi. Questa è stata la notizia di prima pagina dei principali quotidiani di ieri perché, giustamente, il fatto ha una grande rilevanza. In apertura del G20 che si è svolto in Cina nei giorni scorsi, il presidente americano Barack Obama e il quello cinese Xi Jinping hanno ufficializzato e reso pubblico l’impegno delle due nazioni a rispettare l’accordo di Parigi riducendo le emissioni di gas climalteranti per limitare l’innalzamento della temperatura del pianeta entro gli 1,5 °C.
Come detto la notizia è di fondamentale importanza per svariati motivi: da un punto di vista tecnico l’accordo di Parigi entrerà in vigore solo nel momento in cui almeno 55 Paesi ratificheranno il documento e solo se questi producono complessivamente almeno il 55% delle emissioni di gas serra. Se non si soddisfano questi due requisiti l’accordo diventa praticamente nullo. Fino a qualche giorno fa solo 24 Paesi avevano concluso il processo formale di ratifica: governi di nazioni insulari particolarmente preoccupati dall’innalzamento dei mari, che complessivamente producono circa l’1% dei gas serra. La ratifica dell’accordo da parte della Cina e degli Stati Uniti, che sono invece le due nazioni più inquinanti al mondo, ha cambiato notevolmente la situazione dato che producono rispettivamente il 24% e il 14% delle emissioni di gas serra. Ad oggi, quindi, i Paesi che hanno ratificato l’accordo producono complessivamente circa il 40% delle emissioni e a questo punto diventa determinante l’impegno dell’Unione europea che con il suo 12% potrebbe far entrare in vigore ufficialmente lo storico accordo. La volontà dell’Europa di contrastare il cambiamento climatico è risaputa per cui dovrebbe essere solo una questione di tempo, come anche per l’Italia (responsabile di circa il l’ 1,7% di emissioni). Sempre ieri i ministri Gentiloni e Galletti hanno dichiarato che stanno già lavorando per definire la legge di ratifica all’accordo e che questa dovrebbe essere approvata dal Parlamento italiano entro la fine dell’autunno.
Da un punto di vista politico la notizia è altrettanto importante perché per la prima volta dopo 24 anni di falliti accordi sembra che davvero ci sia la volontà di contrastare il cambiamento climatico da parte delle grandi nazioni del mondo, le principali responsabili del preoccupante fenomeno. C’è chi sostiene che molto sia dovuto al fatto che sono gli ultimi mesi di governo del presidente americano Obama, e che quindi la ratifica sia una mossa per congedarsi con un successo internazionale dal suo incarico. Non voglio dare grande peso a queste supposizioni, credo invece – o almeno spero – che finalmente la tutela dell’ambiente stia diventando davvero una priorità per i grandi Paesi industrializzati e per quelli in via di sviluppo e che questo impegno continui sempre di più nei prossimi anni.
Perché anche da un punto di vista scientifico-ambientale il contrasto al cambiamento climatico è diventato una priorità, praticamente un’emergenza. Pochi giorni fa il capo dei climatologi della Nasa Gavin Schmidt ha dichiarato che «c’è il 99% di probabilità che il 2016 stabilirà un nuovo record annuale sul termometro dopo quelli del 2014 e 2015 diventando l’anno più caldo dal 1880, cioè da quando si è iniziato a registrare le temperature». Se non si fa qualcosa per invertire questa tendenza i danni economici, sociali e ambientali saranno sempre più rilevanti e gli effetti del cambiamento climatico irreversibili.
di Andrea Merusi*
*Biologo e tecnico ambientale. Autore del libro “La Sfida di Oggi. Il cambiamento climatico e il rapporto tra uomo e natura”