Ventidue milioni di profughi da disastri naturali in un anno (tre volte quelli di guerra)
[18 Settembre 2014]
L’Internal displacement monitoring center (Idcm) del Norwegian refugee council (Nrc) ha pubblicato il rapporto “Global Estimates 2014: people displaced by disasters” dal quale emerge che nel 2013 nel mondo ci sono stati 22 milioni di profughi a causa di disastri naturali. Più di 3 volte, quindi, dei profughi di guerra. Ma siccome piove sempre sul bagnato, secondo il rapporto sembra esserci una corrispondenza tra profughi causati dalla natura e quelli dovuti alla guerra: «In 33 dei 36 Paesi in cui ci sono stati conflitti armati tra il 2008 e il 2012 – spiegano gli esperti norvegesi – si sono avuti anche disastri naturali».
Secondo il segretario generale dell’Nrc, Jan Egeland, che ha presentato il rapporto all’Onu a New York, «Questa evoluzione al rialzo dovrebbe proseguire dato che sempre più persone vivono in zone esposte alle catastrofi naturali. La situazione dovrebbe anche aggravarsi in future con gli impatti dei cambiamenti climatici».
Il vice-segretario dell’Onu, Jan Eliasson, ha detto che la pubblicazione di questo rapporto «Sottolinea l’importanza di mettere in atto dei sistemi di allarme precoci e di evacuazione delle popolazioni colpite. Il numero delle persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria ed i costi di questo aiuto esplodono. D’ora in avanti dobbiamo dedicarci di più alla prevenzione ed alla preparazione, in cooperazione con i partner locali».
Il rapporto dimostra che i profughi causati dalle catastrofi naturali sono un fenomeno mondiale e che avvengono sempre più frequentemente, che sono più violenti e più complessi. «Oggi, la gente è più esposta e più vulnerabile – ha detto Egeland. – Il nostro rapporto dimostra molto di più può essere fatto per rafforzare la preparazione e la prevenzione degli sfollati causati dalle catastrofi naturali».
Dagli anni ’70 il numero dei profughi ambientali è raddoppiato, soprattutto a causa della crescita delle città e delle popolazioni urbane, in particolare nei Paesi più vulnerabili.
Eppure la cifra dei profughi ambientali è leggermente al di sotto dei 27 milioni di media annua che si sono avuti tra il 2008 e il 2013. L’anno scorso ci sono stati circa 600 eventi naturali disastrosi, dai tifoni ai terremoti, 37 dei quali hanno provocato più di 100.000 profughi. Il rapporto Idmc sottolinea che, «Come negli anni precedenti, la regione più colpita è l’Asia, dove 19 milioni di persone, pari al 87,1% totale mondiale, sono state sfollate durante l’anno. Anche se sono colpiti sia i Paesi ricchi che poveri, i Paesi in via di sviluppo sopportano un peso che rappresenta oltre il 85% dei profughi. Nelle Filippine, il solo tifone Haiyan ha sfollato 4,1 milioni di persone, un milione in più rispetto ad Africa, Americhe, Europa ed Oceania messe insieme. Rispetto alla dimensione della popolazione, le inondazioni stagionali hanno causato un significativo spostamento anche nell’Africa sub-sahariana, in particolare in Niger, Ciad, Sudan e Sud Sudan, Paesi con popolazioni altamente vulnerabili che sono anche colpiti dalla guerra e dalla siccità». Tra i Paesi più colpiti in Africa c’è anche il Mozambico.
Anche se in misura ridotta i disastri naturali non hanno risparmiato i Paesi industrializzati: «’Il tifone Man nella regione giapponese di Chubu ha fatto 260.000 profughi – si legge nel rapporto – mentre i tornado in Oklahoma oltre 218.000. Le gravi inondazioni in Europa, soprattutto in Germania, Repubblica Ceca e Gran Bretagna hanno fatto sfollare in totale 149.000 persone». Anche le inondazione nell’Alberta, in Canada, hanno comportato numerosi profughi.
Il rapporto sottolinea che «Le grandi catastrofi sono irregolari e relativamente poco frequenti, ma quando si verificano causano spostamenti su vasta scala. 35 disastri, ognuno dei quali ha costretto più di un milione di persone a lasciare le loro case, hanno rappresentato il 70% di tutti i profughi nel corso di un periodo di sei anni».
L’Idcm/Nrc ribadisce che «L’aumento degli investimenti in misure di riduzione del rischio di catastrofi, come ad esempio una migliore pianificazione urbana, la manutenzione delle difese contro le inondazioni e l’introduzione di norme per la costruzione di abitazioni ed altre infrastrutture in grado di sopportare i rischi su scala ridotta, potrebbe prevenire o attenuare gran parte del loro impatto».
La situazione appare più grave nei paesi in guerra o con guerre civili o guerriglie in corso: «La combinazione di conflitti e rischi naturali crea ostacoli militari e ambientali ai movimenti della popolazione, isolando le comunità e che limitano le opzioni delle persone in termini di voli aerei e di destinazioni. Sono necessarie misure di riduzione dei rischi di disastri e le strategie di sussistenza delle comunità per consentire alle persone di adattarsi ai nuovi shock, prepararsi quelli futuri ed evitare ripetuti cicli di sfollamento».
Per quanto riguarda prevenzione e preparazione, il rapporto evidenzia: «A meno che non si intervenga per ridurre il rischio di catastrofi e per aiutare le comunità ad adattarsi alle mutevoli condizioni meteorologiche, è probabile che vedremo molti più profughi nei prossimi anni e decenni. Per un numero crescente di persone che vivono in aree soggette a rischi naturali, sistemi di allarme rapido e di evacuazioni ben pianificate diventeranno sempre più importanti. I politici dovrebbero stare attenti a garantire che i piani nazionali e le misure di riduzione del rischio di catastrofi e di adattamento al cambiamento climatico comprendano il rischio e l’impatto degli sfollati».
Ma il rapporto non si fa molte illusioni sul futuro: «Nei prossimi decenni sono attesi livelli medi di profughi più elevati. Le tendenze demografiche e la vulnerabilità continueranno ad essere i driver principali del rischio di spostamento e si prevede che i cambiamenti nella frequenza e nell’intensità degli eventi meteorologici estremi si aggiungeranno a questo rischio».
La conclusione è che «Per compensare la crescita della popolazione, i governi ed i loro partner dovranno intensificare gli sforzi per ridurre l’esposizione e la vulnerabilità delle persone mediante l’adozione e l’applicazione di piani per un migliore uso del territorio e dei regolamenti edilizi, affrontando le disuguaglianze di reddito e migliorando le condizioni per le grandi popolazioni che vivono negli insediamenti informali», cioè nelle baraccopoli che assediano le metropoli del mondo.