Ma cosa ci dice il cervello? Il colossale Human Brain Project europeo rischia già di naufragare
[9 Luglio 2014]
Il brivido della scienza in questo primo scorcio di XXI secolo corre lungo la spina dorsale degli esseri umani, e si ferma nel nostro cervello. Chi è alla caccia della zona più oscura e intricata ancora rimasta da esplorare, pressoché vergine, probabilmente non deve allontanarsi molto dalla propria testa. Assieme a quella di una nuova rivoluzione industriale verde, contro i cambiamenti climatici e il progressivo esaurimento delle risorse naturali, quella del cervello rappresenta la più grande sfida per il progresso scientifico – e economico, e sociale – di oggi. Su questa eccitante frontiera dell’innovazione si arrampicano due pionieri, gli Usa e l’Europa, ma il Vecchio continente rischia già di scivolare.
Più di 400 neuroscienziati (erano 100 solo due giorni fa) hanno firmato una lettera al vetriolo indirizzata alla Commissione europea, avanzando forti perplessità sulla gestione dello Human Brain Project, il progetto di ricerca lanciato dall’Ue (e foraggiato da un finanziamento pari a circa 1,2 miliardi di euro) con lo scopo di ricreare – da qui a dieci anni – un modello computerizzato del cervello, capace di sostenere l’avanzare delle neuroscienze grazie a simulazioni informatiche oggi impensabili.
«Le neuroscienze fanno progredire la nostra comprensione – normale e patologica – del cervello, offrendo benefici potenzialmente enormi benefici per la società. Sono, dunque, fondamentali per l’Europa», evidenziano i firmatari della lettera, ma contestano il fatto che lo Human Brain Project possa aiutare concretamente questo progresso. I punti più controversi riguardano sia la sostanza – ritenendo il progetto come più informatico che realmente neuroscientifico – che la forma. L’Hbp è stato controverso sin dall’inizio – denunciano i neuroscienziati dissidenti – provocando divisioni all’interno della comunità neuroscientifica europea. Molti laboratori hanno rifiutato di aderire al progetto».
Ora la situazione sta precipitando. Con la presentazione dell’Accordo quadro di partenariato (CQP) per il secondo round di finanziamento per l’Hbp, è ora in corso una revisione del progetto per valutarne i progressi nella fase di lancio, con una posta in gioco pari a 100 milioni di euro. Cifra consistente – una volta tanto – per la ricerca europea, con il paradosso che gli stessi neuroscienziati si dicono pronti a boicottarla se non verranno accolti le puntuali raccomandazioni contenute nella loro lettera, indirizzate prevalentemente a migliorare la «qualità della governance dimostrata e la mancanza di flessibilità e apertura del consorzio». Se il progetto non rinasce con una visione condivisa all’interno della comunità scientifica, rischia dunque di naufragare appena nato.
La posta in gioco è altissima. Comprendere al meglio il funzionamento del nostro cervello non è “solo” lo sfogo di un’inesausta curiosità scientifica attorno alla natura umana, ma ha profonde e dirette ricadute sulla definizioni di politiche migliori (l’approccio nudge) e, soprattutto, sulla nostra possibilità di curare uno spettro di malattie neurodegenerative sempre più ampio.«La ricerca sul cervello deve diventare una priorità nell’agenda politica europea – sottolinea sul Sole 24 Ore Monica Di Luca, neopresidente eletto della Federazione europea di neuroscienze (Fens) – solo con un network scientifico di alta qualità potrà disinnescare la “bomba” sociale rappresentata dalle malattie del cervello, che riguardano 179 milioni di europei con costi sanitari che ammontano a quasi 800 miliardi di euro all’anno».
Mentre a livello europeo infuria la bufera attorno a un tema tanto cruciale per il nostro futuro, l’Italia sembra tenersi alla larga dal confronto. Non a livello scientifico: la lettera indirizzata alla Commissione Ue è già stata firmata da 27 scienziati italiani (con alcune firme pesantissime, come nel caso di Giacomo Rizzolatti, che con il suo team scoprì a Parma i celebri neuroni specchio), e anche greenreport già lo scorso anno raccolse le perplessità del neuroscienziato Pier Francesco Ferrari.
Ma a livello politico (e mediatico) tutto tace, proprio ora che l’Italia si trova a gestire il proprio turno di presidenza dell’Ue, lungo sei mesi. La revisione dello Human Brain Project, sulla quale sono concentrate tutte le attenzioni dei neuroscienziati, dovrebbe concludersi entro l’estate: spetta quindi al nostro Paese vigilare che un progetto potenzialmente rivoluzionario prosegua la sua corsa, eventualmente migliorando la propria rotta, e non scoppi come una bolla di sapone. Le scelte che compiamo oggi daranno slancio, o legheranno in catene, il network dell’innovazione europea sul cervello. Non possiamo permetterci di perdere (anche) questo treno.